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Venerdì Cdm approverà il sistema per valutare 9mila istituti, 1 milione di dipendenti e 7 milioni di studenti. Appello Anief-Confedir: è un regolamento inviso da tutti e che va fermato, non si possono adottare nelle scuole pubbliche le performance individuali e di struttura del comparto aziendale. Il modello ha già fallito negli atenei. Ma questi tecnici al Governo vivono su Marte?

A pochi giorni dell’insediamento dei nuovi parlamentari, il Governo dei tecnici guidato dal professor Mario Monti sta tentando di sferrare l’ultimo colpo basso ai dipendenti e agli utenti della scuola: anche in assenza di consenso politico ed elettorale, il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha infatti oggi annunciato che venerdì prossimo il Consiglio dei ministri approverà il regolamento che introduce il nuovo sistema di valutazione nazionale delle circa 9mila scuole italiane, un milione di dipendenti e 7 milioni di studenti.

“Conferendo un potere enorme a Invalsi, Indire e agli ispettori ministeriali - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per il contenzioso – il Governo dei tecnici sta sferrando l’ennesimo colpo di mano finalizzato a privatizzare i prossimi contratti di lavoro. E legare così gli stipendi degli statali con le performance individuali e di struttura. Ad iniziare proprio da chi opera e vive nella scuola, a cui dal prossimo anno verrà imposto un sistema di valutazione, preludio all’assegnazione delle risorse solo alle scuole migliori, inviso da tutti. Ma questi signori lo sanno cosa significa insegnare in un istituto del quartiere Zen di Palermo o in quelli Spagnoli di Napoli. E lo sanno che in questi giorni l’Istat ha collocato lo stipendio attuale di un dipendente pubblico italiano in servizio a quello di un collega di 24 anni fa?”

La fondata volontà del Governo di bloccare gli scatti di anzianità fino al 2014 e contemporaneamente di introdurre un sistema di valutazione che porterà fondi solo alle scuole più virtuose, sono dei pezzi che vanno a comporre un orribile “puzzle”. Che produrrà conseguenze disastrose. Per il personale, che sarà remunerato in modo del tutto inadeguato rispetto al servizio svolto e all’impegno profuso. Per gli studenti, soprattutto quelli già penalizzati da meno fortunati contesti familiari e sociali, che verranno accolti in strutture scolastiche sempre più fatiscenti. Per le famiglie più arretrate culturalmente, a cui sarà sottratta anche la possibilità e la speranza di investire nella formazione dei loro figli.

“Questo Governo dimissionario – continua Pacifico – sta cercando di imporre nelle scuola lo stesso modello fallimentare già introdotto da alcuni anni nelle università: un modello che nascondendosi dietro degli pseudo criteri meritocratici ‘dimentica’ volutamente le esigenze prioritarie del territorio e del contesto sociale in cui ogni singolo ateneo è collocato. E assegna fondi alle università in base a standard nazionali che non hanno fondamento quando vengono adottati nella realtà. Sembra che certi tecnici che governano il Paese, fortunatamente ancora per poco, vivano su Marte”.

La nostra organizzazione sindacale non può accettare tutto questo. Soprattutto perché a subirne le conseguenze saranno i lavoratori della scuola e tutta l’utenza. Non possiamo accettare, ad esempio, che l’Invalsi si trasformi da organo monitore a organo certificatore. Distribuendo etichette alle scuole sulla base di discutibilissimi modelli standard nazionali.

“Il Governo – conclude il sindacalista Anief-Confedir – faccia un passo indietro. Dando seguito ai consigli di quelle forze politiche che si sono già più volte espresse contro l’imposizione di questo modello, di origine privata, di intendere l’amministrazione pubblica e i suoi servizi. Il livello di qualità di un’istituzione, soprattutto se non produttiva di beni materiali, non può essere collocato dentro delle tabelle standardizzate. Ma va necessariamente ad incrociarsi con diverse variabili soggettive. La cui incisività sull’esito finale è quasi sempre dominante su tutto il resto. E tutto questo i nostri professori universitari a capo del Governo dovrebbero saperlo”.

 

Ancora una volta il Miur fa prevalere le esigenze di cassa travestendole da finte esigenze didattiche. La vera riforma è quella che passa per l'innalzamento dell'obbligo a 18 anni e il potenziamento dell'apprendistato. Di esempi virtuosi ce ne sono, basta guardare alla Germania. Solo che non vogliamo seguirli.

La conferma fornita oggi dal Ministro Profumo di voler ridurre di un anno la durata delle scuole superiori rappresenta una misura che va contro quello che ci chiede l'Unione Europea e che accade nei corsi d'istruzione della maggior parte dei paesi dell'area Ocse. Così commenta l'ANIEF l'apertura fornita oggi da un Ministro dell'istruzione dimissionario e senza alcun consenso politico verso un modello di scuola "azzoppato" di un anno.

"Il nostro Paese non ha bisogno di altri tagli, che porteranno a cancellare 50mila docenti e Ata, tra l'altro travestiti da finte operazioni didattiche", spiega Marcello Pacifico, presidente ANIEF e delegato ai quadri e direttivi della Confedir. "Profumo farebbe meglio piuttosto ad impegnarsi, nel breve tempo rimastogli a disposizione, ad operare per il bene della scuola italiana cominciando ad impostare una seria riforma della scuola superiore che passi per l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni e per la valorizzazione dell'apprendistato".

"La volontà manifestata dal Ministro - continua Pacifico - rappresenta, piuttosto, l'ennesima proposta che va contro la logica del merito e della cultura all'investimento delle risorse umane. Come se il tasso di abbandono scolastico in Italia non fosse tra i più alti dell'area Ocse. La verità è che la spinta a realizzare certe iniziative rimane legata a mere esigenze di cassa. La stessa che ha portato il suo predecessore, Maria Stella Gelmini, a cancellare oltre 150mila posti nella scuola in tre anni".

È significativo che tutte le indagini sull'istruzione prodotte negli ultimi anni, peraltro confermate da diverse agenzie internazionali e persino dallo stesso Miur, abbiano indicato esattamente l'opposto. Non bisogna andare lontano per rendersene conto: in Germania, infatti, gli studenti possono contare su un sapiente utilizzo dell'apprendistato, che essendo strettamente collegato al tessuto industriale permette ai giovani di specializzarsi in campi produttivi reali. E contemporaneamente di accrescere il proprio sapere continuando a frequentare i banchi di scuola.

 

Il presidente Marcello Pacifico: sarebbe un grave errore dettato solo da logiche di risparmio.

Che autorità ha un Ministro dimissionario per indicare al prossimo Governo una linea di indirizzo orientata al risparmio, auspicando la riduzione di un anno del percorso di studi scolastici, travestendola con delle buone intenzioni? A chiederlo è l’Anief, dopo aver preso visione dell’atto di indirizzo per il 2013 che il Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ha inviato all’esecutivo che scaturirà dalle elezioni politiche svolte alcuni giorni fa.

L’auspicio del Ministro di “superare la maggiore durata del corso di studi in Italia procedendo alla relativa riduzione di un anno” per “adeguare la durate del percorso di studi agli standard europei” ci lascia basiti. Se queste indicazioni fossero rispettate, infatti, il ciclo scolastico di ogni studente ne uscirebbe ulteriormente ridimensionato. Significherebbe voler continuare ad abbattere la qualità dell’istruzione pubblica italiana, oltre che calpestare le indicazioni dell’Unione Europea, la quale chiede sempre con maggiore insistenza al nostro Paese di allungare il periodo di formazione scolastica e il tempo che i nostri giovani debbono passare per formarsi e specializzarsi.

“Evidentemente – commenta Marcello Pacifico, presidente dell’Anief - non sono bastati i tagli draconiani degli ultimi tre Governi. Non sono bastati i 150mila posti cancellati dall’ex ministro dell’Economia, mai rimpianto, Giulio Tremonti. Non sono bastate le riforme Gelmini che hanno ridotto il tempo scuola ai minimi termini, lasciando i nostri bambini con insegnanti non più specializzati e senza compresenza. Ci mancava, veramente, che ora un ministro senza più alcun sostegno politico indicasse la volontà di puntare su una scuola meno impegnativa. E più selettiva, visto che continua ad insistere sulla necessità di introdurre delle prove di valutazione standardizzate la cui efficienza, soprattutto per le zone e scuole più in difficoltà, è tutta da dimostrare”.

“Se Profumo fosse tornato a promuovere anche l’utilità dall’abolizione legale del titolo di studio, avremmo assistito ad un commiato in perfetto stile Governo ‘taglia-scuola pubblica’. La verità è che stiamo assistendo a delle indicazioni finali di un esecutivo tecnico che, francamente, lasciano sconcertati. Peraltro rilasciate in un momento – conclude il presidente dell’Anief - in cui vi sarebbe un bisogno estremo di ‘conoscenza’ per rilanciare il sistema Paese”.

 

L’approvazione in Senato del regolamento sulla valutazione spiana la strada al Governo, che potrebbe ora approvare il testo negli ultimissimi giorni del suo mandato. In tal caso, i danni per la scuola sarebbero altissimi: attraverso un decreto frettoloso e inviso dalla grande maggioranza di coloro che operano nella scuola, si delegherebbe all’Indire, al corpo ispettivo e soprattutto all’Invalsi il ruolo di “etichettatori” degli istituti scolastici. Negando, in questo modo, le preziose conquiste ottenute con la scuola autonoma, con l’introduzione del curricolo e del portfolio delle competenze, giustamente incentrate sulle necessità del territorio e dell’alunno.

In linea con quanto preventivato dall’ultimo Governo Berlusconi ed in particolare dal suo Ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, che ha varato norme per tagliare i finanziamenti, dando ampio spazio a logiche aziendali-produttive, il regolamento sulla valutazione mortifica il ruolo della scuola libera e moderna. Assoggettandola alla certificazione del “Super-Invalsi”. E, come se non bastasse, prepara il terreno per la cancellazione di altre centinaia di scuole, “colpevoli” di essere poste in territori arretrati e frequentate da bambini e ragazzi difficili.

“Di fronte ad un Invalsi – sostiene Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – che avesse assunto il ruolo di “faro” e di garante della progettazione e della sperimentazione delle pratiche educative moderne, non avremmo avuto nulla da eccepire: il suo operato sarebbe infatti stato quello di fornire strumenti di valutazione indiretti delle scuole. Invece, quanto emerge dal modello approvato al Senato è quello di un organo superiore, che vuole esercitare la sua autorità ed arroganza imponendo standard qualitativi a livello nazionale. Mettendo quasi sullo stesso piano un liceo centrale di Milano con un istituto professionale del quartiere Zen di Palermo”.

Quello che appare paradossale è che debba essere un’associazione sindacale ad indicare al Miur che per ottenere una valutazione oggettiva di un istituto scolastico occorra obbligatoriamente considerare specifici parametri. Come quelli di difficoltà legati alla loro dislocazione, alla tipologia di utenza, alle caratteristiche sociali. Parametri che rappresentano anche le linee guida alla base della formulazione del Piano dell’Offerta Formativa di ogni istituto.

“Quello che si accinge ad approvare il Governo – continua Pacifico – è tra l’altro un modello già sperimentato, con fallimenti e insuccessi, all’interno delle Università: attuare una valutazione rigidamente standardizzata, come accaduto negli ultimi anni agli atenei, ha comportato una riduzione record delle iscrizioni pari al 25%. Oltre che un’impennata di abbandoni degli studi, con le maggiori percentuali proprio in quelle facoltà che lo Stato ha penalizzato economicamente ed in certi casi costretto a chiudere. In particolare quelle del Sud e con maggiori flussi migratori in entrata. Così, anziché dare linfa ai luoghi della formazione e della cultura dove è più difficile operare – conclude il presidente dell’Anief - si decide di affossarli abbandonandoli al loro destino”.

Il sindacato, inoltre, non può accettare che le sorti dell’istruzione italiana siano legate all’operato di un istituzione, l’Invalsi, che ha già mostrato i suoi limiti. Come in occasione degli esami di licenza media, con l’adozione di griglie di valutazione del merito espresse su 4/10 anziché sulla canonica scala 0-10.

L’Anief non ci sta: approvare questo regolamento sulla valutazione smonterebbe in un colpo solo il processo docimologico avviato nell’ultimo ventennio. E ci farebbe mestamente allontanare dalle direttive sulla materia volute dall’Unione Europea. Il nostro giovane sindacato valuterà, quindi, tutte le iniziative legali possibili per opporsi a questo modello formativo, approvato da un Governo dimissionario con il silenzio-assenso di alcune organizzazioni sindacali.

 

Lo avevamo detto in tempi non sospetti: se il Miur intende introdurre le nuove classi di concorso attraverso un mero atto ministeriale, senza passare per il Parlamento, l’Anief si opporrà con tutti i mezzi giudiziari possibili, ad iniziare dal ricorrere al Tar, perché saremmo di fronte ad un provvedimento unilaterale e privo di validità giuridica.

Fortunatamente, apprendiamo dalla stampa nazionale che il Ministero dell’Istruzione avrebbe finalmente preso coscienza delle contestazioni dei sindacati per la troppa celerità imposta da viale Trastevere all'iter di formazione del decreto di rinnovo delle classi di concorso. E che tra i motivi del passo indietro, dopo il tentativo di chiudere a tutti i costi prima dello scioglimento delle Camere, vi è “probabilmente, la scelta di passare dal regolamento governativo per l'approvazione, al decreto ministeriale. Percorso vulnerabile ai ricorsi”.

“Evidentemente - dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief - al Miur si sono finalmente resi conto che si stavano rendendo artefici di un’operazione chiaramente illegittima: approvare la drastica riduzione delle classi di concorso attraverso un decreto del Ministero è un atto privo di logica e di fondamento legislativo”.

La Legge 133/2008 indica infatti con chiarezza la necessità di far passare qualsiasi modifica dell’attuale assetto che regola abilitazioni e discipline d’insegnamento per le commissioni parlamentari di competenza. L’Anief ribadisce che cercare di aggirare quest’obbligo normativo, approfittando del rinnovo delle Camere, non avrebbe di certo salvato il Miur dalla presentazione al Tar di migliaia di ricorsi.

“Ha quindi fatto bene il Miur a prendere tempo – sottolinea il presidente dell’Anief - perché non servono colpi di mano, ma è necessaria una seria riflessione sulla materia. Da fare nell’ambito di un programma di crescita e di investimenti: se si vuole veramente voltare pagina, puntando ad un progetto di rilancio dell’istruzione italiana ad ampio raggio, non c’è alcun motivo di dimezzare le classi di concorso. Peraltro allargando in certi casi a dismisura il campo di insegnamento di un docente. Con il rischio di mettere in cattedra dei professionisti non sempre all’altezza della situazione. E non certo per colpa loro”.

Il giovane sindacato rimane convinto che in questo difficile momento le priorità della scuola italiana rimangono altre. Ad iniziare dall’organico funzionale, dall’incremento dei finanziamenti per un settore martoriato dai tagli degli ultimi anni e dalle immissioni in ruolo di tutti i precari.

 

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