Rifiorme

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Anche nel Documento di Economia e Finanza 2014, approvato l’8 aprile dal CdM, si chiede di rivedere il “metodo di reclutamento di insegnanti”. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): la chiamata diretta è incostituzionale e sarebbe non l’inizio ma la fine della meritocrazia. A che serve allora aver selezionato e abilitato 100 mila nuovi aspiranti docenti? E che fine faranno i 170 mila docenti nelle GaE? Il sindacato propone di inserire una quarta fascia, dove collocare gli ultimi abilitati. Ma anche di valutare la possibilità di introdurre una graduatoria unica nazionale. E se proprio si vuole puntare sulla valutazione, si cominci dal verificare l’operato di ministri, direttori generali e dirigenti.

“Procedere alla chiamata diretta degli insegnanti, come se le scuole fossero delle aziende private, significherebbe la fine e non l’inizio della meritocrazia”. Così risponde Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, alle aperture sempre più insistenti del Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, all’introduzione di un nuovo metodo di scelta degli insegnanti nelle nostre scuole pubbliche. Con cui si vorrebbe dire addio alle selezioni attraverso concorsi e graduatorie, previste per legge, per dare la possibilità ai dirigenti scolastici di individuare gli insegnanti più congeniali. Basterebbe invece rispettare l’imparzialità dell’esito dei pubblici concorsi, che devono rimanere l’unico filtro meritocratico per l’accesso nell’istruzione, come già avviene per legge in tutti i comparti dell’amministrazione pubblica.

Anief risponde a questo modello con un secco no, senza se e senza ma. Come si fa ad approvare un nuovo reclutamento che bypassi in un colpo solo le selezioni pubbliche di 100 mila docenti, tra concorsi, Tfa ordinario e Pas? E che fine farebbero i quasi 200 mila docenti abilitati inseriti nelle Gae? Invece di trovare una collocazione a questi insegnanti, come meritano, il Ministro non perde occasione, negli interventi in Parlamento, nelle uscite pubbliche e nelle interviste, di lodare i vantaggi della chiamata diretta. Che rimane, invece, una soluzione ideologica e irrealizzabile.

“Delegare la scelta di un insegnante della scuola pubblica al volere dei dirigenti scolastici – spiega Pacifico –produrrebbe non solo una seria minaccia alla libertà di insegnamento, ma anche una violazione del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Quel che serve alla nostra scuola è, piuttosto, un sistema complessivo di valutazione, che metta in discussione anche le capacità e l’efficienza degli stessi dirigenti”.

“Mentre si continua a mettere in dubbio le capacità dei nostri docenti, sempre più umiliati e sottopagati. I quali, forse si dimentica, sono già in possesso adeguati titoli di studio, specifiche abilitazioni, corsi specializzanti e idoneità all’insegnamento. Se proprio si vuole imporre questa logica, perché non si comincia con il valutare l’operato di ministri, direttori generali e degli stessi dirigenti?”

Laddove non via siano più aspiranti nelle GaE, Anief propone l’introduzione di una quarta fascia: all’interno si collocherebbero tutti gli idonei all'ultimo concorso, che per vari motivi non sono stati ancora immessi in ruolo, ma anche gli abilitati con il TFA, coloro che hanno conseguito il diploma magistrale fino al 2001. E, per finire, i circa 70 mila che si abiliteranno con i PAS.

“In tal modo – spiega Pacifico - le graduatorie rimarrebbero ad esaurimento, ma si scongiurerebbe la possibilità che possano rimanere senza candidati. E di aprire alla chiamata diretta auspicata dal Ministro Giannini. Che rimane un’operazione legata a scelte soggettive e discrezionali. Abbandonando l’attuale assegnazione di un punteggio oggettivo, sulla base dei titoli di studio e culturali acquisiti, nonché del servizio svolto”.

Secondo il sindacato, per scongiurare questo pericolo, si potrebbe introdurre una graduatoria unica nazionale, all’interno della quale inserire tutti gli abilitati: le convocazioni sarebbero inoltre interamente telematiche, senza più il vincolo delle 20 scuole per le graduatorie d'istituto. Anche se da rivedere in alcune parti, si potrebbe utilizzare come modello l’accesso alle Facoltà universitarie di Medicina: con l’individuazione dei vincitori che avviene per scorrimento, al termine di una prova unica gestita attraverso un bando nazionale.

Per chiudere il cerchio a favore degli alunni, servirebbe poi un aumento del tempo studio degli alunni attualmente sotto la media OCDE: basterebbe portare l'obbligo scolastico fino a 18 anni e anticipare l’inizio della primaria a 5 anni, oltre che diminuire il numero dei NEET. Solo con queste “mosse” si creerebbero i posti di lavoro sufficienti per assumere i 100 mila docenti abilitati negli ultimi anni.


Secondo il sindacalista Anief-Confedir, “in un Paese dove i cittadini non possono scegliere i ministri e dove gli stessi ministri non rispondono del loro operato, dove si diventa dirigenti dopo aver risposto a quesiti sbagliati, dove si può vincere un concorso a preside da precario, è inaccettabile la chiamata diretta degli insegnanti. Il ministro Giannini dovrebbe avere più rispetto delle commissioni che hanno valutato e rilasciato un titolo abilitante agli attuali 170 mila docenti precari inseriti nelle GaE: lasci stare la chiamata diretta, che è anche incostituzionale, e proceda, come l’Europa ci chiede dal 1999, all’assunzione di tutti i precari con più di 36 mesi di supplenze”.

Per approfondimenti:

Il Ministro Giannini scambia la scuola pubblica per quella privata: i prof non si scelgono per chiamata diretta

Dalla Fondazione Agnelli una proposta irricevibile: gli insegnanti non si scelgono per chiamata diretta

 

Anche nel Documento di Economia e Finanza 2014, approvato l’8 aprile dal CdM, si chiede di rivedere il “metodo di reclutamento di insegnanti”. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): la chiamata diretta è incostituzionale e sarebbe non l’inizio ma la fine della meritocrazia. A che serve allora aver selezionato e abilitato 100 mila nuovi aspiranti docenti? E che fine faranno i 170 mila docenti nelle GaE? Il sindacato propone di inserire una quarta fascia, dove collocare gli ultimi abilitati. Ma anche di valutare la possibilità di introdurre una graduatoria unica nazionale. E se proprio si vuole puntare sulla valutazione, si cominci dal verificare l’operato di ministri, direttori generali e dirigenti.

“Procedere alla chiamata diretta degli insegnanti, come se le scuole fossero delle aziende private, significherebbe la fine e non l’inizio della meritocrazia”. Così risponde Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, alle aperture sempre più insistenti del Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, all’introduzione di un nuovo metodo di scelta degli insegnanti nelle nostre scuole pubbliche. Con cui si vorrebbe dire addio alle selezioni attraverso concorsi e graduatorie, previste per legge, per dare la possibilità ai dirigenti scolastici di individuare gli insegnanti più congeniali. Basterebbe invece rispettare l’imparzialità dell’esito dei pubblici concorsi, che devono rimanere l’unico filtro meritocratico per l’accesso nell’istruzione, come già avviene per legge in tutti i comparti dell’amministrazione pubblica.

Anief risponde a questo modello con un secco no, senza se e senza ma. Come si fa ad approvare un nuovo reclutamento che bypassi in un colpo solo le selezioni pubbliche di 100 mila docenti, tra concorsi, Tfa ordinario e Pas? E che fine farebbero i quasi 200 mila docenti abilitati inseriti nelle Gae? Invece di trovare una collocazione a questi insegnanti, come meritano, il Ministro non perde occasione, negli interventi in Parlamento, nelle uscite pubbliche e nelle interviste, di lodare i vantaggi della chiamata diretta. Che rimane, invece, una soluzione ideologica e irrealizzabile.

“Delegare la scelta di un insegnante della scuola pubblica al volere dei dirigenti scolastici – spiega Pacifico –produrrebbe non solo una seria minaccia alla libertà di insegnamento, ma anche una violazione del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Quel che serve alla nostra scuola è, piuttosto, un sistema complessivo di valutazione, che metta in discussione anche le capacità e l’efficienza degli stessi dirigenti”.

“Mentre si continua a mettere in dubbio le capacità dei nostri docenti, sempre più umiliati e sottopagati. I quali, forse si dimentica, sono già in possesso adeguati titoli di studio, specifiche abilitazioni, corsi specializzanti e idoneità all’insegnamento. Se proprio si vuole imporre questa logica, perché non si comincia con il valutare l’operato di ministri, direttori generali e degli stessi dirigenti?”

Laddove non via siano più aspiranti nelle GaE, Anief propone l’introduzione di una quarta fascia: all’interno si collocherebbero tutti gli idonei all'ultimo concorso, che per vari motivi non sono stati ancora immessi in ruolo, ma anche gli abilitati con il TFA, coloro che hanno conseguito il diploma magistrale fino al 2001. E, per finire, i circa 70 mila che si abiliteranno con i PAS.

“In tal modo – spiega Pacifico - le graduatorie rimarrebbero ad esaurimento, ma si scongiurerebbe la possibilità che possano rimanere senza candidati. E di aprire alla chiamata diretta auspicata dal Ministro Giannini. Che rimane un’operazione legata a scelte soggettive e discrezionali. Abbandonando l’attuale assegnazione di un punteggio oggettivo, sulla base dei titoli di studio e culturali acquisiti, nonché del servizio svolto”.

Secondo il sindacato, per scongiurare questo pericolo, si potrebbe introdurre una graduatoria unica nazionale, all’interno della quale inserire tutti gli abilitati: le convocazioni sarebbero inoltre interamente telematiche, senza più il vincolo delle 20 scuole per le graduatorie d'istituto. Anche se da rivedere in alcune parti, si potrebbe utilizzare come modello l’accesso alle Facoltà universitarie di Medicina: con l’individuazione dei vincitori che avviene per scorrimento, al termine di una prova unica gestita attraverso un bando nazionale.

Per chiudere il cerchio a favore degli alunni, servirebbe poi un aumento del tempo studio degli alunni attualmente sotto la media OCDE: basterebbe portare l'obbligo scolastico fino a 18 anni e anticipare l’inizio della primaria a 5 anni, oltre che diminuire il numero dei NEET. Solo con queste “mosse” si creerebbero i posti di lavoro sufficienti per assumere i 100 mila docenti abilitati negli ultimi anni.


Secondo il sindacalista Anief-Confedir, “in un Paese dove i cittadini non possono scegliere i ministri e dove gli stessi ministri non rispondono del loro operato, dove si diventa dirigenti dopo aver risposto a quesiti sbagliati, dove si può vincere un concorso a preside da precario, è inaccettabile la chiamata diretta degli insegnanti. Il ministro Giannini dovrebbe avere più rispetto delle commissioni che hanno valutato e rilasciato un titolo abilitante agli attuali 170 mila docenti precari inseriti nelle GaE: lasci stare la chiamata diretta, che è anche incostituzionale, e proceda, come l’Europa ci chiede dal 1999, all’assunzione di tutti i precari con più di 36 mesi di supplenze”.

Per approfondimenti:

Il Ministro Giannini scambia la scuola pubblica per quella privata: i prof non si scelgono per chiamata diretta

Dalla Fondazione Agnelli una proposta irricevibile: gli insegnanti non si scelgono per chiamata diretta

 

In poche ore boom di adesioni alla proposta rivolta al Premier Renzi: non possiamo parlare di istruzione di qualità se abbiamo il 62% degli insegnanti con oltre 50 anni, quasi 70 mila ultra 60enni e la riforma Fornero che alzerà ancora i numeri. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ormai c’è piena convergenza sul chiedere al Governo di ricordarsi della specificità della scuola rispetto al resto del pubblico impiego, per l‘altissimo logorio e rischio burnout. È giunta l’ora dei fatti, basta con la demagogia: si dia seguito alla staffetta generazionale del Ministro Madia approvando una deroga per il comparto.

Si fanno incessanti le pressioni sul Governo perché ponga rimedio alla contraddizione di puntare su una scuola di qualità ma, nel contempo, di ritrovarci entro pochi anni con il corpo insegnante più vecchio del mondo: in poche ore ha raccolto oltre 25 mila adesioni alla petizione di Mila Spicola, la scrittrice, docente e componente della direzione nazionale del Pd, che intende convincere il Premier Renzi di trovare un rimedio all’ingiusta legge che pone il personale scolastico sullo stesso piano degli altri dipendenti pubblici.

La petizione di Mila Spicola fa seguito, tra l’altro, alla proposta del Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, di puntare su una staffetta generazionale che permetterebbe ai giovani, finalmente, di essere immessi nel mercato del lavoro, svecchiando i comparti della PA dove non si assume o lo si fa al minimo. Si tratta di una strade inevitabile, che dopo la Ragioneria Generale dello Stato solo il Ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, ha detto di non condividere perché innescherebbe dei conflitti tra i lavoratori. Chiediamo al Ministro Giannini come si fa a sostenere questo, almeno nella scuola, dal momento che dall’ultimo rapporto 'Education at a glance' risulta che nel 2011 in Italia aveva più di 50 anni il 47,6% dei docenti della primaria, il 61% di quelli delle medie inferiori e il 62,5% di quelli delle superiori. Mentre solo lo 0,27 per cento dei nostri insegnanti ha meno di 30 anni. Contro la presenza di insegnanti under 30 che in Germania si colloca al 3,6%, in
Austria e Islanda al 6%, in Spagna al 6,8%. Il conflitto, è proprio il caso di dire, si creerebbe continuando a tenere gli aspiranti docenti lontani dalla scuola e costringendo a lasciare in cattedra chi ci sta da una vita.

Il boom di consensi che sta raccogliendo Mila Spicola conferma che solo i nostri governanti e legislatori non riescono a rendersi conto della gravità della situazione. “Come può una maestra di 67 anni – si chiede la docente e scrittrice - correre dietro a bambini di 5/6 anni se non ce la fa più? È la domanda che si fanno tutti. Ma che evidentemente non si è posto il legislatore. Molti sono i docenti che continuano con entusiasmo e motivazione a insegnare, a innovare e ad adeguare i propri metodi e le strategie didattiche. Per alcuni invece non è così, specialmente dopo i 60 anni, prevalgono stanchezza o altre motivazioni e la scuola diventa un calvario. Un calvario che si riflette e arriva sugli alunni e le loro famiglie. Significativo il caso dei docenti della cosiddetta Quota 96 per i quali comunque la pensione è un diritto acquisito”.

Quella dei Quota 96 (raggiungibile sommando l’età dei lavoratori e gli anni di contributi riconosciuti) è una situazione sempre più paradossale: in 4 mila sarebbero dovuti andare in pensione ormai da un anno e mezzo se solo la riforma Fornero non fosse stata introdotta ignorando, anche in questo caso, le specificità della scuola. Dimenticando che gli insegnanti ed il personale Ata può accedere all’assegno di quiescenza solo con la “finestra” del 1° settembre di ogni anno. E che il conteggio del servizio sino alla fine di agosto va considerato con i vecchi parametri perché inglobato nell’anno scolastico.

“Quanto è accaduto negli ultimi mesi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – conferma l’errore compiuto da chi ha redatto l’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. Ma, ancora peggio, la mancanza di volontà nel correggerlo. È scientificamente provato che chi opera nella scuola svolge uno dei lavori più stressanti e a rischio burnout: è il mestiere che impegna di più in relazioni umane e nello sviluppo della persona. Ma che purtroppo, paradossalmente, è anche quello che è stato più sacrificato sull’altare dei tagli nella pubblica amministrazione”.

“Da un nostro recente studio – continua il sindacalista Anief-Confedir – risulta che negli ultimi 10 anni le immissioni in ruolo dei docenti sono state di gran lunga inferiori ai pensionamenti. Se a questo aggiungiamo che il 62% degli stessi insegnanti è over 50 e che, grazie alla riforma Fornero, entro qualche anno ci ritroveremo con oltre 100 mila insegnanti ultra 60enni, non c’è altra scelta: bisogna dare subito pieno credito a petizioni come quelle della scrittrice Mila Spicola, che vanno nella stessa direzione della proposta del ministro Madia di agevolare il ricambio generazionale. Altrimenti – conclude Pacifico – sulla scuola si continuerà a fare solo tanta demagogia”.

Per approfondimenti:

Con il 2014 altro giro di vite sulle pensioni: gli insegnanti italiani i più vecchi al mondo

 

In poche ore boom di adesioni alla proposta rivolta al Premier Renzi: non possiamo parlare di istruzione di qualità se abbiamo il 62% degli insegnanti con oltre 50 anni, quasi 70 mila ultra 60enni e la riforma Fornero che alzerà ancora i numeri. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): ormai c’è piena convergenza sul chiedere al Governo di ricordarsi della specificità della scuola rispetto al resto del pubblico impiego, per l‘altissimo logorio e rischio burnout. È giunta l’ora dei fatti, basta con la demagogia: si dia seguito alla staffetta generazionale del Ministro Madia approvando una deroga per il comparto.

Si fanno incessanti le pressioni sul Governo perché ponga rimedio alla contraddizione di puntare su una scuola di qualità ma, nel contempo, di ritrovarci entro pochi anni con il corpo insegnante più vecchio del mondo: in poche ore ha raccolto oltre 25 mila adesioni alla petizione di Mila Spicola, la scrittrice, docente e componente della direzione nazionale del Pd, che intende convincere il Premier Renzi di trovare un rimedio all’ingiusta legge che pone il personale scolastico sullo stesso piano degli altri dipendenti pubblici.

La petizione di Mila Spicola fa seguito, tra l’altro, alla proposta del Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, di puntare su una staffetta generazionale che permetterebbe ai giovani, finalmente, di essere immessi nel mercato del lavoro, svecchiando i comparti della PA dove non si assume o lo si fa al minimo. Si tratta di una strade inevitabile, che dopo la Ragioneria Generale dello Stato solo il Ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, ha detto di non condividere perché innescherebbe dei conflitti tra i lavoratori. Chiediamo al Ministro Giannini come si fa a sostenere questo, almeno nella scuola, dal momento che dall’ultimo rapporto 'Education at a glance' risulta che nel 2011 in Italia aveva più di 50 anni il 47,6% dei docenti della primaria, il 61% di quelli delle medie inferiori e il 62,5% di quelli delle superiori. Mentre solo lo 0,27 per cento dei nostri insegnanti ha meno di 30 anni. Contro la presenza di insegnanti under 30 che in Germania si colloca al 3,6%, in
Austria e Islanda al 6%, in Spagna al 6,8%. Il conflitto, è proprio il caso di dire, si creerebbe continuando a tenere gli aspiranti docenti lontani dalla scuola e costringendo a lasciare in cattedra chi ci sta da una vita.

Il boom di consensi che sta raccogliendo Mila Spicola conferma che solo i nostri governanti e legislatori non riescono a rendersi conto della gravità della situazione. “Come può una maestra di 67 anni – si chiede la docente e scrittrice - correre dietro a bambini di 5/6 anni se non ce la fa più? È la domanda che si fanno tutti. Ma che evidentemente non si è posto il legislatore. Molti sono i docenti che continuano con entusiasmo e motivazione a insegnare, a innovare e ad adeguare i propri metodi e le strategie didattiche. Per alcuni invece non è così, specialmente dopo i 60 anni, prevalgono stanchezza o altre motivazioni e la scuola diventa un calvario. Un calvario che si riflette e arriva sugli alunni e le loro famiglie. Significativo il caso dei docenti della cosiddetta Quota 96 per i quali comunque la pensione è un diritto acquisito”.

Quella dei Quota 96 (raggiungibile sommando l’età dei lavoratori e gli anni di contributi riconosciuti) è una situazione sempre più paradossale: in 4 mila sarebbero dovuti andare in pensione ormai da un anno e mezzo se solo la riforma Fornero non fosse stata introdotta ignorando, anche in questo caso, le specificità della scuola. Dimenticando che gli insegnanti ed il personale Ata può accedere all’assegno di quiescenza solo con la “finestra” del 1° settembre di ogni anno. E che il conteggio del servizio sino alla fine di agosto va considerato con i vecchi parametri perché inglobato nell’anno scolastico.

“Quanto è accaduto negli ultimi mesi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – conferma l’errore compiuto da chi ha redatto l’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. Ma, ancora peggio, la mancanza di volontà nel correggerlo. È scientificamente provato che chi opera nella scuola svolge uno dei lavori più stressanti e a rischio burnout: è il mestiere che impegna di più in relazioni umane e nello sviluppo della persona. Ma che purtroppo, paradossalmente, è anche quello che è stato più sacrificato sull’altare dei tagli nella pubblica amministrazione”.

“Da un nostro recente studio – continua il sindacalista Anief-Confedir – risulta che negli ultimi 10 anni le immissioni in ruolo dei docenti sono state di gran lunga inferiori ai pensionamenti. Se a questo aggiungiamo che il 62% degli stessi insegnanti è over 50 e che, grazie alla riforma Fornero, entro qualche anno ci ritroveremo con oltre 100 mila insegnanti ultra 60enni, non c’è altra scelta: bisogna dare subito pieno credito a petizioni come quelle della scrittrice Mila Spicola, che vanno nella stessa direzione della proposta del ministro Madia di agevolare il ricambio generazionale. Altrimenti – conclude Pacifico – sulla scuola si continuerà a fare solo tanta demagogia”.

Per approfondimenti:

Con il 2014 altro giro di vite sulle pensioni: gli insegnanti italiani i più vecchi al mondo

 

Il sindacato ha chiesto audizione informale alla VII Commissione permanente per presentare un emendamento al ddl n. 1260, relatore sen. Francesca Puglisi (PD), recante 'Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento'. Marcello Pacifico (Anief): è una modifica a costo zero che porterebbe vantaggi formativi e occupazionali, in Europa sono 12 i paesi che prevedono un periodo di frequenza obbligatorio della scuola più lungo del nostro.

Se si vuole fermare la piaga crescente sulla dispersione e sull’esercito di giovani che non studiano e non lavorano non c’è più tempo da perdere: si anticipi l’avvio della scuola a 5 anni e si estenda l’istruzione dagli attuali 16 anni fino alla maggiore età. L’Anief ha deciso di presentare la proposta nel corso dell’audizione chiesta alla VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) in merito all’esame del ddl n. 1260, relatore alla Commissione sen. Francesca Puglisi (PD), recante 'Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento'.

Con l’emendamento ad disegno di legge, che ha come macro-obiettivo “l'estensione dell'educazione prescolare su tutto il territorio nazionale”, il sindacato intende passare ai fatti al fine di porre dei correttivi ad un sistema scolastico sempre più in crisi. Gli ultimi allarmanti dati sull’alto tasso di abbandoni precoci degli studi, dell’innalzamento della disoccupazione giovanile e dei Neet parlano chiaro. E anche gli ultimissimi numeri sui giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano: un “esercito” che si allarga di mese in mese, con oltre 2 milioni 250 mila giovani (il 24%).

La loro entità, ci dice l’Istat, dal 2008 è aumentata “del 21,1% (+391mila giovani)”. È un andamento di cui occorre preoccuparsi. L’incremento annuo già molto sostenuto nel 2009 e nel 2010, ha fatto registrare un consistente aumento nel 2012. Solo Grecia e Bulgaria presentano incidenze maggiori (27,1 e 24,7%) di Neet. In Italia la quota è infatti molto superiore a quella media dell’Ue27 (rispettivamente 23,9 e 15,9%). Rispetto ad alcuni paesi “vicini”, il confronto diventa quasi imbarazzante: Germania (9,6%), Francia (15,0%) e Regno Unito (15,4%). Anche la martoriata Spagna fa registrare una quota di Neet inferiore (22,6%).

In Italia il fenomeno è più spiccato al Sud: l’incidenza dei giovani che non studiano e non lavorano raggiunge il livello più alto, il 33,3% (contro il 17,6% nel Centro-Nord), ponendo in luce le criticità di accesso all’occupazione per un gran numero di giovani residenti nel meridione. Sicilia e Campania detengono le quote più elevate, con valori rispettivamente pari al 37,7 e 35,4%, seguite da Calabria e Puglia, con livelli pari al 33,8 e al 31,2%.

Anief torna a ribadire che a fronte di questi dati rimane incomprensibile come nell’ultimo quinquennio nel Mezzogiorno i Governi che si sono succeduti abbiano potuto operare i tagli maggiori al corpo docente di ruolo (fino al 18%) e non di ruolo (anche del 25%). I dati ufficiali indicano, infatti, una riduzione cospicua di insegnanti proprio nelle province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Attraverso l’emendamento al ddl, il sindacato chiederà quindi di adottare con estrema urgenza un rimedio radicale: anticipare a 5 anni l’inizio della didattica e ‘coprire’ tutti i cicli scolastici, sino al conseguimento del diploma di maturità, superando così l’obbligo scolastico oggi fermo a 16 anni. Con questo doppio passaggio si anticiperebbe la frequenza della scuola, ma senza incidere nella spesa dello Stato. Con una serie di indubbi vantaggi. Ad iniziare dalla riduzione di abbandoni.

Se i dirigenti di tutti gli istituti scolastici fossero infatti obbligati a far frequentare gli alunni, come avviene oggi nella scuola media e fino al biennio iniziale della secondaria, non ci ritroveremmo con le massime autorità dello Stato in materia di Istruzione pubblica che ammettono l’esistenza di un “problema drammatico soprattutto nel Mezzogiorno”, perché più di uno studente su dieci lascia proprio in quella fascia di età.

Obbligando i nostri giovani a frequentare la scuola fino alla maggiore età, quindi, si sposterebbe più avanti questo momento di “crisi”. Quando però la maggior parte dei nostri giovani avrà almeno in tasca il diploma di maturità. Mentre oggi (dati Censis) il 26% degli studenti iscritti negli istituti superiori statali al termine dei cinque anni non arriva a conseguire il titolo. Con le scuole del Sud che, ancora una volta, si ergono a leader negative: nella provincia di Napoli, ad esempio, negli istituti tecnici la percentuali di studenti che risultano dispersi nel quinquennio supera il 45%.

L’obiettivo è superare l’attuale legislazione sull'obbligo formativo, ridefinita dal decreto legislativo del 15 aprile 2005, n.76, art.1 e cioè come "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età": a distanza di quasi 10 anni dalla sua approvazione, questo modello debole di frequenza ha infatti dimostrato tutta la sua inefficacia.

“Portando l’obbligo scolastico da 10 anni a 13 complessivi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - , e anticipando a 5 l’inizio della scuola, si permetterebbe ai nostri bambini di poter essere guidati prima nella sempre più difficile gestione del flusso sempre più esteso di informazioni e stimoli esterni. Nel corso del tempo, ciò permetterebbe di agire su quel 36% di giovani che oggi decidono di non iscriversi ad un corso di laurea: più di 150mila ragazzi che ogni anno lo Stato dovrebbe preparare al meglio per il mondo del lavoro. C’è solo un modo per farlo: fargli frequentare, negli ultimi tre anni di scuola tra i 15 e i 18 anni di età, delle forme avanzate di alternanza scuola-lavoro. In tal modo, questi giovani si renderebbero più appetibili alle aziende, riducendo anche del 40% la possibilità che diventino disoccupati ed evitando che vadano ad ingrossare la già folta categoria dei Neet”.

Nel vecchio Continente l’obbligo formativo fino a 18 anni è già previsto in diversi paesi: proprio per ridurre i tassi di abbandono precoce, oltre ad assicurare a tutti gli studenti un titolo di studio, in tredici paesi la durata dell’istruzione obbligatoria a tempo pieno è stata prolungata di uno o due anni, o perfino di tre come nel caso del Portogallo a seguito a recenti riforme. E anche l’inizio prima dei 6 anni è già ampiamente sperimentato con successo, visto che in dieci paesi l’istruzione obbligatoria è stata anticipata di un anno (o addirittura di due, come in Lettonia). E la partecipazione dei bambini di 3 anni all’istruzione preprimaria è ormai quasi totale in Belgio, Danimarca, Spagna, Francia e Islanda. Con paesi, come l’Ungheria, dove il corso di studi totale dura anche 13 anni: ben tre più dell’Italia.

Come si attua l’obbligo scolastico in Europa

Paese
Inizio obbligo
Fine obbligo
Durata obbligo
Austria
6
15
9
Belgio
6
18*
12
Bulgaria
7
16
9
Cipro
5
15
10
Danimarca
6
16
10
Estonia
7
16
9
Finlandia
7
16
9
Francia
6
16
10
Galles
5
16
11
Germania
6
19*
13
Grecia
5
15
10
Inghilterra
5
16
11
Irlanda
6
16
10
Irlanda del Nord
4
16
12
Islanda
6
16
12
Italia
6
16
10
Lettonia
5
16
11
Liechtenstein
6
15
9
Lituania
7
16
9
Lussemburgo
4
15
11
Malta
5
16
11
Norvegia
6
16
10
Paesi Bassi
5
18
11
Polonia
6
18*
9
Portogallo
6
15
9
Repubblica Ceca
6
15
9
Romania
6
16
10
Scozia
5
16
11
Slovacchia
6
16
10
Slovenia
6
15
9
Spagna
6
16
10
Svezia
7
16
9
Turchia
6
14
8
Ungheria
5
18
13

 

Per approfondimenti:

Giovani: in 5 anni raddoppiati i disoccupati, senza una controriforma della scuola andrà sempre peggio

Obbligo scolastico, tendenza in Europa a prolungarlo. Italia, tra riforme e nuove proposte

Rapporto AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria superiore ad uno, tre e cinque anni dal diploma

 

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