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A poco più di 15 giorni dall’inizio dell’anno scolastico, la mancanza di notizie ufficiali sulle immissioni in ruolo lasciano in ambasce i primi 12mila candidati che hanno superato le prove del concorso a cattedra e 200mila precari che aspirano alla supplenza annuale. Impazzisce il sistema informatico del Miur, che in corso d’opera esclude tantissimi aspiranti dai Percorsi abilitanti speciali. Nessuna risposta viene data ai 21mila docenti che hanno appena acquisito l’abilitazione tramite il Tfa ordinario, ma vengono lasciati fuori dalle graduatorie ad esaurimento e quindi dal mondo del lavoro. Forte malcontento anche tra il personale di ruolo, cui per il quinto anno consecutivo è stato appena negato il rinnovo contrattuale. Anief-Confedir: l’aria è bollente, peggio di così il Governo non poteva fare.

Per il mondo della scuola sarà un Ferragosto vissuto con il patema d’animo. Dopo che circa 800mila docenti e Ata di ruolo hanno incassato dal Consiglio dei ministri il duro colpo del blocco stipendiale per il quinto anno consecutivo, almeno 15mila precari passeranno i giorni più caldi dell’anno ad attendere il decreto interministeriale che permetta loro di essere immessi in ruolo. Lo stato d’ansia non risparmia i vincitori del concorso a cattedra, molti dei quali non potranno essere assunti perché nel frattempo i tagli agli organici, il dimensionamento e il blocco del turn over hanno fatto sparire i posti liberi.

Poi ci sono decine di migliaia di esclusi dai Percorsi abilitanti speciali, a seguito della insensata decisione del Ministero dell’Istruzione di rendere più stringenti i requisiti d’accesso. Forte malcontento serpeggia anche tra i 21mila docenti che hanno appena concluso il Tfa ordinario, lasciati fuori dalle graduatorie ad esaurimento perché nel frattempo il Miur ha deciso che le abilitazioni conseguite dal 2013 sono “carta straccia”.

E che dire dei 3.500 inidonei all’insegnamento e docenti degli ex enti locali che ancora non sanno quale sarà il loro destino professionale? E dei ‘Quota 96’, che tutti vogliono aiutare ma che si apprestano ad iniziare un altro anno scolastico, loro malgrado, per colpa della riforma Fornero che li ha ingiustamente obbligati a rimanere in servizio?

Il disorientamento non risparmia nemmeno gli studenti. E le loro famiglie. Che dovranno abituarsi, ancora più degli altri anni, a vedere cambiare in continuazione i docenti dei loro figli, visto che in Italia un insegnante ogni sette è precario. Il ritardo delle immissioni in ruolo porterà, infatti, all’individuazione dei supplenti annuali in notevole ritardo rispetto all’avvio dell’anno scolastico. Nel frattempo i dirigenti scolastici, 2mila dei quali a capo di più istituti, saranno costretti a nominare i supplenti dei supplenti. Con un “balletto” di nomine di nuovi docenti che se va bene si concluderà a Natale.

“È questo l’incredibile scenario che aspetta oltre un milione di dipendenti, tra docenti e Ata di ruolo e non, al servizio dei nostri studenti: peggio di così il Governo non poteva fare”, commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola. “Fa davvero rabbia, perché mentre il Governo continua a prendere tempo e a rimandare l’approvazione di provvedimenti fondamentali, il ministro Carrozza a promettere di trovare soldi per salvare la scuola, tra gli addetti ai lavori l’aria che si respira si fa sempre più bollente. Per loro, ma anche per i loro alunni, e le rispettive famiglie, sarà un Ferragosto durante il quale, scolasticamente parlando, - conclude Pacifico - ci sarà davvero poco da festeggiare”.

 

Nessun fatto concreto per salvare più di 3.500 insegnanti, colpiti anche da gravi patologie, dal declassamento di livello professionale. Ha fatto bene l’Anief a presentare per loro ricorso al Tar del Lazio.

Sul futuro professionale di oltre 3.500 docenti (di cui 3.084 dichiarati non più idonei all'insegnamento, 460 insegnanti tecnico-pratici appartenenti alla classe di concorso C999 e di altri 28 titolari nella C555) il Governo continua a portare avanti l’intollerabile politica dello struzzo. Nelle ultime settimane abbiamo assistito solo ad una serie di promesse e dichiarazioni sul buon esito della vicenda. Anche da parte del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza.

Tuttavia, nessun impegno formale è stato preso per cancellare le disposizioni nefaste previste dagli artt. 13 e 14 del D.L. 95/2012, convertito nella Legge 135/12. L’ultima occasione, in ordine di tempo, è stata la seduta congiunta delle Commissioni Cultura e Lavoro della Camera, cui ha partecipato anche il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria. Al centro della discussione tenuta a Palazzo Montecitorio, c’erano le mozioni presentate dal M5S, dal Pd, dal PdL e da SeL: Rossi Doria si è limitato a ricordare che per evitare il transito del personale docente inidoneo nel comparto impiegatizio dello Stato servono 114,31 milioni per l’anno in corso, 110,09 milioni per il prossimo, 105,86 milioni per il 2015, 101,63 milioni per il 2016 e 97,41 milioni a partire dal 2017. E che il Governo è intenzionato ad adottare ”tutte le iniziative, anche di carattere normativo, volte ad individuare le migliori soluzioni per l'utilizzo e la valorizzazione del personale docente dichiarato inidoneo”.

Rimaniamo quindi sempre fermi alle buone intenzioni. Ma intanto, il tempo passa. E se non si trova una soluzione efficace, per coprire i risparmi previsti da una spending review che punisce incredibilmente del personale affetto in prevalenza da patologie, anche gravi, dal 1° gennaio 2014 scatterà la clausola di salvaguardia inserita nell'art. 1, comma 621, lettera b), della Legge n. 296/2006: in pratica si ridurrà l'importo disponibile dei fondi al comparto previsti di dall'articolo 4, comma 82, della Legge n. 183/2011 e di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge n. 112/2008.

Alla luce di questo quadro sull’evolversi della situazione politica della vicenda inidonei/Itp, a dir poco deludente, ha fatto bene l’Anief a rivolgersi al Tar del Lazio per chiedere la sospensione degli effetti del decreto interministeriale, firmato nel marzo scorso, attuativo degli artt. 13 e 14 della Legge 135/12, al fine di evitare già dal prossimo anno scolastico il transito dei docenti ricorrenti nei ruoli del personale Ata.

 

L'Anief organizza l'apertura starordinaria di sportelli di consulenza su tutto il territorio nazionale per agevolare le procedure di compilazione delle domande di utilizzazione e assegnazione provvosoria. Di seguito i riferimenti degli sportelli per ogni regione. La tabella verrà aggiornata costantemente.

 

 

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Crescono i Neet, ma anche tantissimi laureati rimangono senza occupazione. Non ci vengano a dire che è colpa della crisi: a condannare i nostri under 25 sono stati il taglio delle risorse per la formazione e degli incentivi al lavoro, il blocco del turn over e dei salari. E l’abbattimento degli organici: solo nella PA in dieci anni spariti 360mila posti. Manca una vera riforma dell’apprendistato. E anche il comparto privato è stato abbandonato.

Le informazioni contenute nell’Employment out look dell’Ocse, basate sui risultati di fine 2012 e pubblicate oggi, confermano che l’Italia non è più un paese adatto ai giovani. Il crollo al 20,5% del tasso di occupazione dei 15-24enni è un dato che parla da solo. E che dire dell’aumento, definito dagli stessi esperti di Parigi "preoccupante", della quota di giovani che non sono né nel mondo del lavoro, né in educazione né in formazione (Neet), cresciuta in cinque anni, tra gli under 25, di oltre 5 punti percentuali e arrivata a fine 2012 al 21,4%? E non vale nemmeno la teoria che tutti sono in queste condizioni: solo Grecia e Turchia, tra i 34 Paesi dell'organizzazione, hanno infatti una quota di Neet più elevata.

Anche il futuro, scorrendo sempre il rapporto Ocse, non promette nulla di buono, visto che, sempre secondo l’Ocse, per questi giovani c’è "un rischio crescente di effetti negativi a lungo termine". Ci sono, infine, da considerare le proiezioni sulla disoccupazione italiana: continuerà ad aumentare per quest'anno e il prossimo. Con le fasce giovanili, per vari motivi indifese, che saranno sempre le prime colpite.

I sindacati Anief e Confedir ritengono che le cause di questa situazione non possono addebitarsi solo alla crisi economica internazionale: i governi italiani, infatti, hanno provveduto negli ultimi anni ad approvare una serie di provvedimenti che hanno tarpato le ali ai giovani e alle loro prospettive lavorative. Basti pensare al taglio delle risorse per la formazione e degli incentivi al lavoro, al blocco del turn over e dei salari.

“Si sono create le condizioni – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – per rendere inutile una vita di studi e di formazione. La speranza di poter contribuire con il proprio dovere professionale e civico al bene proprio e del paese si è sempre più smorzata. Tanto è vero che tantissimi giovani, anche in possesso di titoli di studio elevati, laureati e con master alle spalle, hanno notevoli problemi a trovare un impiego. Quanto sta accadendo nella scuola vale per tutti: si organizza un concorsone per selezionare oltre 11mila insegnanti e poi mancano i posti per assumerli; si abilitano 21mila futuri docenti, tramite il Tfa ordinario, ma poi si tengono fuori dalle graduatorie ad esaurimento che portano all’assunzione in ruolo. Ma come fa un giovane, in queste condizioni, a costruirsi un progetto di vita?”.

Anief-Confedir trovano assurdo, inoltre, che gli esecutivi che si sono succeduti abbiano progressivamente provveduto a bloccare il naturale ricambio generazionale nella pubblica amministrazione: un comparto dove operano oltre 3 milioni di dipendenti, ma dove da anni non si provvede più ad assumere. Viene anche da chiedersi come si possa mantenere lo stesso livello dei servizi se nel pubblico impiego in dieci anni sono stati cancellati 360mila posti. Con l’approvazione della riforma Fornero, infine, il quadro si è ulteriormente complicato.

“Servirebbe una politica che guardasse con attenzione al bene dei giovani – continua Marcello Pacifico –, ad iniziare dall’approvazione di una vera riforma dell’apprendistato. La quale permetterebbe ai nostri ragazzi, come avviene in Germania, di specializzarsi prima di avventurarsi nella ricerca del lavoro. E nemmeno il comparto privato, stretto tra riduzione del volume di affari, tassazione record e mancati pagamenti da parte dell’amministrazione pubblica, riesce più ad assorbire una fetta importante di lavoratori in erba. E’ dura ammetterlo, ma l’Italia non è più un paese per giovani”.

 

ANIEF: si utilizzino gli esiti delle risposte per comprendere dove potenziare l'offerta formativa, non per abbandonare al loro destino le scuole più svantaggiate.

L'alta disomogeneità territoriale dei risultati riconducibili alle prove Invalsi svolte nel 2013, presentati oggi a Roma, conferma che l'amministrazione scolastica deve rivedere con urgenza le finalità cui conducono queste prove standard: le rilevazioni sugli apprendimenti condotte nel mesi di maggio e giugno hanno fatto emergere una differenziazione degli apprendimenti che va ben oltre il tradizionale divario Nord-Sud (con Trento, Bolzano, Friuli, Veneto, Piemonte e Marche che ottengono le performance migliori), ma si caratterizza per un'alta diversità di risultati tra comuni della stessa provincia. In molti casi anche tra scuole limitrofe, poche centinaia di metri l'una dell'altra, si sono riscontrati risultati ben diversi.

Anief ribadisce che si tratta di verifiche tutte da rivedere, perché per come sono predisposte e somministrate non servono, non aiutano gli alunni e non sono da stimolo per le scuole a migliorarsi. Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, "i risultati ottenuti dai test predisposti dall'Invalsi non sono frutto solo delle conoscenze, capacità e competenze acquisite in classe, ma derivano da elementi endogeni alla scuola. Sul loro rendimento influiscono tantissimo, infatti, le capacità culturali, valoriali ed economiche delle famiglie, dei servizi sociali, dell'entourage territoriale".

Il sindacato reputa, quindi, che prima di valutare un alunno è indispensabile registrare sempre il suo punto di partenza riguardante, oltre alle conoscenze scolastiche, anche gli strumenti operativi a sua disposizione, il gruppo classe di cui fa parte, la famiglia di provenienza, il territorio in cui vive. Calare dall'alto delle domande uguali per tutti deve prevedere tutto questo. Altrimenti si rischia di imporre un modello uniforme a degli "attori" fortemente diversi uno dall'altro.

"Speriamo che il Miur colga queste evidenti indicazioni - continua Pacifico - utilizzando finalmente le indicazioni provenienti dal rapporto Invalsi per scollegare una volta per tutte i risultati degli studenti dal merito dei docenti e dei dirigenti scolastici. Per utilizzarli, invece, ai fini di una più mirata assegnazione delle risorse a sostegno dei progetti di potenziamento dell'offerta formativa statale su contesti specifici particolarmente svantaggiati: le aree territoriali, le zone a rischio e gli istituti scolastici più in difficoltà non hanno bisogno di essere giudicati. Ma di avere maggiore sostegno".

 

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