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Pacifico (Anief): anziché puntare sull’energia alternativa, serve un urgente rilancio dell’istruzione e un serio piano di sviluppo economico legato al patrimonio culturale.

“Il rapporto annuale dello Svimez presentato in queste ore è la conferma che la condizione del Sud Italia e in particolare dei suoi giovani è sempre più allarmante: anziché puntare sull’energia alternativa, serve un urgente rilancio dell’istruzione e un serio piano di sviluppo economico legato al patrimonio culturale”. Così Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, commenta i dati pubblicati oggi dall'associazione per lo sviluppo nell'industria del Mezzogiorno.

Quello reso pubblico dallo Svimez è un quadro che vede il Sud particolarmente penalizzato nell'istruzione. Che si aggiunge al già noto tasso di abbandono scolastico, di ben sei punti sopra la media nazionale. E quello di scolarizzazione, invece, purtroppo ben al di sotto. Particolarmente penalizzati sono poi i settori della salute, della sicurezza, della ricerca e dello sviluppo. Con il risultato che solo nel 2011 si sono trasferiti al Nord 114mila cittadini ed è raddoppiato il numero dei laureati che hanno cercato di affermarsi altrove. Inoltre, il tasso di povertà sta raggiungendo livelli preoccupanti, anche quando in famiglia entrano più stipendi.

“Alla luce di questo quadro davvero allarmante – prosegue Pacifico – occorre per forza di cose ripartire dalla scuola. Solo così si potrà recuperare una parte dei 700mila giovani, in prevalenza del meridione, che ogni anno abbandonano i banchi senza concludere gli studi. E solo così sarà possibile ridurre il fenomeno dei Neet (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano): nel 2012, ci ha detto il Cnel proprio in questi giorni, 2 milioni e 250 mila giovani italiani erano in quello stato. In pratica, un giovane su quattro. E uno su tre di essi si trovava nel Mezzogiorno, contro uno su sei al Nord e uno su cinque al Centro”.

Il sindacato è convinto che per invertire questa tendenza occorra agire con decisione e immediatezza. Iniziando ad adottare, nella distribuzione dei docenti da assegnare alle scuole, un criterio che tenga conto di tale emergenza. Destinando maggiori forze alle aree particolarmente difficili e più a rischio abbandono scolastico: “non è più possibile adottare lo stesso criterio, come avviene oggi, per l’assegnazione degli organici. Perché occorre tenere conto delle zone più disagiate. Se poi vi aggiungessimo – conclude il rappresentante Anief-Confedir – una seria riforma dell’apprendistato e un maggior sostegno professionale al personale che opera in contesti difficili, la forbice non potrà che tornare a stringersi”.

 

Pacifico (Anief-Confedir): mentre gli altri Paesi evolvono, la scuola italiana continua a retrocedere.

I dati Ocse sulle competenze culturali minime degli italiani, diffusi oggi dall’Isfol, sono a dir poco allarmanti: per quelle alfabetiche siamo ultimi, nelle matematiche penultimi e i neet stanno ormai diventando un fenomeno di massa. Ormai non ci si può più nascondere dietro la scusa della crisi economica internazionale, la realtà è che occorrono subito fatti. Ad iniziare dall’innalzamento dell’obbligo scolastico, a causa del quale ogni anno perdiamo 700mila alunni, passando per una maggiorazione del tempo scuola, incautamente ridotto del 10% a seguito delle riforme Gelmini, e per l’attivazione di un collegamento capillare del mondo formativo con le aziende.

“La clamorosa bocciatura emersa oggi dal rapporto Ocse-Isfol – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – conferma quello che il sindacato sostiene da tempo: occorre prima di tutto agire con urgenza per rendere obbligatoria la frequenza della scuola sino alla fine delle superiori. Poi è indispensabile restituire ai nostri allievi quel 10% di tempo scuola sottratto nell’ultimo quinquennio con le riforme Gelmini”.

“La terza operazione – continua il sindacalista Anief-Confedir – è finalizzata a dare un’inversione di tendenza alla ‘piaga’ dei neet, quei 2 milioni e mezzo di giovani, quantificati solo alcuni giorni fa dal Cnel, che vivono le loro giornate senza studiare né lavorare: è giunto il momento di avviare una seria riforma dell’apprendistato, prendendo come modello la Germania, dove il collegamento con le aziende e reale e proficuo. Se, invece, continuiamo a portare avanti la politica degli annunci – conclude Pacifico – mentre gli altri paesi evolvono, l’Italia per competenze culturali rimane destinata a rimanere vergognosamente in fondo alla classifica Ocse”.

 

Anief: verso i nostri 800mila professionisti dell’educazione sottopagati non c’è più considerazione sociale. Appello alle istituzioni: tornino a valorizzare i docenti.

“Nella giornata mondiale dell’insegnante non possiamo dimenticare le ‘tare’ con cui ormai si devono confrontare quotidianamente gli 800mila professionisti dell’educazione del nostro paese, sempre più osteggiati e messi in discussione: si sono sensibilmente ridotti di numero, in tanti sono avanti negli anni e costretti a lavorare loro malgrado, tutti sono sottopagati”. A sostenerlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, in occasione della giornata mondiale dell’insegnante.

Anche per colpa di una società che svilisce tutte le forme di sapere e di cultura, oggi più che mai il ruolo educativo di chi insegna è sempre più in discussione. Il sindacato coglie l’occasione per formulare un appello alle istituzioni perché diano finalmente un segnale di inversione di tendenza. Tornando finalmente a valorizzare gli insegnanti italiani.

Il sindacato non può fare a meno di soffermarsi sull’azione distruttiva che, in particolare nell’ultimo lustro, i nostri governanti hanno perpetrato nei loro confronti: 40 anni fa l’insegnante risultava tra le professionalità più rilevanti nella considerazione sociale e delle famiglie italiane. In molti casi rappresentava l’unica presenza tangibile dello Stato nelle zone più povere e emarginate.

I tagli agli organici e le riforme attuate dal 2007, la revisione del reclutamento e il progressivo innalzamento dell’età pensionabile hanno via via ridotto il personale. Inoltre, i giovani docenti sono aumentati e lasciati tali anche per decenni, al punto di arrivare ad escludere dalle graduatorie ad esaurimento tutti gli idonei ai concorsi, i giovani abilitati attraverso Tfa e anche (prossimamente) tramite Pas. Tanto è vero che il rapporto di lavoro si è sempre più precarizzato: piuttosto che assumere in ruolo, come indicato dall’Ue attraverso una chiara direttiva risalente al 1999, si è scelta la strada del licenziamento e della riassunzione ad oltranza. Perfino la maggior parte dei vincitori dell’ultimo concorso a cattedra è composta da ultra 35enni.

“A tal proposito, per contrastare lo sbarramento delle GaE, – sottolinea Pacifico – l’Anief la scorsa settimana ha presentato una serie di emendamenti alla VII Commissione Cultura della Camera, per permettere la giusta spendibilità e collocazione dell’abilitazione. Tali richieste di modifica ‘scadranno’ il prossimo martedì: speriamo che il legislatore possa essere illuminato e prevedere quell’inserimento che oggi viene negato a decine di migliaia di aspiranti docenti”.

“Ma lo svilimento della professione dell’insegnante italiano – continua il sindacalista - passa anche attraverso il loro scarso pagamento: gli stipendi dei nostri docenti sono in media il 25% più bassi della media europea. Che corrisponde ad uno scarto medio di 8-9mila euro annui. Che a fine carriera porta a far guadagnare ad un docente di liceo non più di 38mila euro, contro i 125mila dei colleghi che operano nel Lussemburgo”.

“Andando a spulciare gli ultimi rapporti internazionali (Ocse-OCDE, Save the Children, Eurodyce) e le stime nazionali ufficiali (Istat) – spiega ancora il rappresentante Anief-Confedir - si ravvisa poi una continua pioggia di numeri negativi: dal 2008 gli alunni iscritti sono aumentati di oltre 90mila unità, ma quello del personale (comprendendo anche gli Ata) si è ridotto di 200mila; la percentuale di tagli attuati nei confronti della scuola nell’ultimo quinquennio è pari al 75% di quella adottata nell’intera pubblica amministrazione italiana; i dirigenti scolastici e i Dsga sono passati da 12mila a 8mila”.

Superato ampiamente il già elevato “tetto” di 33 iscrizioni indicato dal Miur per gli istituti superiori, che scende a 20-25 in presenza di alunni disabili. E nelle due classi siciliane ve ne sono 8! Anief: tutto nasce dai tagli e dalle norme pro-risparmio approvate negli ultimi anni, ma anche dal Miur che non permette di sdoppiare le classi ad anno scolastico avviato. A spese della sicurezza, del diritto allo studio e del sostegno ai disabili.

A quasi un mese dall’avvio del nuovo anno scolastico, continuano a giungere conferme sull’abitudine di alcune amministrazioni scolastiche a concentrare un alto numero di alunni in un solo gruppo-classe. È clamoroso, in particolare, quanto sta accadendo nell’istituto professionale Alberghiero "Marconi" di Vittoria (in provincia di Ragusa), dove, per una incomprensibile norma ministeriale che proibisce ai dirigenti scolastici di incrementare il numero di classi ad anno scolastico iniziato, oggi sono presenti 2 classi con ben 40 alunni ciascuna. Un numero spropositato, che va ben oltre i limiti di capienza massima imposti dalle norme vigenti sulla sicurezza, oltre che quelle sulla tutela del diritto allo studio.

Ma c’è dell’altro: nelle due classi dell’istituto professionale siciliano sono iscritti anche otto alunni disabili. Una presenza che impone, su indicazione dello stesso Miur, a limitare il numero complessivo di iscritti per classe a 20 alunni (in presenza di diversamente abili gravi) o al massimo 25 (qualora le disabilità non fossero gravi). E non può bastare come giustificazione quanto dichiara il dirigente dell’istituto, come riportato da Orizzonte Scuola, secondo cui degli 80 alunni iscritti “molti non frequentano con assiduità“: cosa accadrà il giorno o i giorni in cui tutti i 40 iscritti per classe saranno presenti contemporaneamente. Per svolgere le esercitazioni in cucina o in palestra faranno i turni?

“Ancora una volta – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - eccoci a commentare gli effetti nefasti delle norme approvate in Italia negli ultimi anni che, ignorando la presenza in Italia di un alto numero di insegnanti di religione e di sostegno, hanno progressivamente innalzato il rapporto alunni-docenti. Si è arrivati al punto che anche in presenza di 30mila alunni in più, rispetto al 2012/2013, il Miur ha continuato ad applicare la Legge 111/2011, che impone lo stesso numero di insegnanti dell’anno precedente”.

Dopo aver denunciato, nella scorsa estate, che non si può parlare più di casi sporadici e che mentre il Governo si pavoneggia con l’approvazione di un decreto sulla scuola molto di facciata dal Miur continua a prevalere la politica del risparmio ad oltranza, ecco che dal ragusano giunge questa notizia di 80 alunni, di cui 8 disabili, divisi su due sole classi: non possiamo che tornare a dire che si tratta di una vergogna nazionale derivante dal fatto che negli ultimi cinque anni lo Stato ha tagliato 200mila posti tra docenti e Ata, tenuto ai margini 150mila precari abilitati vincitori di concorso e cancellato quasi 2mila scuole. Con il risultato che quelli che erano nati, durante la gestione Gelmini, come limiti numerici da adottare in casi eccezionali, sono diventati la norma: nella scuola d’infanzia si è passati da 28 a 29 alunni, alla primaria da 25 a 28 ed alle superiori si sono concesse deroghe fino alla presenza di 33 alunni per classe.

Sono numeri che stridono rispetto al buon senso. Ma anche alla normativa vigente, come indicato nello schema di risoluzione per superare il sovraffollamento delle classi, presentato dal senatore Fabrizio Bocchino (M5S) e approvato in estate dalla VII Commissione Cultura della Camera, dove si riporta che “in aula non possono essere presenti più di 26 persone, compresi gli insegnanti o l'eventuale ulteriore personale a qualunque titolo presente”. E che, in presenza di alunni disabili, “il numero complessivo dovrebbe essere al massimo di 20, in modo da facilitare i processi di integrazione e d'inclusività”.

Purtroppo, si tratta di parametri sistematicamente elusi. Con il Miur che continua a nascondersi dietro ad un dito, parlando di sforamenti rari e al di sotto l’1%. Come è grave che si continui ad eludere l’adozione di una nuova normativa per la formazione dell'organico di sostegno, dando seguito alla sentenza n. 80 del 26 febbraio 2010 con cui la Corte Costituzionale ha eliminato dall’ordinamento le disposizioni limitative contenute nell’art. 2, commi 413 e 414 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che fissavano rigidamente un limite al numero degli insegnanti di sostegno.

A tal proposito, l’Anief ha avviato l'iniziativa “Sostegno: non un'ora di meno!”, attraverso cui si vuole dire basta all'inaccettabile giustificazione di “questioni di bilancio” per violare i fondamentali diritti dei nostri alunni più deboli. Scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. il nostro sindacato mette gratuitamente a disposizione di questi ragazzi e delle loro famiglie tutta l'esperienza dei propri legali sull'intero territorio nazionale, in modo che i TAR possano riconoscere d'urgenza in loro favore l'assegnazione di un docente di sostegno per l'intero orario di servizio settimanale dell'insegnante (rapporto 1:1), nel pieno rispetto del reale fabbisogno didattico-educativo dell'alunno.

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Sostegno: non un'ora di meno!

 

Per il quinto anno ridotto il reddito delle famiglie in termini reali mentre l'occupazione giovanile si è ridotta di 786 mila posti di lavoro, mentre si conferma il movimento migratorio al centro e al nord dal sud e dalle isole. In un decennio, il numero di immatricolati alle università è sceso da 338 mila a 269 mila studenti, ovvero del 20.6 per cento in meno rispetto al 2003.

Vi sono nel 2012 tra i Neet (che non studiano e non lavorano) 2 milioni e 250 mila giovani, un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni, mentre uno su tre di essi si ritrova nel Mezzogiorno contro uno su sei al Nord e uno su cinque al Centro. Il tasso di disoccupazione, infatti, rispetto al titolo di studio conseguito da non più di tre anni, dimostra come vi sia un crollo di venti punti per i diplomati a differenza dei cinque punti per i laureati degli ultimi sei anni. A causa delle riforme delle pensioni introdotte negli ultimi 20 anni, si è ribaltato il rapporto della forza lavoro tra giovani (15-24 anni) e maturi (55-64 anni): nel 1993 i primi erano al 15 per cento e i secondi al 9 cento, nel 2012. I primi scendono al 6,5 per cento e i secondi salgono al 12 per cento. La forza di lavoro è divenuta troppo anziana, tanto che a fronte degli stessi livelli registrati in uscita dall'occupazione alla pensione intorno al 9 per cento nella classe 55-67 anni, gli stessi dopo la riforma Fornero sono scesi al 5 per cento. Infine, si registra tra il 2007 e il 2012 un aumento dei contratti a termine che ha superato quelli a tempo indeterminato, seguendo peraltro lo stesso andamento europeo cui sfugge la sola Germania.

Per Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, è necessario che il Governo intervenga subito nella conversione di tutti i contratti a termine superiori ai tre anni nel rispetto della direttiva comunitaria, sblocchi gli aumenti di stipendio, attui una riforma dell'apprendistato che immetta nel mondo del lavoro i ragazzi a 15 anni con l'alternanza allo studio obbligatorio fino a 19 anni o al termine della secondaria, distingua la contrattazione in base alle aree del Paese, riporti l'istruzione al centro del Paese potenziando l'orientamento tra la scuola superiore, l'università e il tutoraggio, permetta la retribuzione differita secondo le norme previgenti per ringiovanire la forza lavoro, apra un dialogo culturale verso l'area mediterranea al fine di agganciare lo sviluppo economico previsto anche nell'area africana, ripensi la devolution.

 

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