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Dati Ocse su occupazione - Anief-Confedir: l’Italia non è più un paese per giovani, troppo alto il rischio di rimanere senza lavoro

Crescono i Neet, ma anche tantissimi laureati rimangono senza occupazione. Non ci vengano a dire che è colpa della crisi: a condannare i nostri under 25 sono stati il taglio delle risorse per la formazione e degli incentivi al lavoro, il blocco del turn over e dei salari. E l’abbattimento degli organici: solo nella PA in dieci anni spariti 360mila posti. Manca una vera riforma dell’apprendistato. E anche il comparto privato è stato abbandonato.

Le informazioni contenute nell’Employment out look dell’Ocse, basate sui risultati di fine 2012 e pubblicate oggi, confermano che l’Italia non è più un paese adatto ai giovani. Il crollo al 20,5% del tasso di occupazione dei 15-24enni è un dato che parla da solo. E che dire dell’aumento, definito dagli stessi esperti di Parigi "preoccupante", della quota di giovani che non sono né nel mondo del lavoro, né in educazione né in formazione (Neet), cresciuta in cinque anni, tra gli under 25, di oltre 5 punti percentuali e arrivata a fine 2012 al 21,4%? E non vale nemmeno la teoria che tutti sono in queste condizioni: solo Grecia e Turchia, tra i 34 Paesi dell'organizzazione, hanno infatti una quota di Neet più elevata.

Anche il futuro, scorrendo sempre il rapporto Ocse, non promette nulla di buono, visto che, sempre secondo l’Ocse, per questi giovani c’è "un rischio crescente di effetti negativi a lungo termine". Ci sono, infine, da considerare le proiezioni sulla disoccupazione italiana: continuerà ad aumentare per quest'anno e il prossimo. Con le fasce giovanili, per vari motivi indifese, che saranno sempre le prime colpite.

I sindacati Anief e Confedir ritengono che le cause di questa situazione non possono addebitarsi solo alla crisi economica internazionale: i governi italiani, infatti, hanno provveduto negli ultimi anni ad approvare una serie di provvedimenti che hanno tarpato le ali ai giovani e alle loro prospettive lavorative. Basti pensare al taglio delle risorse per la formazione e degli incentivi al lavoro, al blocco del turn over e dei salari.

“Si sono create le condizioni – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – per rendere inutile una vita di studi e di formazione. La speranza di poter contribuire con il proprio dovere professionale e civico al bene proprio e del paese si è sempre più smorzata. Tanto è vero che tantissimi giovani, anche in possesso di titoli di studio elevati, laureati e con master alle spalle, hanno notevoli problemi a trovare un impiego. Quanto sta accadendo nella scuola vale per tutti: si organizza un concorsone per selezionare oltre 11mila insegnanti e poi mancano i posti per assumerli; si abilitano 21mila futuri docenti, tramite il Tfa ordinario, ma poi si tengono fuori dalle graduatorie ad esaurimento che portano all’assunzione in ruolo. Ma come fa un giovane, in queste condizioni, a costruirsi un progetto di vita?”.

Anief-Confedir trovano assurdo, inoltre, che gli esecutivi che si sono succeduti abbiano progressivamente provveduto a bloccare il naturale ricambio generazionale nella pubblica amministrazione: un comparto dove operano oltre 3 milioni di dipendenti, ma dove da anni non si provvede più ad assumere. Viene anche da chiedersi come si possa mantenere lo stesso livello dei servizi se nel pubblico impiego in dieci anni sono stati cancellati 360mila posti. Con l’approvazione della riforma Fornero, infine, il quadro si è ulteriormente complicato.

“Servirebbe una politica che guardasse con attenzione al bene dei giovani – continua Marcello Pacifico –, ad iniziare dall’approvazione di una vera riforma dell’apprendistato. La quale permetterebbe ai nostri ragazzi, come avviene in Germania, di specializzarsi prima di avventurarsi nella ricerca del lavoro. E nemmeno il comparto privato, stretto tra riduzione del volume di affari, tassazione record e mancati pagamenti da parte dell’amministrazione pubblica, riesce più ad assorbire una fetta importante di lavoratori in erba. E’ dura ammetterlo, ma l’Italia non è più un paese per giovani”.

 

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