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‘Perché non fa proposte su come valorizzare professionalità o eliminare sprechi?’

Il Ministro Fornero dovrebbe concentrarsi su come premiare il buon andamento della pubblica amministrazione italiana e non sulla ricerca spasmodica di modalità più restrittive per licenziare i suoi dipendenti”. Così il Presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, risponde alle parole del Ministro pronunciate oggi davanti agli studenti della facoltà di Economia dell'università di Torino.

Fornero forse non sa o fa finta di non sapere – sottolinea il Presidente dell’Anief – che i dipendenti pubblici rispetto ai colleghi che operano nel privato si trovano in una evidente situazione di svantaggio: dallo stesso Governo in carica, ad esempio, non hanno ottenuto alcuna ‘finestra’ sulle pensioni. Inoltre continuano a subire la trattenuta del 2,5% per l’accantonamento del Tfr, mentre nelle aziende private questo è interamente a carico del datore di lavoro”.

Secondo il rappresentante del giovane sindacato, inoltre, non si capisce quale restrizione ulteriore si possa attuare visto che già dal 2001 i dipendenti delle pubbliche amministrazioni possono essere licenziati per motivi legittimi: “ci saremmo aspettati – continua Pacifico – delle proposte su come finanziare i servizi per l’utenza oppure valorizzare le professionalità esistenti o su come eliminare gli sprechi di consulenze e deleghe (spesso non solo inutili ma anche clientelari). Perché solo investendo seriamente nella macchina pubblica si può ridare fiducia a tutti i lavoratori dello Stato”.

Spending review - Il Ministro Giarda ci dice che i tagli alla scuola serviranno a foraggiare “la struttura politica forte della sanità e gli interessi coalizzati delle industrie farmaceutiche”. È scandaloso, ma non ci sono novità rispetto agli ultimi tre anni: alla scuola solo per il personale sono stati tolti un miliardo e mezzo di euro, mentre la spesa per i dipendenti della PA è aumentata di due miliardi.

L’Anief ritiene inique, oltre che inapplicabili in un Paese moderno che punta al rilancio, le cifre sui tagli riguardanti la spending review, rese pubbliche oggi dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, nel corso dell'audizione in Commissione Bilancio di Camera e Senato: “è un po' come se la quota di spesa sanitaria salita di 5 punti percentuali dal 32 al 37% sia stata pagata dal taglio della spesa per la scuola, scesa dal 23 al 17”, ha dichiarato Giarda.

Secondo il Presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, è ormai evidente che la scelta del Governo Monti risulta in perfetta linea con quella di chi lo ha proceduto: “questo esecutivo considera la scuola come un comparto da cui eliminare pezzi e risorse vitali, in controtendenza rispetto a quanto avviene nei Paesi più sviluppati, come gli Stati Uniti e la Germania”

Ma il paradosso è che sempre oggi il Ministro Giarda è arrivato a giustificare gli incrementi di risorse in altri settori dell’amministrazione pubblica, come la sanità, non per migliorare servizi e strutture ma solo perché “dietro alla spesa sanitaria, affidata alle Regioni, c'è una struttura politica forte e interessi coalizzati delle industrie farmaceutiche e di beni e attrezzature”. “Sono affermazioni che si commentano da sole”, dice Pacifico.

Ancora di più perché la strada tracciata da tempo dall’Anief è ben diversa: prevede investimenti sul settore della scuola, dell’università e della ricerca, equità e un patto generazionale per le pensioni, tagli immediati ai benefit dei partiti politici e dei sindacati eliminando il rimborso elettorale e riducendo i distacchi. Ma anche la lotta alla precarietà del rapporto di lavoro e la tutela del diritto a una giusta retribuzione. Oltre che un piano industriale sullo sviluppo del patrimonio culturale e uno stop ai tagli indiscriminati.

Il rapporto sullo Spending review – continua il Presidente del giovane sindacato - ha evidenziato alcune criticità della nostra spesa pubblica concentrandosi, purtroppo, ancora una volta sui tagli e non sul rilancio dell’economia. Tutto questo accade mentre in Italia rispetto alla media Ocse si continuano a pagare pensioni iperboliche, per via dei privilegi consentiti soltanto ad alcune categorie nel passato, quando con 15 anni di contributi o una legislatura si maturava il diritto a un beneficio a vita”.

Per l’Anief tutto questo fa inorridire. Perché i giovani dovranno lavorare almeno 50 anni per andare in pensione dopo i 70 di età e con il 35% dell’ultima retribuzione. La spese per il settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca è scesa del 5,4% negli ultimi venti anni contrariamente agli investimenti decisi negli Stati Uniti d’America e in Germania, eliminando la figura del ricercatore e tagliando 100.000 posti tra docenti e personale Ata, nonché 4.000 presidenze. Gli stipendi sono stati bloccati per quattro anni, mentre si è proceduto all’utilizzo di personale precario per 1/7 del fabbisogno ordinario per risparmiare le spese sugli stipendi.

Da più parti, Governo in testa, si sente ripetere che la situazione di crisi internazionale è così grave che tutti, anche nella Pubblica Amministrazione, devono partecipare. Peccato che nell’ultimo triennio, a seguito della Legge Finanziaria 133/2008, solo alla scuola sono stati chiesti sacrifici: per il personale del comparto Istruzione, ad esempio, la spesa è diminuita di oltre un miliardo e mezzo; mentre quella complessiva del personale statale è addirittura aumentata di oltre 2 miliardi. E ora, a quanto ci dice il Ministro Giarda, la storia si ripeterà anche nel 2013. E questo perché non ci si può ribellare a “una struttura politica forte e a interessi coalizzati”. Strutture e interessi evidentemente più forti dello Stato.

Il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, chiede equità e un patto generazionale per le pensioni, subito investimenti sul settore della scuola, dell’università e della ricerca. Tagli immediati ai benefit dei partiti politici e dei sindacati eliminando il rimborso elettorale e riducendo i distacchi. Lotta alla precarietà del rapporto di lavoro e tutela del diritto a una giusta retribuzione. Un piano industriale sullo sviluppo del patrimonio culturale e uno stop ai tagli indiscriminati.

Il rapporto sullo Spending review approvato dal Consiglio dei Ministri ha evidenziato alcune criticità della nostra spesa pubblica concentrandosi, purtroppo, ancora una volta sui tagli e non sul rilancio dell’economia.

In Italia rispetto alla media Ocse si pagano pensioni superiori per via dei privilegi consentiti soltanto ad alcune categorie nel passato, quando con 15 anni di contributi o una legislatura si maturava il diritto a un beneficio a vita mentre i giovani dovranno lavorare almeno 50 anni per andare in pensione dopo i 70 di età con il 35% dell’ultima retribuzione. La spese per il settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca è scesa del 5,4% negli ultimi venti anni contrariamente agli investimenti decisi negli Stati Uniti d’America e in Germania, eliminando la figura del ricercatore e tagliando 100.000 posti tra docenti e personale Ata, nonché 4.000 presidenze. Gli stipendi sono stati bloccati per quattro anni, mentre si è proceduto all’utilizzo di personale precario per 1/7 del fabbisogno ordinario per risparmiare le spese sugli stipendi.

Nell’analizzare le anomalie, consigliamo al Governo di abbandonare la strada controproducente dei tagli lineari ai servizi e dell’aumento della pressione fiscale: l’unica strada rimane la riconversione industriale e produttiva intorno a un progetto condiviso che rilanci il nostro unico patrimonio culturale che ha già avuto in passato l’onore di ospitare la metà dei monumenti Unesco dell’umanità.

Attraverso la cultura si può vivere ma soltanto se si crede nei suoi operatori.

 

Il comunicato del Consiglio dei ministri

 

SPENDING REVIEW -

Il Consiglio dei Ministri ha esaminato il rapporto sulla spending review “elementi per una revisione della spesa pubblica”, illustrato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento e il Programma di governo, Piero Giarda.

Il rapporto, che segue l’approvazione del Documento di Economia e Finanza di mercoledì 18 aprile, analizza le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, con la finalità di evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita. La razionalizzazione e il contenimento dei costi sono infatti fondamentali per garantire, da un lato il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, dall’altro l’ammodernamento dello Stato e il rilancio dell’economia e dell’occupazione.

Il rapporto pone l’accento su cinque anomalie di sistema:

1. La prima riguarda la struttura della spesa pubblica italiana. In Italia si spende meno della media dei Paesi OCSE per la fornitura di servizi pubblici e per il sostegno agli individui in difficoltà economica mentre le spese per gli interessi sul debito pubblico e per le pensioni superano la media europea. Queste due voci valgono circa 310 miliardi di euro, una cifra che ostacola la flessibilità di gestione e adattamento della risposta pubblica alle domande provenienti dall’economia.

2. La seconda è rappresentata dal costo della produzione dei servizi pubblici. L’aumento dei costi di produzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, difesa, giustizia, sicurezza) non è stato accompagnato da un adeguato livello di qualità. Queste spese, secondo i dati ISTAT, sono cresciute in trenta anni, dal 1980 al 2010, molto più rapidamente dei costi di produzione dei beni di consumo privati. Se i costi del settore pubblico fossero aumentati nella stessa misura del settore privato, la spesa per i consumi collettivi oggi sarebbe stata di 70 miliardi di euro più bassa.

3. La terza è l’aumento delle spesa dovuto alle diffuse carenze nell’organizzazione del lavoro all’interno delle amministrazioni, nelle politiche retributive e nelle attività di acquisto dei beni necessari per la produzione.

4. La quarta riguarda l’evoluzione della spesa e la sua governance. Negli ultimi vent’anni, ad esempio, la spesa sanitaria è aumentata passando dal 32,3 per cento al 37 per cento del totale della spesa pubblica mentre la spesa per l’istruzione è scesa dal 23,1 per cento al 17,7 per cento. Ciò è dovuto in parte all’andamento demografico, in parte a decisioni che riguardano la sfera politica e la struttura degli interessi costituiti.

5. La quinta anomalia è nel rapporto centro-periferia, per cui gli enti locali esercitano le stesse funzioni, a prescindere dalle dimensioni e caratteristiche territoriali. Questo porta a una lievitazione dei costi negli enti con un numero inferiore di abitanti.

Secondo il rapporto, la spesa pubblica “rivedibile’’ nel medio periodo è pari a circa 295 miliardi di euro. A breve termine, la spesa rivedibile è notevolmente inferiore, stimabile in circa 80 miliardi. Nell’attuale situazione economica, il Governo ha ritenuto necessario un intervento volto alla riduzione della spesa pubblica per un importo complessivo di 4,2 miliardi, per l’anno 2012, al quale tutte le amministrazioni pubbliche devono concorrere. Questo importo potrebbe servire, per esempio, a evitare l’aumento di due punti dell’IVA previsto per gli ultimi tre mesi del 2012.

Una riduzione di 4,2 miliardi, da ottenersi in 7 mesi (1° giugno-31 dicembre 2012) equivale a 7,2 miliardi su base annua e corrisponde perciò al 9% della spesa rivedibile nel breve periodo (80 miliardi).

La riduzione, non lineare ma selettiva, sarà realizzata potenziando la linea di risparmio seguita dal Governo nei primi mesi di attività: ad esempio i risparmi (per oltre 20 milioni di euro) prodotti dalla Presidenza del Consiglio grazie alla diminuzione delle consulenze e ai tagli all’organico, la riduzione degli stipendi dei manager pubblici, i tagli sui voli di stato e sulle “auto blu”, la soppressione di enti, o la riforma delle province (in allegato al comunicato stampa la sintesi dei tagli effettuati).

Una direttiva del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro Giarda, indicherà ai Dicasteri le linee da seguire per contenere le spese di gestione. La direttiva disciplina specificamente il contributo che le amministrazioni centrali sono tenute a prestare per il raggiungimento dell’obiettivo della riduzione sopra indicato. Gli interventi richiesti vanno dall’eliminazione di sprechi ed eccessi di risorse impiegati, alla revisione dei programmi di spesa, al miglioramento delle attività di acquisto di beni e servizi, alla ricognizione degli immobili pubblici in uso alle pubbliche amministrazioni al fine di possibili dismissioni.

Per il coordinamento generale delle attività è costituito il comitato dei Ministri per la revisione della spesa, presieduto dal Presidente del consiglio dei Ministri e composto dal Ministro delegato per il Programma di governo, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dal Viceministro dell’economia e delle finanze e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Per assicurare rapida esecuzione al programma di revisione della spesa, soprattutto in ragione delle straordinarie condizioni di necessità e urgenza che impongono un intervento deciso sull’economia, il Consiglio dei Ministri ha previsto, con decreto legge, la funzione di Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo. Per l’incarico sarà nominato Enrico Bondi (il curriculum vitae è allegato al comunicato stampa).

Tra i compiti affidati al Commissario ci sono quello di coordinare l’attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte delle PA, incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organi, uffici, agenzie o soggetti pubblici, gli enti locali e le regioni, nonché assicurare una riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario potrà segnalare al Consiglio dei Ministri le norme di legge o regolamento che determinano spese o voci di costo e che possono essere razionalizzate. Potrà inoltre proporre al Consiglio la sospensione o la revoca di singole procedure relative all’acquisto di beni e servizi e l’introduzione di nuovi obblighi informativi a carico delle PA.

Meritano un attento esame anche le risorse pubbliche destinate alle imprese, così come quelle che affluiscono ai partiti politici e ai sindacati.

Per quanto riguarda gli aiuti alle imprese, il Consiglio dei Ministri ha conferito al Professor Francesco Giavazzi l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio e Ministro dell’Economia e delle finanze e al Ministro dello Sviluppo, delle infrastrutture e dei trasporti analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese.

Per quanto riguarda i partiti e i sindacati, il Consiglio dei Ministri ha conferito al Professor Giuliano Amato l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati.

Anief su intenzione del Governo di tagliare altre risorse alla scuola: siamo delusi e preoccupati, anche il Governo dei “tecnici” e dei docenti universitari ignora che i Paesi più sviluppati investono in istruzione e ricerca. Noi non ci stiamo, è ora di dire basta.

L’Anief non ci sta. Non si può pensare che la scuola possa essere sistematicamente il comparto da cui sottrarre risorse pubbliche per risanare il bilancio dello Stato. Siamo appena usciti da un triennio terribile, con la scuola che ha dovuto rinunciare ad oltre 8 miliardi di euro. Il nuovo Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, aveva recentemente affermato che il settore dell’istruzione non verrà più toccato dai tagli. E che è ora di tornare ad investire sulla cultura.

Le indicazioni che giungono dal Governo Monti sono però molto diverse. All’interno del rapporto sulla “spending review” della Pubblica amministrazione, predisposto dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, presentato oggi al Consiglio dei Ministri, quello dell’Istruzione figura come uno dei cinque Ministeri su cui attuare riduzioni di spesa per scongiurare l’ulteriore innalzamento dell’Iva del 2%. Inoltre, i “tecnici” che stanno predisponendo la manovra finanziaria avrebbero già programmato un taglio del 15% delle spese per beni e servizi sostenute dal Miur.

Ancora una volta – commenta amaramente Marcello Pacifico, Presidente dell’Anief – dopo il blocco degli stipendi, l’allungamento dell’età pensionabile e la mobilità forzata del personale in esubero, si vuole continuare ad infierire sul settore della conoscenza attraverso nuovi tagli di spese. Continuando ad ignorare quanto avviene nei Paesi più sviluppati, come gli Stati Uniti e la Germania”.

La delusione del sindacato è tanta. Perché se anche un Governo composto da docenti universitari e massimi esperti del mondo professionale non comprende quanto sia controproducente questa politica, c’è davvero da essere preoccupati: “continuando in questo modo – dichiara Pacifico – si pongono seri dubbi anche sulla capacità del Paese di crescere, visto che non si vuole scommettere nel rilancio dell’istruzione e della ricerca”.

Per l’Anief sui tagli non si discute: non si possono accettare concertazioni o trattative di alcun genere. “Noi non ci stiamo – ribadisce il Presidente -, non accettiamo alcun accordo ricattatorio, con il sindacato che dovrebbe chiudere un occhio sui tagli, in cambio di una parte dei risparmi da reinvestire nello stesso settore della scuola. Dopo la riduzione di oltre 100.000 posti negli ultimi tre anni, la sottrazione di miliardi di euro di risorse rivolte al settore e la chiusura di migliaia di scuole è ora di dire basta”.

Il Ministro Patroni Griffi sbaglia ad annunciare i licenziamenti dei lavoratori pubblici. Il problema è che, in assenza di qualsiasi intervento di rilancio dei servizi del comparto statale, l’Italia non potrà mai uscire dalla recessione.

L’Anief contesta quanto espresso oggi dal Ministro della Pubblica Amministrazione, Filippo Patroni Griffi, attraverso un’intervista rilasciata all'Avvenire a proposito della volontà del Governo di licenziare al più presto il personale del pubblico impiego in stato di esubero e non ricollocabile. Tuttavia, da tempo l’Amministrazione pubblica ha inviato segnali in questa direzione e non possiamo certo meravigliarci se oggi è tornata ad esprimerli con maggiore forza.

Il nostro sindacato – ha dichiarato il Presidente dell’Anief, Marcello Pacifico – ha denunciato dal mese di novembre, subito dopo l’approvazione della Legge 183/11, l’ingiusto licenziamento dei lavoratori in esubero appartenenti all’amministrazione pubblica. Anche perché si tratta di provvedimenti punitivi che non corrispondono ad alcun intervento di riorganizzazione e rilancio dei servizi del comparto statale”.

Il rappresentante dell’Anief spiega quindi perché il Governo non è nuovo ad annunciare questo genere di intenzioni: “in effetti – ricorda Pacifico – purtroppo al di là delle mere e sterili lamentele degli altri sindacati, il Ministro della Funzione Pubblica ha ricordato che la possibilità di licenziare nella pubblica amministrazione è stata prevista già con l’approvazione del decreto legislativo 165 del 2001: si tratta della norma, in vigore dunque da oltre 10 anni, che ha introdotto l’allontanamento del lavoratore per motivi esclusivamente finanziari, derivanti dalla soppressione degli enti esistenti fino a quel momento”.

Ne consegue, continua il Presidente dell’Anief, che “il problema non è garantire un posto di lavoro che non c’è più, ma investire e programmare una ripresa economica che a partire da una migliore distribuzione dei servizi da parte dello Stato possa rilanciare l’economia del nostro Paese e farlo uscire dalla recessione”.

Secondo l’Anief anche dal confronto con gli altri Paesi il nostro esce clamorosamente perdente: “non è un caso – ha concluso Marcello Pacifico – che la Germania, indiscusso volano dell’economia europea, anche negli ultimi anni contrassegnati dalla crisi economica internazionale abbia aumentato gli investimenti del Pil proprio nel comparto della pubblica amministrazione”.

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