Varie

Le celebrazioni diventino momento di riflessione per condannare le discriminazioni etniche, religiose, territoriali e culturali. A qualsiasi livello: nazionale e non. I nuovi alunni, ma anche i parlamentari che vanno a comporre la nuova legislatura ne tengano conto: qualsiasi legge deve sempre rispettare quanto stabilito dalla Comunità Europea e dalle direttive comunitarie.

Domani si festeggia la ricorrenza della proclamazione del Regno d'Italia, istituita come festività civile, il 23 novembre scorso, attraverso la Legge 222. Anief accoglie con piacere l’iniziativa del Parlamento di introdurre la “Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'Inno e della Bandiera”, al fine di promuovere i valori legati alla cittadinanza e consolidare l'identità nazionale attraverso la memoria civica, coinvolgendo attivamente nelle celebrazioni il mondo della scuola. Si tratta, infatti, di valori fondamentali cui tutti i cittadini, inclusi i più giovani, dovrebbero sempre ispirarsi. Non a caso, proprio in questi giorni l’Anief ha organizzato una serie di dibattiti, convegni e seminari sulla legislazione scolastica e sul rispetto delle leggi, ad iniziare dalla nostra Costituzione.

“Bisogna far capire ai nostri studenti – dichiara Marcello Pacifico, presidente dell’Anief - come si compone l’architettura istituzionale del nostro Paese, passaggio centrale per comprendere l’importanza dell’identità nazionale e della matrice comune europea. Partendo dalla visione del lavoro come dovere civico di ogni cittadino, non come un’opportunità. Un lavoro che va interpretato come una risorsa per il progresso sociale, civile ed economico della nazione. E non di certo come mero arricchimento personale”.

Il nostro sindacato, che tra i suoi obiettivi primari ha quello difendere il rispetto delle leggi a tutela dei lavoratori, non può che accogliere con entusiasmo l’avvio di una ricorrenza nata all’insegna dell’unità e dell’uguaglianza: un concetto che promuove, quindi, la parità di trattamento di uomini e donne, di tutti i lavoratori. E condanna qualsiasi discriminazione etnica, religiosa, territoriale e culturale. A tutti i livelli: nazionali e non.

Anief è convinta, infatti, che la giornata dell'Unità Nazionale debba essere considerata anche in un’importante opportunità per l’Italia di migliorare la sua integrazione con l’Europa: nei giorni in cui si sta insediando il nuovo Parlamento, occorre ricordare a tutto coloro che lo andranno ad occupare per la prossima legislatura che un articolo della Costituzione impone ai nostri decisori politici di tenere sempre conto, nell’emanare le leggi, delle norme presenti nel trattato di funzionamento della Comunità Europea e delle direttive comunitarie.

“Ieri come oggi – spiega il presidente dell’Anief – le distanze tra il nostro Paese e l’Europa devono essere il può possibile ridotte. Bisogna fare di tutto perché l’Europa sia vicino a quell’Italia nata oltre 150 anni fa sotto la casata dei Savoia, i quali avevano tra i loro principi ispiratori il libro di Federico II ‘La Costituzione melfitana’: un testo scritto per il regno di Sicilia, ma poi mutuato in tutto il vecchio Continente”.

“Per tutti questi motivi – continua Pacifico – celebrare la proclamazione del Regno d'Italia significa anche sensibilizzare i nostri cittadini, a tutti i livelli, sui temi dell’educazione, della formazione e del mercato del lavoro. Sull’importanza che la nostra Repubblica si adoperi per la rimozione di tanti ostacoli che ancora oggi ne impediscono il normale sviluppo. Non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo”.

 

L’Anief organizza l’apertura straordinaria di sportelli su tutto il territorio nazionale per agevolare le procedure di  compilazione  dei moduli di diffida TFR e TFS e delle domande di mobilità. Di seguito i riferimenti degli sportelli per ogni regione, i link non attivi verranno aggiornati a breve.

 

Abruzzo Vai agli sportelli
Basilicata Vai agli sportelli
Calabria Vai agli sportelli
Campania Vai agli sportelli
Emilia Romagna Vai agli sportelli
Friuli Venezia Giulia Vai agli sportelli
Lazio Vai agli sportelli
Liguria Vai agli sportelli
Lombardia Vai agli sportelli
Marche Vai agli sportelli
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Piemonte Vai agli sportelli
Puglia Vai agli sportelli
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Trentino Alto Adige Vai agli sportelli
Umbria Vai agli sportelli
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Padri lavoratori, pure per l’Inps i dipendenti pubblici non possono fruire dei tre giorni di congedo per i neonati: valgono solo nel privato. Dopo il dipartimento della Funzione Pubblica, anche l’Istituto nazionale di previdenza conferma che l’adeguamento della normativa italiana a quella europea per l’assistenza dei papà ai nati fino all’età di cinque mesi non si applica agli statali. Anief-Confedir: una vera discriminazione, che si somma al mancato rinnovo contrattuale e al blocco degli scatti automatici in busta paga.

Dopo il no della Funzione Pubblica, ora arriva quello dell’Inps: con una Circolare, l’istituto di previdenza conferma il divieto per i padri lavoratori del pubblico impiego di usufruire del “congedo obbligatorio ed il congedo facoltativo, di cui all'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92, (…) fruibili dal padre, lavoratore dipendente, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio”. Si tratta della fruizione del congedo obbligatorio (un giorno) e del congedo facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre (due giorni), introdotti nel giugno scorso attraverso la legge 92 sulle “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.

Anche per l’Inps il no rimarrà in essere “sino all’approvazione di apposita normativa che, su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione, individui e definisca gli ambiti, le modalità ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. Fino a quando, in pratica, non si approveranno i decreti attuativi e le disposizioni ad hoc i lavoratori statali non potranno usufruire di un loro diritto. Riconosciuto ormai, tra l’altro, a livello internazionale.

Eppure la Direttiva 2010/18/Ue del Consiglio dell'8 marzo 2010, non fa riferimenti alla natura del rapporto di lavoro, ma solo alla necessità di dare attuazione al diritto “individuale” del congedo parentale e nell'aiutare i genitori che lavorano in Europa ad ottenere una migliore conciliazione”. E nemmeno la Legge 28 giugno 2012, n. 92, fa differenzazioni tra pubblico e privato.

Marcello Pacifico, delegato Confedir e presidente Anief, ritiene che “è in atto una chiara discriminazione dei dipendenti pubblici rispetto a colleghi che operano nel privato. Ciò fa ancora più scalpore se si pensa che quest’anno ricorre il ventennale dall’introduzione della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. Con il risultato che, disapplicando quanto previsto da una direttiva Ue del 2010, che supera chiaramente il decreto nazionale n. 151 del 2001, si mortifica la professionalità dei dipendenti pubblici, dopo che non viene loro più concesso da tempo alcun rinnovo contrattuale. Per non parlare del blocco degli scatti automatici in busta paga”.

Il sindacalista Confedir-Anief ritiene, quindi, che l’adeguamento alle indicazioni Ue - anche se solo poco più che simbolico, di appena un giorno di congedo obbligatorio di paternità e di due giorni di congedo facoltativo per i padri - non può essere negato per basse ragioni di burocrazia: “siamo di fronte ad un abuso - incalza Pacifico -. Lo stesso che lo Stato italiano perpetra nei confronti di decine di migliaia di precari pubblici, in particolare della scuola, utilizzati ben oltre i 36 mesi previsti dalla direttiva Ue 1999/70/CE come soglia massima per giustificare la mancata assunzione a titolo definitivo. È evidente, a questo punto, una seria riflessione sulla necessità di mantenere in vita la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico”.

Per approfondimenti:

Circolare dell’INPS del 14 marzo 2013

Direttiva 2010/18/UE del Consiglio dell'8 marzo 2010

LEGGE 28 giugno 2012 , n. 92
Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. (12G0115)

24. Al fine di sostenere la genitorialita', promuovendo una cultura
di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno
della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, in via sperimentale per gli anni 2013-2015:
a) il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla
nascita del figlio, ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un
periodo di un giorno. Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore
dipendente puo' astenersi per un ulteriore periodo di due giorni,
anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione
in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a
quest'ultima. In tale ultima ipotesi, per il periodo di due giorni
goduto in sostituzione della madre e' riconosciuta un'indennita'
giornaliera a carico dell'INPS pari al 100 per cento della
retribuzione e per il restante giorno in aggiunta all'obbligo di
astensione della madre e' riconosciuta un'indennita' pari al 100 per
cento della retribuzione. Il padre lavoratore e' tenuto a fornire
preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei
giorni prescelti per astenersi dal lavoro almeno quindici giorni
prima dei medesimi. All'onere derivante dalla presente lettera,
valutato in 78 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e
2015, si provvede, quanto a 65 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2013, 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione
dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 24, comma 27, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e, quanto a 13 milioni di euro
per ciascuno degli anni 2013-2015, ai sensi del comma 69 del presente
articolo;
b) nei limiti delle risorse di cui al comma 26 e con le modalita'
di cui al comma 25, e' disciplinata la possibilita' di concedere alla
madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternita',
per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale
di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo 32 del citato testo
unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, la
corresponsione di voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting,
ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per
l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da richiedere al datore
di lavoro.

 

Anief sarà anche stavolta al fianco dei lavoratori che vogliono impegnarsi con un sindacato serio e responsabile.

Anche grazie all’intervento dell’Anief, le Rsu elette un anno fa continueranno ad operare in migliaia di istituti coinvolti dal dimensionamento scolastico. A differenza di quanto deciso per il destino dei dirigenti, dei Dsga e del personale Ata soprannumerario, tutti perdenti posto, nelle scorse ore all’Aran è stato definitivamente stabilito che le rappresentanze sindacali unitarie potranno rimanere in carica anche nelle nuove istituzioni (dimensionate, quindi fuse con altre scuole) in cui prestano servizio. Derogando, in tal modo, ai limiti numerici previsti dall'Accordo Quadro risalente all’agosto 1998.

Pertanto (si legge nell’accordo ufficiale Miur-sindacati, solo qualora presso la nuova istituzione scolastica il numero di RSU “sia inferiore a due, le organizzazioni sindacali rappresentative provvederanno ad indire nuove elezioni”. Con questa decisione si sancisce e si conferma, in pratica, l'ipotesi di accordo che era stata già firmata nel novembre scorso, con l’intento di non creare intralcio allo svolgimento delle trattative per la contrattazione integrativa (peraltro avviata solo pochi giorni fa).

Entro cinque giorni dall’approvazione dell’accordo sottoscritto all’Aran, nelle scuole dove è rimasta in carica una rappresentanza minima, dovranno quindi tornare ad essere indette nuove elezioni: a poco più di un anno dall’ultimo rinnovo delle rappresentanze sindacali, una parte dei lavoratori della scuola dovranno tornare quindi ad esprimere le loro preferenze sui sindacati e sui lavoratori che li rappresenteranno dinanzi al dirigente e all’amministrazione scolastica.

Anief coglie l’occasione per invitare sin d’ora tutto il personale, in particolare i tanti delusi verso chi fa sindacato in modo passivo ed inconcludente, ad esprimere la preferenza verso i suoi candidati. Si tratta di rappresentanti di un sindacato che a pochi anni dalla nascita ha al suo attivo una lunga serie di esperienze e battaglie vittoriose: dagli scatti automatici alle ferie estive da corrispondere ai precari; dagli inserimenti dei precari nelle Gae col sistema del “pettine” agli indennizzi record; dai tanti ricorsi vinti per accedere alle prove concorsuali, sino allo sblocco dei contratti e al recupero del Tfs/Tfr.

Anief conferma dunque la sua intenzione, mai venuta meno, di continuare a schierarsi accanto ai lavoratori. Per continuare ad ascoltarli, tutelarli, sostenerli. Per schierarsi al fianco di chi opera nella scuola con impegno e professionalità. Pretendendo che l’amministrazione operi nei loro confronti allo stesso modo.

Coloro che sono intenzionati a scendere in campo con l’Anief, tentando di farsi eleggere Rsu, sono pregati di scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Nel volgere di pochi giorni riceveranno tutte le indicazioni necessarie per tentare di diventare ambasciatori di un sindacato che non si ferma a fare proclami. Ma opera coi fatti.

L’accordo del 13 marzo

 

Per comprare carta igienica, toner e pagare bollette, i dirigenti inviano costantemente richieste e solleciti ai genitori degli studenti. ‘Spacciando’ quella che dovrebbe essere una donazione per un obbligo di legge! Ora il Miur pubblica una nota ufficiale, ricordando ai capi d’istituto che sino al terzo superiore l’istruzione deve essere gratuita, come sancito dall'art. 34 della Costituzione. Ma allora la colpa di tutto ciò di chi è? Dello Stato, naturalmente. Che attraverso gli ultimi Governi ha sottratto indebitamente all’istruzione pubblica 8 miliardi di euro, 200mila unità di personale e 2mila scuole.

Il Ministero ribadisce la volontarietà dei contributi scolastici da parte delle famiglie, ma nulla fa per evitare questa procedura sempre più in voga nelle 9mila scuole italiane, contraria agli articoli 23 e 34 della Costituzione. L’Anief si fa portavoce di un malessere generalizzato nella scuola pubblica, dove i dirigenti scolastici continuano a chiedere alle famiglie anche 300 euro l’anno a studente. Tra l’altro ‘spacciandoli’ non di rado per contributi obbligatori.

Considerando che a seguito del dimensionamento la maggior parte degli istituti contano almeno 700 alunni, ogni scuola si ritrova un “tesoretto” che può arrivare anche a 300mila euro annui. Soldi che vengono impegnati per la manutenzione, gli approvvigionamenti di cartoleria, toner, carta igienica, bollette, oltre che per tutte le attività e i materiali a supporto della didattica. A volte anche per finanziare progetti e le ripetizioni dei docenti.

Strumenti e prestazioni che altrimenti verrebbero meno. Lo Stato, infatti, versa per questo genere di esigenze fondi sempre più esigui. Ma non è una novità. Basti pensare al taglio di 200mila posti di lavoro in sei anni, alla cancellazione di 8 miliardi di euro a partire dal 2009, oltre a mezzo miliardo sottratto di recente al miglioramento dell’offerta formativa. Ma anche alla sparizione di 2mila scuole, malgrado la sentenza della Corte costituzionale dello scorso mese di giugno, allo spostamento di un terzo del Fondo d’istituto per ‘coprire’ gli scatti di anzianità del personale. Per non parlare della prospettiva che vorrebbe introdurre risparmi ad oltranza travestiti dalla logica del merito.

Il risultato di questo processo sono le classi “pollaio”, con oltre 30 alunni nella stessa aula, la riduzione sostanziale dei fondi destinati all’abbandono scolastico e al recupero delle carenze formative, la didattica in generale più povera. Con il personale, docenti e Ata, sempre più professionalmente ed economicamente impoverito. E che in futuro si vorrebbe anche porre in regime di concorrenza.

Ora, a fronte di tale situazione, le scuole che fanno? Chiedono aiuto alle famiglie. Ora, però, il Miur ricorda, tramite una nota del capo dipartimento Lucrezia Stellacci, che “simili comportamenti, oltre a danneggiare l'immagine dell'intera Amministrazione scolastica e minare il clima di fiducia e collaborazione che è doveroso instaurare con le famiglie, si configurano come vere e proprie lesioni al diritto allo studio costituzionalmente garantito”. E si pongono, inoltre, “come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio”. Anche perché nella scuole statali la frequenza della scuola dell'obbligo (sino al terzo anno compreso delle superiori) deve essere gratuita, come sancito dall'art. 34 della Costituzione. Solo nel biennio finale precedente alla maturità sono previste delle tasse scolastiche, peraltro solo per gli studenti per i quali non è previsto l’esonero.

“Quello che hanno realizzato gli ultimi Governi sulla scuola – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – è un processo di lento assorbimento di risorse. Umane, finanziarie e strutturali. Per sopperire alle necessità immediate, tanti dirigenti scolastici pensano allora di rivolgersi ai genitori dei loro alunni. È una scelta sbagliata, ma che comprendiamo. Il rischio è che l’evolversi di questa situazione conduca le scuole statali italiane nella stessa situazione delle Università. Dove le logiche privatistiche, del merito e dei tagli hanno comportato la chiusura di decine atenei, di centinaia di corsi e dipartimenti. Con insegnamenti non di rado affidati a docenti a contratto non remunerati o pensionati”.

 

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