Varie

Ad oggi in Campania, Molise, Umbria e Veneto non vi è un CPIA, i nuovi centri provinciali per i cittadini che vogliono tornare a studiare o riformarsi professionalmente. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è l’ennesimo paradosso italiano, perché sono quasi tutte zone dove la presenza di un’alternativa ai canali formativi tradizionali sarebbe fondamentale per combattere l’altissima percentuale di Neet e l’elevata presenza di ragazzi che abbandonano i banchi di scuola prima del tempo.

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la Circolare n. 39 che dà il via alle iscrizione degli adulti, anche con cittadinanza non italiana, ai percorsi formativi loro riservati per l’anno scolastico 2014/15. Entro la fine di maggio, ma di fatto anche fino al prossimo 15 ottobre, tutti coloro che hanno superato l’età anagrafica per far parte di un corso di studi normale, potranno chiedere di iscriversi alle rinnovate strutture denominate ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’: nei CPIA, collocati anche all’interno dei centri di prevenzione e pena, gli adulti potranno svolgere percorsi di istruzione di primo e secondo livello, ma anche di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana. I percorsi di secondo livello verranno attuati solo dopo la stipula di accordi di rete da sottoscrivere entro il 30 settembre 2014, all’interno di istituti superiori in orario serale.

Un’alta percentuale delle attività formative rivolte agli adulti si svolgerà all’interno delle nuove strutture create appositamente dal Miur: i ‘Centri provinciali per l’istruzione degli adulti’. Il problema è che i 144 CPIA attivati non solo sono privi di dirigente scolastico, ma anche maldistribuiti: attraverso una ricerca svolta su dati ufficiali, l’Anief ha scoperto che, anche a seguito dei tagli effettuati negli ultimi due anni, ci sono regioni – come Campania, Molise, Umbria e Veneto - che non possono contare nemmeno su un centro formativo per adulti.

Eppure la Campania è la regione italiana dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti solo 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, è concentrata una percentuale altissima degli oltre 2 milioni e 200mila Neet italiani: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Appare quindi quasi paradossale che in Lombardia, dove la presenza di Neet è meno delle metà (16,2%) di quella della Campania, sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir “rimane un mistero su quali motivazioni logiche abbiano portato l’amministrazione a rinnovare i centri di formazione per gli adulti non attivando nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet. Una regione dove i diplomati, riporto gli ultimi dati Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore. E addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere le superiori sono il 65% dei giovani”.

La Campania, inoltre, si contraddistingue per l’alto numero di abbandoni scolastici: ben il 22% dei giovani lascia i banchi anzitempo. In zone d’Italia dove abbandonano Neet e giovani senza titolo di studio, la presenza di centri di formazione per adulti sarebbe quindi fondamentale: i CPIA, infatti, che alla lunga dovrebbero sostituire i tradizionali corsi serali per adulti, permetteranno di conseguire il titolo d’istruzione di scuola primaria, media e superiore e rilasceranno la certificazione della conoscenza della lingua italiana. Gli obiettivi sono contenuti nella Gazzetta Ufficiale 47/2013: negli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 è stato pubblicato il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, dove si indicava la messa a regime immediata delle nuove strutture, comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.

Sempre nel D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento. Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.

L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per due milioni e mezzo di Neet. Oltre che per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale. Ad oggi però siamo ancora in alto mare: la partecipazione ai corsi italiani per adulti rimane tra le più basse dei paesi avanzati: gli italiani tra i 25 ed i 64 anni che si formano sono appena il 6,6%. Una vera miseria: basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.

Per approfondimenti:

ISTAT - Giovani che non lavorano e non studiano (2013)

Il Regolamento sui Centri di formazione per gli adulti: D.P.R. 263/12

Istruzione, altra bacchettata Ue all’Italia: solo in Grecia serve più tempo per trovare lavoro dopo il diploma

 

Il dato è contenuto in una ricerca del Forum PA sui lavoratori pubblici, che apre domani 27 maggio a Roma: eppure nella scuola dovrebbe essere massima la flessibilità e l'attenzione al nuovo. Colpa del blocco del turn over e delle assunzioni. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è sempre più impellente un ricambio generazionale e trasformare in tutor i docenti con 25 anni di servizio svolti. E si porti avanti la proposta del Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia: bisogna ringiovanire la PA immettendo energie giovani.

La crescita culturale degli otto milioni di studenti italiani è affidata ad al corpo insegnante più vecchio d’Europa: secondo una ricerca del Forum PA sui lavoratori pubblici, che apre domani 27 maggio a Roma, “nella scuola, dove massima dovrebbe essere la flessibilità e l'attenzione al nuovo, l'età media è di 51 anni”. Nell’anno in corso, del resto, due insegnanti italiani su tre sono ultracinquantenni, ben l’11,3% ha più di 61 anni ed appena lo 0,2% ha meno di 30 anni.

Nei paesi Ocse, invece, in media i docenti giovani under 30 sono il 10%. La carta d’identità dei nostri insegnanti stride addirittura rispetto a quella dei colleghi lavoratori della pubblica amministrazione italiana: basti pensare che nelle forze di polizia, fanno notare dal Forum PA, l’età media è oggi di 41 anni e nel 2001 era di appena 33 anni. Una quota che secondo i ricercatori si sta alzando inesorabilmente, con la Scuola a detenere tutti i record, nazionali e non, “anche a causa del blocco del turn over e delle assunzioni”.

I dati del Forum PA confermano quanto sostiene da tempo l’associazione sindacale Anief. Nella scuola italiana i giovani continuano ad essere lasciati ai margini. Ancora oggi il 15% degli insegnanti lavora per l’ordinario funzionamento con contratti a tempo determinato: nell’a.s. 2013-2014 sono stati sottoscritti quasi 140mila contratti annuali. A peggiorare la situazione è stata poi la riforma pensionistica Monti-Fornero, che quest’anno ha portato a 62-63 anni la pensione di anzianità. E quando la “stretta” entrerà completamente in vigore, gli attuali 70mila docenti ultra 60enni lieviteranno vertiginosamente.

Ma nella scuola il blocco del turn-over è stato causato anche dalla riduzione del rapporto tra il numero degli studenti e degli insegnanti: è vero, a tal proposito, che oggi la media è ferma a 12, due unità inferiore alla media Ocse (14), ma non bisogna dimenticare che questo rapporto non tiene conto di alcune peculiarità tutte italiane, quali l’utilizzo di 110mila insegnanti di sostegno a fronte di 22mila alunni con handicap (2,5% del totale) e di 30mila insegnanti di religione.

“Se siamo arrivati a questo punto – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – la colpa è di chi governando il paese continua a dimenticare che l’insegnamento è scientificamente collocato tra le categorie professionali più a rischio burnout. Mentre si continuano a tutelare altre professioni, per gli insegnanti la soglia della pensione è stata addirittura posticipata, quando entrerà a regime, a 67-68 anni”.

Anief ribadisce che per evitare di ritrovarci con degli insegnanti sempre più vecchi e demotivati occorre trasformare in tutor per nuovi docenti coloro che hanno svolto 20-25 anni di servizio. Il tutoraggio e la supervisione dell’operato dei giovani insegnanti permetterebbe da una parte di svecchiare il personale in cattedra, dall’altra di migliorare la qualità complessiva dell’insegnamento, visto che le nuove generazioni di docenti potrebbero acquisire conoscenze, capacità e competenze oggi non trasmissibili alla luce anche dell’assenza di corsi di aggiornamento.

Anief ritiene quindi utile portare avanti la proposta presentata alcune settimane fa del ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, che ha espresso l’intenzione del suo dicastero di voler porre le condizioni normative per attuare dei prepensionamenti nel settore “per immettere energie giovani” e “ringiovanire la PA". Premesso che i prepensionamenti cui ha aperto finalmente la Funzione Pubblica non dovranno prevedere penalizzazioni economiche per i beneficiari, va ricordato al Ministro Madia che tra i primi a fruirne dovranno essere i 4mila docenti e Ata della Scuola: hanno iniziato l’anno scolastico 2011/12 presentando regolare domanda di pensionamento, ma poi sono rimasti “incastrati” a seguito dell’approvazione dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

“Il Governo deve insistere su questa strada – commenta ancora Pacifico – scrollandosi per una volta delle necessità ragionieristiche dello Stato. Anche perché la Ragioneria generale ha dimostrato che assorbire gli attuali 140mila precari annuali docenti e Ata della scuola risulterebbe conveniente per lo Stato: permetterebbe, infatti, un risparmio di almeno 750 milioni di euro l’anno. Tanto è vero che tra il 2007 e il 2012 la stabilizzazione di quasi 25mila lavoratori del servizio sanitario nazionale e 28mila dipendenti precari delle regioni e delle autonomie locali ha comportato un risparmio sui costi sostenuti dall’amministrazione, rispettivamente, di 80 e 285 milioni di euro. Senza dimenticare – conclude il sindacalista Anief-Confedir- che immettendo in ruolo i precari della PA, si metterebbe la parola fine alle procedure di infrazione attivate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per l’abuso di contratti a tempo determinato”.

Per approfondimenti:

Con il 2014 altro giro di vite sulle pensioni: gli insegnanti italiani i più vecchi al mondo

Spending Review: mantenere i dipendenti precari aumenta la spesa pubblica

Quota 96: se Governo e Mef non trovano la copertura ci penseranno i giudici a mandarli in pensione

PA – Anief plaude alla proposta del Ministro Madia sui prepensionamenti: si cominci dai 4mila ‘Quota 96’ della scuola

 

Dopo Brescia, un altro caso di volontariato che sopperisce al servizio pubblico: governatore e assessore all’istruzione annunciano che gli ex insegnanti nel loro tempo libero aiuteranno gratuitamente i ragazzi a migliorare la loro conoscenza linguistica, facilitando così la loro integrazione. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non abbiamo nulla contro il volontariato, ma occorre avere rispetto per gli alunni, che sono tutti uguali, e per i giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione.

La deriva dei tagli ai finanziamenti destinati alle scuole comincia a farsi sentire anche nelle zone del paese più ricche. Come l’Alto Adige, dove poche ore fa la giunta provinciale altoatesina ha approvato un piano di incentivo dell'apprendimento dell'italiano, ma anche del tedesco, rivolto ai figli dei migranti attraverso il coinvolgimento di ex insegnanti in pensione: governatore e assessore all’istruzione hanno annunciato che nel loro tempo libero aiuteranno gratuitamente i ragazzi a migliorare la loro conoscenza linguistica, facilitando così la loro integrazione.

Con una superficialità quasi imbarazzante, dopo il caso di Brescia di qualche mese fa, anche a Bolzano si tenta di trasformare in volontariato una professione che necessita di vedere in prima linea personale selezionato e formato ad hoc. Premettendo che il sindacato non ha alcuna preclusione verso il prezioso contributo che il volontariato svolge nella nostra società, non si possono sopperire le carenze di fondi per l’insegnamento ispirandosi al servizio nonni-vigili per la sicurezza stradale davanti alle scuole.

“Quanto sta accadendo in Alto Adige – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – rappresenta purtroppo un altro esempio di come lo Stato stia gradualmente abbandonando il suo ruolo di garante del diritto allo studio e alla formazione dei giovani. Invece di distribuire dei fondi nazionali da utilizzare per assicurare l’insegnamento della lingua ai figli dei migranti, ci si affida al buon cuore dei docenti in pensione. Dimenticando che vi sono migliaia di docenti precari, selezionati e formati, che da anni insegnano nelle scuole ma che per essere stabilizzati devono attendere anche decenni. Il tutto contravvenendo ad una precisa direttiva comunitaria”.

Purtroppo non si tratta più di casi sporadici. È notizia di pochi giorni fa che la carenza di fondi destinati al Miglioramento dell’offerta formativa, ridotto a circa un terzo rispetto a quello di due anni prima, ha costretto un liceo di Genova senza “più soldi in cassa”, quindi senza più finanziamenti per pagare i docenti, ad affidarsi “ai ragazzi più brillanti per tenere (gratis) i corsi di recupero pomeridiani”.

“Anief – continua Pacifico – non ha nulla contro il volontariato, che considera un prezioso atto di sostegno al prossimo. Ma come sindacato e come lavoratori non possiamo accettarlo. Perché vi sono dei contesti, come quello scolastico, la cui applicazione risulta incompatibile. Approfittare dello spirito di sacrificio e del senso di responsabilità degli ex docenti, disposti a tornare dietro la cattedra a titolo gratuito, significa non avere rispetto per quei giovani, considerati evidentemente di serie B, a cui sono destinate le lezioni. Come significa non avere rispetto per i giovani in cerca di occupazione. Ad iniziare dagli oltre 300mila laureati e abilitati che attendono di essere convocati per una supplenza”.

“Bypassare, anche all’interno delle nostre scuole pubbliche, il ricorso a dei professionisti dell’insegnamento è un atto che non possiamo accettare. Lo Stato infatti dovrebbe, come è scritto nella Costituzione, affidare i nostri giovani a veri insegnanti. Invece, prima si bloccano i loro stipendi, sino a trascinarli 4 punti sotto l’inflazione. Poi si cerca di risolvere il problema richiamando in cattedra i ‘nonni linguistici’. Quale sarà – conclude il sindacalista Anief-Confedir – la prossima mossa?”.

Per approfondimenti:

Scuole allo stremo, a Brescia si richiamano gli insegnanti in pensione per farli lavorare gratis

Scuole a corto di fondi: ora i corsi di recupero li tengono gli studenti più bravi

Pacifico a Unomattina la domenica di Pasqua: sì al volontariato ma rispetto per il lavoro e per i giovani in cerca di occupazione

 

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