Università

Con la sentenza n. 83/2013, depositata oggi, viene reputata incostituzionale la Legge 240/2010 voluta dall’ex ministro Gelmini che bloccava la proroga per un biennio solo alle alte professionalità accademiche: violati gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Anief: la Corte Costituzionale rimette ordine ad un sistema danneggiato, ora il nuovo ministro Carrozza si adoperi per ridare dignità ai ricercatori, riaprendo l’attuale fascia professionale ad esaurimento e permettendogli di acquisire l’abilitazione all’insegnamento.

È incostituzionale obbligare i professori e i ricercatori universitari a lasciare il servizio al compimento dei 70 anni, negando loro la proroga di due anni concessa invece a tutti i dipendenti pubblici: a stabilirlo sono i giudici della Consulta, con la sentenza n. 83/2013, pubblicata oggi, che hanno di fatto annullato gli effetti attuativi dell’art. 25 della Legge 240/2010 voluta dall’ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Stella Gelmini.

Nella sentenza, gli ermellini hanno ravvisato palesi contraddizioni tra il testo contenuto nella citata legge rispetto, in particolare, agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Di conseguenza, la Consulta ritiene che la L. 240/2010 non tiene conto delle peculiarità relative alla professione dei docenti e dei ricercatori accademici: negando loro la possibilità di mettere al servizio degli studenti e della società tutta le competenze acquisite nel tempo nei rispettivi specifici ambiti di competenza, si è tentato di introdurre “una disciplina sbilanciata e irrazionale”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per le alte professionalità, la sentenza “rimette ordine ad un sistema danneggiato da una evidente forzatura voluta dall’ex Governo Berlusconi”, permettendo di “mantenere in essere delle alte professionalità al servizio dello Stato e favorire nel contempo una continuità didattica sempre più spesso minacciata dalla mancanza di turn over”.

Il sindacalista ritiene, inoltre, che “la cancellazione dell’articolo 25 della Legge 240/2010 rappresenta l’occasione giusta per tornare a chiedere e con maggior forza al nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di adoperarsi per restituire dignità alla figura del ricercatore universitario, cancellata da quella stessa legge. Allo stesso modo – continua Pacifico - è indispensabile che si torni a dare la possibilità ai ricercatori di essere collocati in una loro fascia professionale, oggi ad esaurimento. E di far loro conseguire l’abilitazione all’insegnamento come docenti associati, attraverso il ripristino della macchina concorsuale”.

“Il ministro Carrozza, professore universitario con un’esperienza rilevante da rettore della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, comprenderà bene che senza i ricercatori l’università italiana non potrà mai essere rilanciata. Si tratta di figure indispensabili, che meritano di essere finalmente collocati nel ruolo che spettano, come anche previsto – conclude il rappresentante Anief-Confedir - dalla carta dei ricercatori europei”.

 

Pacifico: il nuovo ministro, Maria Chiara Carrozza, ritiri il decreto firmato il 24 aprile. Il miglioramento della formazione universitaria non si attua allontanando gli studenti a priori, ma abolendo il numero chiuso, potenziando l’orientamento, introducendo monitoraggi periodici ed elevando l’obbligo formativo sino alla fine della scuola superiore.

È proprio il caso di dire che il ministro Profumo chiude la sua esperienza al Miur nel peggiore dei modi: anziché favorire le iscrizioni all’università da parte degli studenti neo diplomati, avvicinando l’Italia all’Europa, decide nello stupore generale di introdurre uno sbarramento per l’accesso al numero chiuso universitario stabilendo che gli studenti abbiano conseguito almeno 80/100 alla maturità. È evidente che si tratta di un’operazione destinata a realizzare l’obiettivo opposto a quel che ci chiede l’Unione Europea, ovvero elevare il prima possibile il numero di studenti che raggiungono un alto titolo di studio.

Solo 20 giorni fa Eurostat ci ha detto che l’istruzione terziaria italiana è la peggiore d’Europa: a causa dell’alto numero di abbandoni - in media due studenti su tre - il numero di giovani iscritti all’università che raggiunge la laurea è infatti il più basso di tutti. Con il risultato che, sempre a livello universitario, l’Italia si posiziona, in alcune fasce d’età, oltre 15 punti percentuali sotto la media Ue. Alla luce di tutto questo, noi cosa facciamo? Anziché invogliare i nostri giovani ad iscriversi all’università, introduciamo dei “paletti” che si vanno ad aggiungere a quelli esistenti da debellare.

“Fa un certo effetto sapere – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – che il Miur intende operare in senso contrario a quello che ci dice l’Europa. Ma anche la nostra Costituzione: la Repubblica, infatti, deve mettere nelle condizioni i suoi cittadini di rimuovere tutti gli ostacoli che si oppongono alla ricerca del lavoro. Ed è scientificamente provato che la mancanza di un titolo di studio elevato rappresenta un ostacolo all’affermazione della persona e della società. Per tutte queste ragioni, Anief invita il nuovo ministro, Maria Chiara Carrozza, a ritirare il decreto firmato da Profumo il 24 aprile scorso”.

Al suo posto, il sindacato chiede di approvare un provvedimento che riveda una volta per tutte l’accesso all’università, abolendo il numero chiuso, almeno così come è inteso oggi. “Contemporaneamente – continua Pacifico - vanno introdotti il prima possibile dei percorsi di orientamento per tutte le classi terminali delle scuole superiori, affidandoli a studenti-senior e ricercatori esperti che operino come tutor. Oltre che attuare dei monitoraggi periodici per l’accesso ai corsi, da concordare con gli stessi studenti in procinto di diplomarsi. Sulla base delle loro inclinazioni e potenzialità. In modo da favorire il loro successo formativo, dando per scontato che l’innalzamento dell’obbligo formativo venga portato sino al termine delle scuole superiori”.

 

Come si fa a lasciare ad un neo-diplomato solo una settimana di tempo per prepararsi al difficile accesso a Medicina? Con la prospettiva di fare i test nel 2014 addirittura nel mese di aprile?

“Qualcuno ha detto al Ministro Profumo che anticipando al 23 luglio i test per accedere ai corsi a numero chiuso non farà altro che allontanare ulteriormente i nostri studenti dell’università italiana?” Così commenta l’Anief la decisione del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di fissare a ridosso degli esami di maturità i test d’ingresso ai corsi con numero limitato di posti, con la giustificazione - tutta da verificare - che dobbiamo avvicinare il nostro Paese all’Europa.

L’unica cosa certa è che se il Ministro non dovesse tornare su questa scelta, se dovesse lasciare ad un neo-diplomato solo una settimana di tempo per prepararsi ad una selezione così dura, come quella per tentare l’accesso a Medicina e Chirurgia, tanti studenti subiranno un danno enorme. Che arriva dopo tanti altri. Come la sensibile riduzione dei fondi per finanziare le borse di studio, il taglio di diversi corsi di laurea, il calo del 25% delle iscrizioni. La realtà è che anticipare da settembre a luglio i test di accesso al numero chiuso avrebbe solo un effetto: creare le condizioni per dare il ko finale ad un settore che gli ultimi Governi hanno messo già in ginocchio.

Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, la decisione del Ministro Profumo non può essere condivisa: “come si fa a prospettare a quasi mezzo milione di studenti di prepararsi per un test così difficile in pochissimi giorni? E l’anno prossimo si rischia di rasentare la follia: anticipando ulteriormente le prove nel mese di aprile, come indicato sempre dal Ministro, si rischia di tirare fuori del tutto dalla contesa centinaia di migliaia di potenziali candidati. Ammesso, infatti, che venga data loro la possibilità di accedere prima che conseguano la maturità, saranno in tanti a disinteressarsi dei test perché concentrati sulla preparazione degli esami conclusivi del quinto anno”.

Il sindacato teme, a questo punto, che il vero motivo per cui il Miur ha introdotto questa norma sia proprio quello di attuare una preselezione naturale. “Se si fosse avuta veramente l’intenzione di introdurre un provvedimento per avvicinare l’Italia all’Ue – continua Pacifico – il Governo avrebbe dovuto escogitare delle misure per aumentare il numero di iscritti e ridurre l’alta percentuale di abbandoni universitari. Che c’entra, invece, il numero chiuso, che peraltro già di per sé contempla una discutibile selezione per l’accesso a determinati corsi e professioni?”.

Anief ritiene quindi che questa decisione del Ministro di anticipare i test a numero chiuso porti solo scompiglio tra gli studenti del quinto anno della scuola superiore, che avrebbero il diritto di concentrarsi totalmente sulla maturità. Anche perché che senso ha prepararsi per una prova, come vorrebbe il Miur nel 2014, quando non si è conseguito ancora il titolo per accedervi? Oppure è intenzione del Ministro far attendere questi studenti un anno, prima di tentare i quiz di accesso al numero chiuso?

Comunque vada, per il presidente dell’Anief “siamo di fronte ad una decisione che ha dell’incredibile: si chiede ad un maturando di sottrarre tempo ed energie mentali per affrontare una prematura prova di accesso. Poi si penalizzano quegli stessi studenti perché non hanno conseguito la maturità, non facendoli accedere all’eventuale test superato. Oppure li si ostacola nel conseguire la borsa di studio, in quanto la votazione alla maturità non è stata eventualmente sufficiente. Borse di studio, tra l’altro, che lo stesso Profumo, attraverso un altro discutibile decreto in via di formulazione, ha deciso di ridurre ulteriormente”.

L’Anief si appella al buon senso del Ministro: ritiri subito il provvedimento contenente le nuove date dei test di accesso ai corsi a numero chiuso. In caso contrario, se verranno confermate queste date, sarà la magistratura a dare ragione agli studenti. Già si sono attivate, in tal senso, alcune associazioni per patrocinare i ricorsi e tutelare i diritti dei nostri ragazzi.

 

Rimangono diversi svarioni. Scandaloso che commissari e aspiranti associati e ordinari debbano avere gli stessi requisiti. Tradita la Raccomandazione Ue per i ricercatori. Valutata la quantità delle pubblicazioni piuttosto che la qualità della ricerca, contro il tetto previsto dalla legge. Rivolta tra i candidati e si profila l’ennesimo ricorso al Tar Lazio.

Che fosse travagliata la nuova organizzazione dei concorsi per ordinario e associato si era capito all’indomani dell’approvazione della legge n. 240/2010, che rispetto alla legge n. 1/2010 che avrebbe dovuto bandire 5000 posti per il primo gradino della ricerca cancellava la figura del ricercatore e rimandava a diversi decreti attuativi per il nuovo reclutamento. Il Consiglio di Stato aveva espresso ben tre pareri sulla riforma (25 febbraio 2011, 21 aprile 2011, 23 febbraio 2012) con diverse considerazioni, al netto di quelli espressi e ignorati dalle Commissioni parlamentari del Senato e della Camera e delle proposte di modifica richieste dal Cun, dalla Crui e dai Sindacati, tra cui l’Anief.

Il 24 agosto 2012, a procedura bandita e in scadenza per il 20 novembre prossimo, venivano resi noti i criteri dell’Anvur per la partecipazione dei candidati al concorso, ed ecco che già ieri, 27 agosto, ne arrivano di nuovi perché i primi non erano perfettamente corrispondenti a quanto previsto dal Decreto. Ogni candidato dovrebbe superare la mediana per il settore concorsuale in base agli indicatori bibliometrici e all’età accademica in uno dei tre settori individuati, rispettivamente dimostrando di aver pubblicato almeno due o più libri, o 18 o più articoli, o a volte 2 o più articoli nelle riviste classificate di “serie A” non ancora individuate.

Eppure per l’Anief il calcolo continua a essere pretestuoso, illegittimo e foriero di nuovo contenzioso: uno studioso, infatti, con un libro rivoluzionario nella ricerca, anche di 1.000 pagine, pur avendo soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla Carta europea dei ricercatori, con dottorato e anni di docenza alle spalle, nonché rispondente ai criteri individuati dal decreto, non meriterebbe di essere abilitato in Italia all’esercizio della professione e deve emigrare all’estero. Per non parlare del fatto che se la legge impone la presentazione al massimo di 12 pubblicazioni non si comprende perché se ne debbano vantare 19, o ancora del fatto che se lo stesso criterio di selezione dei requisiti è adottato per commissari ed esaminandi non si comprende come possa essere garantita l’obiettività della valutazione.

E che dire del numero iniziale di pubblicazioni richiesto dall’Anvur in violazione della Raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005 riguardante la carta europea dei Ricercatori e un Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori, come richiamato, peraltro, dall’articolo 18 (chiamata dei professori) e dall’articolo 24(ricercatori a tempo determinato) della stessa legge 240/2010, che così recita: «Ciò significa che il merito dovrebbe essere valutato sul piano qualitativo e quantitativo, ponendo l’accento sui risultati eccezionali ottenuti in un percorso personale diversificato e non esclusivamente sul numero di pubblicazioni. Pertanto, l’importanza degli indicatori bibliometrici deve essere adeguatamente ponderata nell’ambito di un’ampia gamma di criteri di valutazione, considerando le attività d’insegnamento e supervisione, il lavoro in équipe, il trasferimento delle conoscenze, la gestione della ricerca, l’innovazione e le attività di sensibilizzazione del pubblico. […]Ciò comprende qualsiasi attività nel campo della «ricerca di base»; della «ricerca strategica », della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze», ivi comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico».

L’associazione sindacale conclude con un appello al ministro che recepisce quanto già espresso dalla magistratura: “E’ ovvio che di fronte a criteri definiti per legge, per le commissioni deve essere possibile che i parametri di natura quantitativa, ove opportunamente e accuratamente definiti e misurati, comunque, dovranno essere impiegati al fine di definire livelli di soglia per la produzione scientifica, al di sotto dei quali un positivo giudizio di merito possa essere formulato esclusivamente in casi eccezionali, associati a risultati di assoluto valore, la cui peculiarità risulti comprovabile mediante evidenze e attestazioni obiettive” (adunanza del 24.V.2011, prot. 786 del 9giugno 2011).

Se ciò non sarà consentito, sarà scontata l’apertura di nuova stagione di ricorsi al Tar Lazio.

Il precedente comunicato dell’Anief

Anief: basta indugi e rinvii dei nuovi concorsi, l’Italia deve investire nella ricerca tornando a ripristinare la figura del ricercatore. Anche la Commissione europea ce lo sta chiedendo. Se si attende ancora, il divario rispetto ai paesi tecnologicamente più avanzati o in ascesa, come India e Cina, sarà sempre maggiore.

Se l’Italia vuole tenere il passo dei paesi tecnologicamente più avanzati o in ascesa, come India e Cina, deve mettersi in testa di tornare ad investire nella ricerca, ad iniziare dalla valorizzazione delle risorse umane: secondo l’Anief quanto affermato nelle ultime ore dalla Commissione europea in tema di assunzione di ricercatori universitari (entro i prossimi 8 anni ne andrebbero assunti un milione!) sconfessa la riforma dell’Università voluta dal Ministro Gelmini che nel dicembre 2010 mise ad esaurimento proprio la figura del ricercatore a fronte dei 6.000 concorsi annunciati nel gennaio 2009.

Da oltre tre anni – ha detto Marcello Pacifico, Presidente dell’Anief – ci ritroviamo con i nuovi concorsi per ricercatore cancellati. Mentre il nuovo sistema di reclutamento per ottenere l’abilitazione per professore associato o ordinario non è ancora partito, né potrà partire legittimamente visto che il regolamento firmato dal ministro Gelmini a settembre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale di gennaio, come il Consiglio di Stato in sede di parere consultivo ha già avuto modo di affermare, sfugge per eccesso di delega all’individuazione dei criteri per l’assunzione”.

Anief chiede dunque al Parlamento di rivedere quanto previsto con la Legge 240/10: “è giunto il momento – ha sottolineato il Presidente Pacifico - di ripristinare la figura del ricercatore, di sbloccare i concorsi e di stabilizzare quelle migliaia di giovani dottori di ricerca che hanno passato questi ultimi anni tra aule e biblioteche da assegnisti di ricerca, docenti a contratto, cultori della materia. Ma soprattutto rendendosi artefici di pubblicazioni scientifiche di alto livello”.

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