Varie

Le nostre scuole sono abituate a vivere nella mancanza di servizi: evitiamo anche di strumentalizzarle.

L’Anief reputa priva di fondamento la polemica che si è venuta a creare tra il Governo e l’Upi, a seguito della minaccia del presidente dell’Unione delle province italiane, Antonio Saitta, di chiudere o ridurre il riscaldamento negli edifici scolastici come conseguenza degli ulteriori tagli operati alle istituzioni locali dallo stesso Governo Monti.

“Le scuole vivono in difficoltà crescenti ormai da anni – sostiene Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – tanto è vero che devono fare i conti con mancanze di ogni genere: dalla carta igienica, ai gessetti per le lavagne, dai toner per le stampanti all’assenza di manutenzione ordinaria e straordinaria. Se la minaccia dell’Upi dovesse realizzarsi, vorrà dire che si organizzeranno per sopravvivere anche al freddo: di sicuro, però, non chiuderanno. Come qualcuno ipotizzava”.

Altri hanno anche già ipotizzato che potrebbero essere le famiglie degli alunni a dover sopperire a finanziare l’eventuale riduzione di riscaldamento: “anche in questo caso si tratterebbe – sottolinea Pacifico – di una richiesta del tutto inappropriata. Proprio come lo è stata quella dei non pochi dirigenti scolastici che hanno autorizzato a chiedere i contributi direttamente ai genitori per il sostentamento delle scuole da loro gestite. È evidente che non possono essere le famiglie a farsi carico della fornitura dei servizi essenziali della scuola pubblica”.

“Come non possono farsi carico i genitori della gestione delle scuole: se queste sono sporche e non ripulite, giornalmente o periodicamente, la colpa è anche delle decine di migliaia di unità di personale Ata (tra cui tantissimi collaboratori scolastici) cancellate negli ultimi sei anni. Il Governo si metta in testa che non può tagliare e poi delegare al volontariato: i servizi pubblici, come la scuola, vanno posti tra le priorità del Paese. E questo – conclude il presidente dell’Anief - lo devono sapere pure le province”.

 

Dopo l’appello dell’Anief, sono numerosissimi i documenti di protesta che arrivano al nostro sindacato da parte delle scuole. Che si tratti di deliberazioni dei collegi docenti o di documenti stilati durante le assemblee sindacali, le lavoratrici e i lavoratori della scuola continuano a voler aggiungere la loro voce al coro di protesta contro la dequalificazione della scuola statale, della funzione docente e della professionalità Ata.

Anief, come annunciato, si farà portavoce di questo dissenso e delle proposte costruttive che provengono da questi documenti, inviandoli a sua volta al Miur.

A titolo esemplificativo, ne rendiamo noti alcuni tra le centinaia che sono pervenuti e che invitiamo tutti a continuare ad inviarci.

Documento I.C. Matteotti (Alfonsine, RA)

Documento I.I.S. Einstein-Nebbia (Loreto, AN)

Documento I.I.S. Basile (Monreale, PA)

 

il numero di ore è quasi lo stesso e a fine carriera il gap diventa altissimo

Tutti gli studi, nazionali ed internazionali, convogliano su un dato inequivocabile: tra i paesi economicamente e socialmente più avanzati, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati. L’ultima indicazione giunge da un’elaborazione delle tabelle, aggiornate al 2010, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: rispetto alle retribuzioni dei 35 paesi dell’area Ocse che hanno fornito i dati, l’Italia si colloca al 24° posto su 35.

Se si analizza il dato per settori scolastici, pur lavorando sostanzialmente lo stesso numero di ore, i docenti della scuola superiore guadagnano in media 36.582 dollari, l'11,2% in meno rispetto alla media dell'Ocse (con un differenziale negativo di oltre 4.500 dollari). Non va meglio per i docenti delle medie, per i quali se lo stipendio negli ultimi 10 anni è aumentato del 4,6% (contro però un +18,2% dei paesi Ocse), il reddito rimane fermo a 35.583 dollari, cioè il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi (quasi 4.000 dollari di differenza).

Ma i più penalizzati in Italia rimangono i maestri dalla scuola primaria, che hanno un reddito medio di appena 32.658 dollari, pari al 13,1% in meno rispetto alla media Ocse che corrisponde a quasi 5.000 dollari. Per non parlare del fatto che lo stipendio dei maestri italiani nell’ultimo decennio è aumentato del 5,2%, a fronte di una media del +22,5%. E questo sebbene alla primaria il numero di ore raggiunga la considerevole quota di 770, in linea con quella degli altri paesi dell’area.

“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola – confermano che, a dispetto di quanto vogliono farci credere il Governo e il Ministro Profumo, negli ultimi anni le ore di lavoro dei nostri insegnanti sono già aumentate. Ma lo stesso non vale per le retribuzioni, visto che anche dalla recente indagine Ocse ‘Education at a Glance’ è risultato che fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Col risultato che nel 2010 il reddito medio dei docenti italiani era di 32mila euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49mila”.

Per non parlare del fatto che in Italia non esiste una carriera dei docenti: “dal momento dell’accesso alla professione, i nostri insegnanti – ricorda Pacifico - si ritrovano in busta paga 28.000 euro, una cifra abbastanza in linea con i colleghi europei. Ma nel corso dell’ultimo anno di servizio, quello precedente alla pensione, si forma un gap incredibile: tra i 7mila e gli 8mila euro”.

Il sindacalista di Anief e Confedir ritiene che non c’è altro tempo a perdere: “questa perdita secca dei salari influisce molto sulla motivazione del corpo insegnante, che accede al ruolo dopo anni di sfruttamento da precario e che di fatto non ha una prospettiva di carriera. Per cambiare rotta - conclude Pacifico - bisogna assolutamente tornare ad alzare l’asticella degli investimenti delle spesa pubblica nel settore dell’istruzione, sbloccare gli stipendi fermi al 2009, ridefinire gli organici e attuare un piano di assunzioni su tutti i posti vacanti”.

 

Le Organizzazioni sindacali ANIEF, CUB-Sur, Orsa Scuola, SAB, Unicobas Scuola, USB PI-Scuola e USI Scuola, riunite il 24 ottobre a Roma, ritengono gravissimo l'attacco alla Scuola pubblica Statale portato avanti dal Governo Monti, prima con la spending review e ora con la Legge di “stabilità”.

L'aumento dell'orario di lavoro a parità di stipendio per i docenti è solo l'ultima dimostrazione dell'arroganza del Governo e dell'infima considerazione dei suoi sostenitori, politici e poteri economici, nei confronti dei lavoratori della scuola e della formazione della nuova generazione.

Decenni di tagli, di controriforme, di regali ai privati stanno demolendo l'immenso lavoro che ogni giorno 8 milioni di studenti e lavoratori fanno per conquistare un presente degno e un futuro di pace e libertà. È per questo che il movimento della scuola sta ripartendo dal basso con determinazione.

È preoccupante, invece, il teatrino politico-sindacale che tenta di annullarne la prospettiva solo per fini elettorali, dando soluzioni minime e temporanee (i rumors della sola cancellazione dell'aumento delle ore a parità di stipendio) nascondendo provvedimenti ben più gravi. Ogni ipotesi di piattaforma indistinta e generica che non ponga complessivamente la rivendicazione della riconquista della scuola pubblica e non individui le politiche della Banca Centrale Europea all'origine dei provvedimenti presi dal Governo Monti, è irricevibile.

L'opposizione al DdL ‘Aprea’, alla chiamata diretta dei lavoratori da parte dei Dirigenti, alla spending review che ha colpito in modo indegno il personale ATA, i docenti inidonei, i precari e addirittura le minoranze linguistiche, sono parte integrante della nostra lotta alla politica dei ricatti che sta escludendo i figli dei lavoratori dalla Scuola.

L'USB, l'Unicobas, l'USI, L'ORSA e il SAB intendono mantenere la propria iniziativa di sciopero generale dei lavoratori per il 16 novembre con manifestazione nazionale a Roma.

Le stesse OO.SS. si riservano, vista la situazione generale dei lavoratori di tutte le categorie e nel caso le Confederazioni Generali individuassero una data diversa di mobilitazione nazionale, di conformare date e iniziative, coscienti dell'attacco su tutti i fronti ai lavoratori della Scuola.

Tutte si impegnano insieme all'ANIEF e alla CUB-SUR a individuare un’ulteriore data largamente condivisa, che possa garantire la massima partecipazione dei lavoratori.

Le OO.SS. proclamano da subito lo stato di agitazione della categoria, a livello locale e nazionale, così articolato: nella settimana dal 5 al 10 novembre, in concomitanza con la discussione in Parlamento degli emendamenti al testo della Legge di stabilità, si terrà l'iniziativa di lotta "Profumo di didattica" che prevede assemblee dei lavoratori, con studenti e genitori, didattica alternativa e l'astensione da ogni attività aggiuntiva non obbligatoria, presìdi ed iniziative locali.

Roma, 25 ottobre 2012 

in Sicilia agli alunni delle primaria il tempo pieno è garantito solo nel 3% dei casi. In Lombardia lo stesso servizio è messo a disposizione del 90% degli iscritti. La forte discrepanza si deve anche e soprattutto alla mancanza delle mense scolastiche. Appello del sindacato ai candidati alla presidenza della Regione: si impegnino sin d’ora, prima di essere eletti, a farle attivare in tutte le scuole siciliane.

Fa un certo effetto sapere, leggendo il libro “C’è un’Italia migliore”, scritto da Nichi Vendola, candidato alle primarie del Pd, che nel 2012 il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato nel 90 per cento degli istituti della Lombardia; mentre in Sicilia dello stesso servizio pubblico ha usufruito appena il 3 per cento degli alunni. E che, di conseguenza, al termine dei cinque anni di scuola primaria i bambini della Sicilia studieranno 430 giorni in meno, che corrispondono a più di 2 anni scolastici.

“Questa enorme disparità – commenta Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – se confermata dimostra che nella scuola siciliana occorre attuare il prima possibile adeguati incentivi. Finanziari, ma anche di carattere strategico. Questi serviranno, tra l’altro, ad attivare il servizio mensa. La cui mancanza, in quasi tutte le scuole primarie della Sicilia, è alla base della scarsità di istituti che garantiscono il tempo pieno nell’isola”.

L’Anief si rivolge, quindi, a tutti i candidati alla presidenza e dell’Assemblea della Regione Sicilia, la cui elezione è stata fissata per l’ultima domenica di ottobre: si impegnino sin d’ora, prima di essere eletti, a fare in modo che nel più breve tempo possibile tutte le scuole primarie della regione siano fornite di una mensa. “Solo in questo modo – sottolinea il presidente del giovane sindacato – sarà possibile permettere la permanenza a scuola degli alunni anche nel pomeriggio. Ed in tal modo tentare seriamente di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica e di elevare la qualità della didattica”.

C’è, inoltre, un risvolto sindacale non certo marginale su cui vale la pena soffermarsi: “la generalizzata riduzione d’orario – sostiene Pacifico – spiegherebbe anche la penuria di posti di lavoro nelle scuole della Sicilia. Dove, rispetto all’alto bacino d’utenza, l’organico dei docenti e del personale Ata continua ad essere decisamente basso. Incrementare le ore di scuola permetterebbe, quindi, di portare il numero di posti dei docenti, degli amministrativi, dei tecnici e degli ausiliari a livelli più confacenti ad una delle regioni più grandi d’Italia”.

 

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