Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 4 aprile 2014

 Il Messaggero -28 marzo 2014

" Prepensionamenti. Pronta l'uscita per diecimila dipendenti statali

░ Per i dipendenti in esubero, l’accesso alla pensione con le regole ante-Fornero è possibile con una norma 2012.

L’operazione di prepensionamento dei dipendenti pubblici in esubero… è già iniziata. … La norma che permette di applicare ai lavoratori pubblici le regole pensionistiche più favorevoli antecedenti alla riforma Fornero è contenuta nel decreto 95 del 2012, il provvedimento di revisione della spesa del governo Monti. In quel testo è prevista questa possibilità (purché il relativo trattamento decorra entro l’anno 2014) per gestire i dipendenti in soprannumero, altrimenti avviati alla mobilità ed in ultima analisi anche al licenziamento. E nella relazione tecnica che accompagna il decreto sono stati anche conteggiati i possibili interessati. Più precisamente, viene ipotizzato che si ritrovino in esubero 11.000 persone nelle amministrazioni centrali (di cui 5.600 nei soli ministeri) e 13.000 negli enti locali. Non tutti però avrebbero i requisiti per andare in pensione con le vecchie regole: secondo le valutazioni della Ragioneria si troverebbero in questa situazione, avendoli già conseguiti entro fine 2011, 6.000 lavoratori di ministeri ed enti pubblici e 2.000 delle amministrazioni locali. In tutto dunque 8.000. Per queste persone l’onere sui conti pubblici si limiterebbe alle sole liquidazioni visto che le pensioni in più sarebbero compensate dagli stipendi in meno, ovviamente nell’ipotesi di non assumere nessuno in sostituzione. Ci sarebbe poi una quota non quantificata di dipendenti che maturando i requisiti - sempre secondo le vecchie regole - dal 2012 in poi non avrebbero particolari costi perché l’erogazione della liquidazione sarebbe ritardata. In totale dunque il numero dei posti disponibili può essere pari ad oltre 10 mila.Tutto il meccanismo però, come già detto, si regge sul fatto che la sostanziale equivalenza tra stipendi risparmiati e pensioni erogate azzeri o quanto meno riduca gli oneri per il bilancio pubblico. Se invece, come annunciato dal ministro Marianna Madia, si tratterà di far uscire dipendenti anziani per immetterne in servizio di giovani, allora la questione dovrà essere in parte rivista almeno sotto il profilo finanziario.

 

Scuola oggi.org – 29 marzo 2014

" Apprendistato senza apprendimento

░ di Fabrizio Dacrema

Il primo approccio del Governo Renzi in tema di formazione e lavoro è tutt’altro che innovativo. Si muove nel solco, purtroppo consolidato nel nostro paese, di un'idea povera del lavoro e della flessibilità, abbassa ulteriormente l'asticella dei diritti e della qualità del lavoro. … Le modifiche introdotte dal decreto del governo in materia di apprendistato snaturano questo specifico tipo di contratto "a causa mista" e rendono ancora più improbabile la prospettiva, diffusamente condivisa, di offrire ai giovani un ingresso al lavoro di tipo formativo. Il decreto Poletti: -elimina il vincolo, recentemente introdotto dalla legge Fornero, della conferma in servizio di una parte degli apprendisti assunti in precedenza ai fini dell'assunzione di nuovi apprendisti (attraverso la contrattazione si era fissata la quota del 30 per cento); -cancella l'obbligo della forma scritta per il piano formativo individuale dell'apprendista; -nell'apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualifica contrattuale viene soppresso l'obbligo di integrazione della formazione tecnico-professionale, di responsabilità dell'azienda, con l'offerta formativa pubblica (non più di 120 ore nel triennio di formazione di base e trasversale disciplinate dalle Regioni); -nell'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale la retribuzione dell'apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sarà del 35 per cento della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Non è difficile cogliere l'idea di fondo che guida questi interventi sull'apprendistato: la componente formativa del contratto è considerata prevalentemente come una fonte di intoppi burocratici e di inutili perdite di tempo. … A questo punto, se il governo non accetta modifiche, è lecito domandarsi se l'apprendistato professionalizzante, dopo la deregolazionesubita, sia ancora un contratto a causa mista meritevole di sostegno da parte dello stato (sgravi contributivi al 100 per cento) e che possa usufruire della possibilità di sottoinquadramento contrattuale fino a due livelli oppure di percentualizzazione della retribuzione. L’indebolimento della componente formativa, fra l’altro, rischia anche un intervento sanzionatorio europeo per violazione della disciplina in materia di aiuti di stato, come già accaduto con i contratti diformazione-lavoroL’ultima indagine Isfolsulla formazione continua ha evidenziato che sono le imprese che formano i lavoratori quelle che innovano e crescono. Occorre creare le condizioni perché tutte le imprese che assumono apprendisti siano in grado di realizzare un percorso formativo intenzionalmente finalizzato a formare le competenze contenute nella qualificazione professionale cui il contratto di apprendistato è finalizzato e per la quale sono giustificati gli sgravi contributivi e gli sconti contrattuali. Se le imprese non sono in grado di formare l’insieme delle competenze di base, trasversali e tecnico-professionali che compongono un profilo contrattuale, allora devono interagire con le reti formative del territorio per avvalersi di competenze esterne e co-progettare i percorsi. Un ruolo decisivo lo giocano i sistemi regionali della formazione professionale e la diffusione dei poli tecnico-professionali al fine sostenere, in particolare, le piccole imprese nella formazione di professionalità specifiche (tutor aziendali) e nello sviluppo della capacità formativa dell’impresa. In questo modo l’apprendistato può diventare stimolo e occasione di miglioramento dell’intero capitale umano dell’impresa.

 

Corrieredellasera.it – 30 marzo 2014

" L'esercito di riserva dei precari E i costi umani anche per i ragazzi

░ La chiarezza con la quale finalmente la grande stampa fotografa la situazione significa che la situazione (imminet la sentenza della Corte di Giustizia Europea) non lascia più margini all’ipocrisia con cui si è tollerato l’assurdo meccanismo delle graduatorie permanenti (modificate, poi, in Graduatorie ad Esaurimento. Centinaia di migliaia di aspiranti docenti vi sono invecchiati dentro e la superficialità con la quale si è gestita la loro sorte lavorativa si inserisce nel più generale fenomeno dell’ostracismo al quale è stata consegnata un’intera generazione – di certo culturalmente qualificata – stringendola nell’alternativa diabolica: lasciare l’Italia oppure, rinunciando a un proprio progetto di vita, caricarsi la soma dei debiti fatti dalla generazione precedente.

Sono tanti (140 mila), senza un posto fisso (lavorano a chiamata, una volta qui, un’altra volta là: ovunque ci sia bisogno) e non hanno diritto a scatti di anzianità e nemmeno alle ferie pagate. Sono i precari della scuola: un esercito di donne e uomini, maestri e maestre, professori, insegnanti di sostegno e personale ausiliario, senza i quali le scuole semplicemente non potrebbero funzionare ma che ogni anno vengono licenziati a giugno e riassunti a settembre per risparmiare sui due mesi di stipendio che altrimenti gli spetterebbero. Sulla sorte di questi dannati della scuola è chiamata a decidere la Corte di Giustizia europea che potrebbe condannare definitivamente lo Stato italiano per infrazione del diritto comunitario, coerentemente con altre prese di posizione analoghe dei mesi scorsi. Alla base del verdetto, una direttiva comunitaria del 1999 che prevede l’assunzione in via definitiva per tutti quei dipendenti che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio anche non continuativo. La sentenza non è attesa prima di un paio di mesi. Ma se, come i sindacati si augurano, fosse positiva provocherebbe un terremoto in Italia. E se già al Miur non dormono sonni tranquilli, ancor più preoccupati sono i funzionari del Ministero dell’Economia per il timore che un verdetto sfavorevole scarichi sulle casse statali un peso considerevole, viste le pesantissime sanzioni che ci verrebbero comminate: si parla di diversi miliardi di euro, arretrati compresi, senza pensare ai costi per stabilizzare i precari. L’unica carta che il governo può giocare a proprio favore è l’articolo 15 del decreto legge 104/13 («L’istruzione riparte») che prevede nel triennio 2014-2016 la copertura di circa 87 mila posti vacanti, fra docenti ordinari, insegnanti di sostegno e assistenti tecnico-amministrativi (personale Ata). Posti che andrebbero assegnati per metà ai precari storici e per l’altra metà ai vincitori dei concorsi. E che certo non possono bastare a stabilizzare tutti i precariQuanti sono effettivamente i precari della scuola? Centoquarantamila infatti sono «solo» quelli che lavorano. Ma in realtà sono molti di più. Il gruppo più consistente è rappresentato dai 180 mila «precari storici» delle graduatorie a esaurimento (Gae). In queste liste provinciali, chiuse ormai da 6 anni (salvo periodiche sanatorie), stanno coloro che hanno conseguito l’abilitazione con le Ssis (le scuole di specializzazione all’insegnamento secondario in funzione fino al 2008) o che hanno vinto un concorso (l’ultimo, prima che il ministro Profumo decidesse di bandirne uno nuovo nel 2012, risaliva al 1999). Data la loro anzianità di servizio, rappresentano l’élite, o comunque il girone meno diabolico, nell’inferno dei precari. A loro spettano infatti la metà dei posti concessi per le immissioni in ruolo e la prima scelta delle supplenze annuali e fino al termine delle lezioni. E questo spiega anche perché gli insegnanti italiani siano così vecchi (più della metà ha dai 50 anni in su, mentre gli under trenta sono appena il 2,5%). Poi ci sono i precari non abilitati con almeno tre anni di supplenze che hanno fatto domanda per i cosiddetti percorsi abilitanti speciali (Pas). In tutto 66 mila persone che attualmente stanno in terza fascia nelle liste di istituto da cui i dirigenti scolastici scelgono i supplenti lunghi e brevi ma che grazie ai Pashanno la possibilità di acciuffare l’abilitazione in un anno senza nemmeno dover sostenere una selezione all’ingresso. Gli ultimi della fila sono i cosiddetti tieffini, coloro cioè che hanno conseguito l’abilitazione con i tirocini formativi attivi (Tfa) a numero chiuso e con test di accesso: costoro sono in molti casi neolaureati fuori da tutte le graduatorie e da tutte le liste, in altri casidocenti di terza fascia o docenti che hanno già un’abilitazione ma ne vogliono rendere un’altra. Passini e tieffini si contendono il diritto di precedenza nelle supplenze in nome gli uni dell’anzianità di servizio gli altri del merito. … Quest’anno su 728.325 docenti si contano 120.339 supplenti: 108.284 assunti fino al 30 giugno e solo 12.055 «con le ferie pagate» (contratto al 31 agosto). Ai 120 mila insegnanti bisogna poi aggiungere 18.979 Ata: in tutto 139.318 persone (senza contare i 40-50 mila supplenti temporanei chiamati dai dirigenti scolastici a coprire i buchi di organico imprevisti). Nel linguaggio burocratico della pubblica amministrazione questi 140 mila rappresentano l’«organico di fatto» della scuola, quell’esercito di riserva che ogni anno a luglio si aggiunge, con decreto del Miur, all’«organico di diritto» per sopperire alle esigenze variabili dellescuole.

 

larepubblica.it – 01 aprile 2014

" Ocse-Pisa, nei test di "soluzione dei problemi quotidiani" la rivincita degli studenti italiani

░ I giornali continuano a dare credito all’esito delle rilevazioni mediante test, ed enfatizzano una notizia buona: gli studenti italiani si piazzano discretamente nel "problemsolving", una delle prove svolte dagli studenti di 44 paesi. E non è un Pesce d’Aprile

Rivincita dei quindicenni italiani nei testOcse-Pisa. Nel problem-solving - la risoluzione di problemi che richiedono un approccio più pragmatico e adattivo che teorico e di routine  -  l'Italia si piazza nella parte alta della speciale classifica stilata dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che sonda le capacità di risolvere problemi della vita quotidiana. Superando nazioni come Germania e Stati Uniti e mantenendosi "significativamente" al di sopra della media dei paesi Ocse che hanno partecipato all'indagine svolta nel 2012. … Dopo anni di delusioni per le cattive performance in Lettura, Matematica e Scienze, gli adolescenti italiani surclassano i coetanei di nazioni industrializzate o emergenti come Spagna, Russia e Svezia. Il 15° posto occupato dall'Italia nella classifica dei 44 paesi che hanno partecipato all'indagine sulle "Competenze degli studenti alle prese con i problemi della vita quotidiana", presentata oggi a Parigi, lascia ben sperare per il futuro di una scuola che negli ultimi anni è stata oggetto di critiche, riforme e soprattutto tagli perché considerata inefficiente Pare che la capacità di individuare e risolvere i problemi sia la competenza-chiave del futuro. Quella necessaria per inserirsi in un mondo del lavoro ormai globalizzato e sempre più competitivo. E gli studenti italiani sembrano già sulla buona strada. In cima alla classifica dell'Ocse sul Problem-solving si piazzano i paesi asiatici: Singapore (con 562 punti), Corea e Giappone. Seguiti dalle regioni più sviluppate della Cina: Macao, Hong Kong, Shanghai e Taipei, che sopravanzano Canada e Australia. Il primo paese europeo è la Finlandia che totalizza 523 punti, ma il nostro Paese è al sesto posto in Europa, con 510 punti. E i giovani delle regioni nord orientali ne totalizzano addirittura 533 di punti. La Germania, con 509, ci segue. Mentre la Russia (con 489 punti) e la Spagna (con 477 punti) sono distanti decine di punti dall'Italia. L'unico neo è la quota di top-performer che in Italia è del 6,2 per cento, contro una media Ocse dell'8,2. Ma perché all'Ocse considerano così importante la capacità di problem-solving? La risposta si trova nel grafico che mette in relazione la variazione dell'occupazione nell'area Ocse di coloro che hanno buone capacità di risoluzione dei problemi. Per questi ultimi, infatti, si è registrata una crescita del 4 per cento, a scapito di coloro che mostrano basse performance proprio nella competenza sondata dal rapporto odierno. Una circostanza che, secondo gli esperti dell'Osce, dovrebbe indirizzare le scelte politiche sull'istruzione.

 

scuolaoggi.org - 1 aprile. 2014

"L’istruzione in ospedale e a domicilio

 Salvatore Nocera - Componente del Comitato dei Garanti della FISH -tratta, in sintesi,della NOTA MIUR dell’11 marzo 2014 riguardante la ripartizione dei fondi per la scuola in ospedale e a domicilio, e i criteri di funzionamento del servizio.

A seguito di presentazione della domanda da parte della famiglia (corredata della certificazione medica), il Dirigente Scolastico della scuola polo, con la sezione ospedaliera competente per territorio, provvede all’iscrizione nella sezione di scuola ospedaliera, secondo l’ordine e grado di scolarizzazione dell’alunno. Per l’istruzione domiciliare, invece, il Dirigente Scolastico deve prendere contatti con l’Ufficio Scolastico Regionale. Dal momento dell’accettazione del progetto, la scuola ospedaliera o la scuola di competenza dell’alunno con istruzione a domicilio prendono in carico il progetto stesso e ciò comporta che le assenze dalla scuola di origine non valgano più, mentre si tiene conto delle assenze nell’àmbito della scuola in ospedale o a domicilio nel solo caso in cui esse non consentano ai docenti di poter valutare l’alunno. Viene inoltre ribadito l’obbligo di presa in carico da parte della scuola di origine con la quale la scuola ospedaliera o i docenti che seguono l’alunno nell’istruzione a domicilio devono tenere un costante contatto, anche tramite mezzi elettronici. Qualora poi la durata di istruzione in ospedale o a domicilio superi la durata di frequenza della scuola di origine, sono i docenti che svolgono questa attività a fornire indicazioni ai Consigli di Classe per la valutazione formale, secondo quanto stabilito dagli articoli 11 e 14 comma 7 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 122/09È prevista pure la possibilità di attività didattiche ospedaliere estive, svolte con docenti volontari o dichiaratisi disponibili a ciò e si chiarisce ancora che gli insegnanti devono utilizzare il registro elettronico, concordando le modalità con la scuola di origine dell’alunno. Infine, si fa riferimento all’apposito portale del Ministero dedicato alla scuola in ospedale e a domicilio.Alcune osservazioni sono doverose. Merita innanzitutto plauso il riferimento alle possibili attività estive con docenti volontari o resisi disponibili a ciò, ovviamente nel rispetto del principio costituzionale di irrinunciabilità delle ferie. Lascia invece perplessi l’individuazione dei requisiti per accedere all’istruzione domiciliare indicati dalla normativa successiva al 2002. … Nnon si comprende in base a quale norma primaria il Ministero abbia previsto la condizione della preventiva ospedalizzazione, dal momento che l’articolo 12, comma 9 della Legge 104/92, concernente la scuola in ospedale, ai cuiprincìpi si è ispirata la normativa sull’istruzione domiciliare, recita come segue: «[…] per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza della scuola dell’obbligo per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione». Su questo punto, quindi, l’Osservatorio Ministeriale sull’Inclusione Scolastica degli Alunni con Disabilità ha avanzato la richiesta di modifica della normativa secondaria successiva al 2002, riportandola a quella anteriore, nel rispetto appunto del citato articolo 12, comma 9 della Legge 104/92. E tuttavia, ad oggi, il Ministero non ha ancora preso alcuna decisione.

 

Corrieredellasera.it - 2 aprile. 2014

"L’incontenibile vanità dei Rettori Ministri

 Stefania Giannini, terzo rettore consecutivo, dopo Carrozza e Profumo, ad assidersi sul trono del MIUR

Il bello dei rettori entrati (saliti? discesi?) in politica è quella loro arietta non già, come si potrebbe presumere, da primi della classe (antiquata, antiquatissima, per carità!), ma da qualcosa di mezzo tra Candide e la Vispa Teresa. Comune peraltro anche ad altri personaggi di simile parabola, come ad esempio il sindaco di Roma, Ignazio Marino. L’arietta di chi dice: guardate bene che io con i politici — sottinteso: quei lazzaroni, quei farabutti — non ho niente a che spartire. Guardate che sono allibito quanto voi e anzi ve ne racconto io una nuova. Guardate che io mi occupo non dei pasticci che ho ereditato e che non sono miei, ma di scrutare nuovi orizzonti e, soprattutto, di farvi vedere un nuovo stile. Direttamente impersonato, non a caso, da me medesimo. Se i rettori finiranno all’Inferno, dove è assai probabile che finiscano, sarà per la loro incommensurabile, incontenibile, vanità. L’ultimo caso è quello di Stefania Giannini, terzo rettore consecutivo, dopo Carrozza e Profumo, ad assidersi sul trono del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Trono in quanto da lì si governa all’incirca un milione di dipendenti e si spende, per il funzionamento, più di ogni altro ministero. Né il Rettore Primo, Francesco Profumo, né il Rettore Secondo, Maria Chiara Carrozza, hanno lasciato esaltante o incancellabile memoria di sé medesimi. Profumo, un ingegnere, sembrava uomo con i piedi per terra. Anche se a insospettire avrebbe dovuto essere il fatto che il governo Monti in cui militava era quello che vantava il più alto tasso di rettori nella storia non già d’Italia, ma di tutti i tempi e di tutti i paesi. Comunque sia, di Profumo si ricorda solo la graziosa idea del campionato nazionale dei primi della classe, teso a individuare e incoronare il Super Primissimo di Tutte le Classi. Una cosa tra Dickens e De Amicis, quanto mai adatta al terzo millennio. Della Carrozza viceversa, un bioingegnere di cui si celebravano le virtù scientifiche e la propensione all’eccellenza, non si ricorda nulla, dato che se non proprio nulla, certo assai poco deve avere fatto. Ammaestrato da questi precedenti, il Rettore Terzo, la Giannini, di natura sua una glottologa, appare fermamente intenzionata a lasciare duratura traccia di sé. Ha dunque sdegnosamente smentito che i precari della scuola siano mezzo milione e, ispirandosi al nominalismo e sfidando l’aritmetica, ne ha determinato la consistenza in «poco meno di centosettantamila». Salvo aggiungere che «ci sono anche 460 mila in graduatorie d’istituto, 10 mila abilitati con Tfa, 70 mila abilitati con Pas, 55 mila diplomati magistrali, e 40 mila idonei dei vecchi concorsi». Un po’ criptico, ma non male.Non contenta della performance numerica, la Giannini si è poi cimentata in un paio di occasioni con il pensiero vero e proprio, come quando, parlando degli esami di accesso alle scuole di specializzazione «mi piacerebbe — ha osservato — che mirassero a misurare principalmente le competenze e l’attitudine relative alla specializzazione futura». Perché, vien fatto di chiedere, che cos’altro dovrebbero misurare? E, soprattutto, contestando la sua collega Madia che aveva parlato di prepensionamenti per far spazio ai giovani, ha vibratamente e insieme pensosamente asserito «non amo il collegamento tra chi va a casa e chi entra. Un sistema sano non manda a casa gli anziani per far entrare i giovani. È necessaria un’alternanza costante». Precetto, quest’ultimo, di cui far tesoro (come di quello sulla necessità della maglia di lana e altri similari). Ma che forse non è di grande aiuto nelle presenti circostanze, quando di ingresso di giovani son vent’anni che non si parla. Il manto che avvolge l’avvento in politica dei rettori (come per altro, ma simile verso degli alti dirigenti della Banca d’Italia) è la competenza, la probità, la dedizione all’interesse nazionale e non di parte. La sostanza è una sottile, ma tenace idea corporativa. L’idea, antica, che la democrazia è debole, soprattutto in Italia, e che le sue piaghe devono essere medicate da mani delicate ed esperte, non lasciate in balia dei tristi amori dell’elettorato. Solo i corpi organizzati — l’accademia, l’alta burocrazia, gli istituti finanziari — possono garantire e proteggere l’interesse comune. In cambio, naturalmente, del riconoscimento di una sorta di patronato perenne, di un diritto inalienabile. Il risultato, la realtà che abbiamo sotto gli occhi, è la pasta collosa e burbanzosa che avvolge la dimensione pubblica e maschera la sua sostanziale paralisi. Meglio, molto meglio, la politica.

 

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – 3 aprile 2014

Geografia economica disciplina "tappabuchi".

░ Il Giga (Gruppo Insegnanti GeografiaAutorganizzati) ci fa pervenire il documento con cui chiede la revisione della nota ministeriale 3119 e la revoca totale dell'atipicità.

Continua da parte del Ministero della Pubblica Istruzione lo scempio nei riguardi della “Geografia Economica”. Dopo il colpo letale assegnato alla disciplina dal riordino Gelmini del 2010, non solo con eliminazione dagli Istituti Nautici e dai Professionali per il Commercio, ma soprattutto con la drastica riduzione del potenziale formativo, nonché della funzione di disciplina di indirizzo negli Istituti Tecnici Commerciali (gli unici in cui è sopravvissuta) spostandola dal triennio al biennio, derubricandola a semplice "Geografia" e attribuendole persino il carattere di atipicità. Con la nota ministeriale 3119 del 1 aprile 2014, al danno si aggiunge  la beffa: l'insignificante ora di Geografia Economica  introdotta nei bienni dei Professionali e dei Tecnici per il prossimo anno scolastico dalla Ministra Carrozza, viene illegittimamente assegnata anche ad altre classi di concorso mediante l'assegnazione di disciplina atipica. In tal modo il Ministero non si limita ad ignorare le proprie direttive ministeriali che prevedono l'esclusivo insegnamento della Geografia Economica da parte dei docenti della A039, ma cade in contrasto con quanto stabilito dell'articolo 33 della nostra Costituzione. Tutto questo sembra essere un macabro "pesce d'aprile" se si considera infatti che i vari Atenei Italiani hanno rimpinguato le loro casse con diverse decine di migliaia di euro mediante i TFA e i PAS che abilitavano i precari proprio all’insegnamento della A039, e adesso la sopra citata nota ministeriale condanna gli abilitati non al precariato a vita, bensì alla perenne disoccupazione. Sopraggiunge per cui come stridente pressapochismo e come manovra volutamente oscurantista la possibilità offerta dal Ministero a docenti non abilitati e nemmeno competenti di insegnare una materia affascinante quanto complessa come la "Geografia Economica". Nell’era del mondo globalizzato e della finanziarizzazionedell'economia, la “Geografia Economica“, secondo l’immaginario del Ministero, continua ad essere esclusivo appannaggio di quell'ossidato dizionario nozionistico di “mari e monti” tanto da relegarla a materia subalterna e “tappabuchi”. La fulminea conseguenza è un'inesorabile banalizzazione di una delle poche discipline scolastiche che fungono da punto di intersezione tra il mondo reale e quello scolastico. Questo va ad inficiare non solo sui docenti della Classe A039, gli unici con le competenze e i requisiti per insegnarla, ma soprattutto sulla formazione dei ragazzi, di quelle generazioni cioè che questa società dovrebbero viverla, governarla e renderla migliore. Per tali motivi il Giga (Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati) chiede la revisione della nota ministeriale 3119 e la revoca totale dell'atipicità dalle poche, residuali ore di insegnamento di Geografia rimaste nell'ordinamento scolastico italiano.

 

 

 

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