Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 21 febbraio 2014

 www.larepubblica.it – 16.02.2014

“Chi vuole abolire la filosofia da Scuola eUniversità”

 Un progetto ministeriale che limiterebbe lo studio della materia nei licei a soli due anni. E’ evidente la miopia di coloro chedirigono l'organizzazione della cultura in Italia. Scuola e università sono luoghi di istruzione ma anche di educazione al pensiero e alla volontà liberi e autonomi, e per questa loro funzione, l'insegnamento della filosofia è imprescindibile. Di Roberto Esposito. E’ stato autorevolmente scritto che studiare la filosofia è come fare di professione l’essere umano.

Il piccolo ma agguerrito mondo della filosofia italiana  … è in comprensibile fermento. In base ad una recente normativa tale materia è stata eliminata dalle tabelle disciplinari di vari corsi di laurea, come quelli di Pedagogia e di Scienze dell'Educazione, con la singolare motivazione che si tratta di una disciplina troppo specialistica. E che dunque dove si educano gli educatori non c'è alcun bisogno di essa. Ma c'è di peggio. Sta prendendo corpo il progetto, già sperimentato in alcuni licei, di abbreviare il ciclo delle scuole secondarie a quattro anni, con la conseguente riduzione dell'insegnamento della filosofia a due. L'idea, del resto, non è nuova. Già alla fine degli anni Settanta si pensò di cancellare lo studio della filosofia dalle scuole, sostituendola con le Scienze umane. Ci volle la ribellione dei professori di filosofia dei licei  -  molti dei quali preparati e motivati  -  per scongiurare simile, sconcertante, trovata. L'intenzione di ridurre il rilievo della filosofia, schiacciandola ai margini dei programmi scolastici e universitari, è la punta di un attacco generalizzato al sapere umanistico in Italia. Ma in essa c'è qualcosa di ancora più grave. Si vuole così occludere lo spazio dove si forma lo spirito critico. Indebolire ogni resistenza a un diffuso realismo in base a cui, qui o altrove, non c'è da prefigurare nulla di diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi. Tale progetto è sbagliato per più di un motivo. Intanto perché la filosofia, oltre che indispensabile di per sé, lo è nei confronti degli altri saperi. … Perché definisce le loro differenze, misura la tensione che passa tra i vari linguaggi. In quanto sapere critico, la filosofia impedisce la sovrapposizione di questioni eterogenee, delinea i confini dentro i quali esse assumono significato. Ma il suo ruolo non si esaurisce in una procedura metodologica. Tutt'altro che chiusa su di sé, essa è sempre aperta al mondo,  alle sue potenzialità e ai suoi conflitti. Tale è la sua funzione. La capacità, e anche il desiderio, di aprire un confronto, in qualche caso uno scontro, rispetto a ciò che esiste a favore di una diversa disposizione delle cose. In questo senso la filosofia,  anche e forse soprattutto quella che si definisce "teoretica", ha sempre un'anima politica. Non, certo, nel senso di fornire prescrizioni o indicazioni su cosa fare o come agire. Ma perché è situata lungo il confine tra il reale e l'immaginario, il necessario e il possibile, il presente e il futuro. Perciò essa è sempre in rapporto con la storia. Non parlo solo della storia della filosofia  -  pure indispensabile. Ma della storia nella filosofia. Il pensiero non solo ha, ma è storia, perché consapevole del nostro limite. Di quanto abbiamo, ma anche di quanto ci manca, dell'assenza che taglia ogni presenza, della scissione che attraverso ogni unità. … Il motivo per il quale, nonostante l'apparente inutilità che spesso le viene rinfacciata, si continua a praticare filosofia sta proprio nella coscienza che il suo compito è inesauribile. Che restano sempre spazi inediti da aprire, vie nuove da imboccare, opzioni diverse da sondare. Quando si è supposto che così non fosse, che la verità era stata raggiunta e il percorso compiuto, allora la filosofia è stata messa a tacere e i filosofi sono stati banditi dalla città.

 

www.lastampa.it – 17.02.2014

“Contributi scolastici, boom di denunce”

░ Raddoppiate in un anno le segnalazioni di abusi da parte degli istituti. “Colpa dei tagli all’offerta formativa”. Di Flavia Amabile.

Chi pagherà il salvataggio degli scatti dei professori non saranno il Ministero dell’Economia né quello dell’Istruzione. Saranno i genitori, tanto per cambiare. Rispetto allo scorso anno sono quasi raddoppiate le denunce di abusi nelle richieste di contributi scolastici da parte delle scuole. Perché, alla fine della complessa trattativa non priva di ripercussioni politiche per il governo Letta che allora era in carica, a restare con il cerino acceso in mano sono genitori e studenti. Si taglierà il Mof, il capitolo relativo al Miglioramento dell’Offerta Formativa, quello che permette alle scuole di organizzare le attività extra scolastiche e di avere un po’ di respiro nei conti. Quel respiro da qualche anno è sempre più corto, e quest’anno ancora di più. Per trovare risorse le scuole possono soltanto rivolgersi a chi le frequenta. Al Ministero dell’Istruzione sono in aumento le segnalazioni di casi di istituti che pretendono contributi che dovrebbero essere volontari come obbligatori per frequentare i corsi di quella che una volta era la scuola dell’obbligo pluri-garantita dalla Costituzione. È un lento scivolamento all’indietro dei diritti in corso da alcuni anni. Il Ministero ha chiarito da tempo la propria contrarietà rispetto a queste richieste con la circolare Stellacci: chi si iscrive ha il dovere di pagare solo una tassa erariale ed una tassa di frequenza, pari a circa 20 euro. Tutto quello che eccede questa cifra può essere chiesto ma è del tutto volontario, i genitori possono rifiutarsi di pagarlo, in particolare nella scuola dell’obbligo. I contributi non potranno essere utilizzati per il funzionamento amministrativo delle scuole, è possibile chiedere solo un contributo per i laboratori ma deve essere del tutto congruo. Del tutto ingiustificate le richieste di aumenti anche perché - spiegano ancora dal ministero - quest’anno il Fondo di Funzionamento è rimasto stabile e si è cercato di lasciare invariati anche i fondi per i corsi di recupero (che però negli anni scorsi erano già stati fortemente ridotti). Ma tante scuole hanno fatto finta di nulla. Sono quasi raddoppiate le segnalazioni di abusi arrivate al sito Skuola.net rispetto allo scorso anno. Al professionale “MarcoGavio Apicio” di Anzio, senza alcun pudore scrivono, nel Patto di Corresponsabilità consegnato ai genitori, che chi non pagherà la quota di 150 euro l’anno per il biennio e di 200 euro sarà iscritto con riserva. All’Ipsia di Battipaglia, denuncia un genitore, chiedono 100 euro per ogni anno, compresi i primi due che fanno parte dell’istruzione obbligatoria. All’alberghiero «Scappi» di Castel San Pietro Terme arrivano fino a 210 euro. Al tecnico industriale di Catanzaro chiedono 120 euro , chi non paga non viene iscritto, denuncia una madre…. E per quel che riguarda i corsi di recupero, da Bologna a Ceccano, sono in tanti gli istituti che chiamano gli studenti più bravi a tenerli. «Ci stanno strozzando», sostiene un dirigente scolastico che preferisce restare anonimo. Quanto costano alle famiglie i contributi scolastici volontari? … Dalle oltre 700 segnalazioni di irregolarità arrivate negli ultimi tre anni, si può evincere che alle superiori nella maggior parte dei casi non si richiede meno di 60 euro, con punte di 200 ai professionali o ai tecnici. Questa cifra moltiplicata per 2.580.007 alunni iscritti, secondo i dati ministeriali del 2013/2014, fa la cifra non trascurabile di 155 milioni di euro. Ripercorrendo lo stesso ragionamento per le scuole medie, dove é difficile pagare meno di 25 euro, é possibile ipotizzare un incasso da parte dei 1.671.375 studenti delle medie pari a 42 milioni di euro….

 

Il Messaggero – 17.02.2014

“Il test Invalsi distrae dallo studio”

░ Riportiamo il ben noto parere di Giorgio Israel, uno dei critici più tenaci nei riguardi dei test INVALSI.

La questione della valutazione del sistema scolastico, e del ruolo dell'ente preposto a tale funzione, l'Invalsi, non è roba da addetti ai lavori. Ogni genitore tocca con mano le novità introdotte dall'uso diffuso di test che, nel caso dell'esame di terza media, influiscono anche sul voto. Era quindi giusto che, nel momento in cui si aprivano le procedure per la nomina del nuovo presidente dell'Invalsi, si chiedesse un dibattito su ruolo e metodi della valutazione nella scuola italiana. … In molte classi, in questi giorni, gli studenti sono invitati a stampare i test Invalsi di italiano e matematica per le medie: due volumi di un centinaio di pagine che spodesteranno parte della didattica ordinaria, impegnando nell'addestramento a superare i quiz invece di studiare testi di letteratura o teoremi di geometria. Lo stesso accade nelle primarie, sebbene i test Invalsi vi abbiano un ruolo di mero censimento. Il dilagare di quel che gli anglosassoni chiamano il «teaching to the test» l'insegnamento in funzione del superamento dei test e non in funzione dell'acquisizione di conoscenze è una realtà innegabile. … Vi sarebbe poi da discutere sul contenuto e la qualità dei test e sul dilagare di una manualistica di addestramento di infimo livello …. In conclusione, in una fase così delicata, l'Invalsi ha bisogno di un presidente e di una dirigenza capaci di parlare col mondo della scuola, non per indottrinare ma per discutere, capaci di affrontare le tematiche in gioco con spirito aperto, come conviene a un atteggiamento razionale. Il nuovo presidente, Anna Maria Ajello, sembra essere la persona giusta, anche in vista delle sue prime equilibrate dichiarazioni. …

 

http://gisrael.blogspot.it – 17.02.2014

Intervista a Giorgio Israel, componente del comitato di selezione per la presidenza INVALSI

░ Riportiamo in parte la lunga riflessione di Giorgio Israel - ed esprimiamo gratitudine. Posted by Redazione ROARS, on 17 febbraio 2014.

D. La designazione del nuovo Presidente Invalsi ha creato molte polemiche. Cosa ne pensa?  R.La designazione ne ha create meno di quante ne abbia create la costituzione del Comitato di selezione delle candidature a Presidente che è stata accolta da una raffica di articoli denigratori basati su un giudizio pregiudiziale dei suoi componenti, su un fuoco di sbarramento intensissimo con la parola d’ordine: «Non provatevi a cambiare direzione di un millimetro o crolla l’Italia». … Dopo la nomina della prof. A.M. Ajello la sinfonia è ripresa sulla stessa tonalità intimando a non osare un pur minimo cambiamento di orientamento.

D. Lei e Vertecchi, in particolare, siete stati velatamente accusati di voler ridimensionare l’Istituto. Come replica? R. Non c’è stato alcun “cattivo” nel Comitato, ed anzi il lavoro si è svolto in modo armonico, con pochi dissensi sempre ricondotti nell’alveo di discussioni argomentate e pacate Se non vogliamo nascondere la testa dentro la sabbia, occorre prendere atto che le politiche dell’Invalsi degli ultimi anni hanno suscitato molte discussioni e valutazioni divergenti, in uno spettro che va dall’adesione incondizionata alla critica più severa. Esiste un diffuso malessere nel mondo della scuola su queste tematiche: può avere cattive motivazioni, in alcuni casi, come ve ne sono di cattive fra coloro che sostengono incondizionatamente la politica dei test standardizzati. Non siamo in regime di dittatura e gli insegnanti non possono essere considerati come un gregge dairregimentare, meri esecutori di precetti decisi da un gruppo di persone che rifiutano categoricamente di accettare qualsiasi confronto… Trovo particolarmente appropriate le parole del nuovo presidente Ajello quando ha detto che l’esperienza fatta non va dispersa ma ha richiamato una frase dell’ex-presidente Cipollone: «L’Invalsi deve fornire misurazionie non valutazione. E deve fermarsi sulla soglia delle scuole». … Il “teaching to the test” sta dilagando e la prova Invalsi che fa media all’esame di terza media costituisce la più patente intrusione nella valutazione, oltre a essere un errore concettuale da matita blu, perché l’ente finisce con il misurare ciò che ha alterato con le sue valutazioni.

D. Come si è giunti alla designazione dell’attuale Presidente?  R.

Seguendo due criteri ispirati al buon senso e alla ragione. Il primo è quello della competenza e della conoscenza profonda del sistema dell’istruzione. Occorre avere dei lavori che mostrino tali qualità. Un Nobel per l’economia o per la fisica non per questo è detto che sia un buon presidente dell’Invalsi. Non si vogliono trascurare i lavori nel campo dell’ “economia della scuola” o della statistica, ma questi non bastano. Uno statistico che abbia lavorato in modo puramente astratto, ignorando persino i programmi scolastici e non avendo mai messo piede in una scuola non ha competenze sufficientiIl secondo requisito è quello già illustrato al punto precedente: un presidente adatto al momento attuale deve avere apertura culturale, disponibilità al dibattito, e non deve concepire la valutazione come un regimepunitivo

D. In un articolo sul Sole24Ore, Luisa Ribolzi, componente del direttivo ANVUR accomuna i destini dell’Agenzia e di Invalsi e contrappone valutazione quantitativa e qualitativa. … Che cosa ne pensa?  R. Lascio a chi legge la definizione di un simile modo di ragionare con il quale si pretende di governare il sistema italiano dell’istruzione. La contrapposizione tra valutazione quantitativa e qualitativa, poi, è assurda: neanche i fautori della prima si sognano di fare una simile contrapposizione. Piuttosto sostengono che la valutazione qualitativa può essere riassorbita da quellaquantitativa Ma proprio qui sta la questione controversa, su cui esiste una letteratura ormai sterminata!…

Vorrei dedicare un po’ di attenzione alle radici del dogmatismo che si è installato nei nostri enti di valutazione, Invalsi o Anvur che sia. Mi sembra che sia dovuto alla compresenza di tecnici di formazione statistica edeconometrica che sono molto chiusi nel loro paradigma e nella credenza acritica nell’esportabilità di certi metodi al contesto della problematica dell’istruzione, e di persone che non riescono neanche a seguire tecnicamente le loro elaborazioni ma si affidano ciecamente alla loro autorità.  Un caso tipico è dato dal riferimento al modello di Rasch che viene “sparato” in modo intimidatorio come se fosse il quinto segreto di Fatima e che è una colonna dell’Invalsi. Chi s’informi un minimo sa che esiste un’ampia letteratura critica nei confronti del modello di Rasch. Ma questo viene volutamente nascosto: ci si richiama a quel modello come un modo indiscutibile di fornire valutazione “oggettive”, e chi non è d’accordo è un ignorante. Ci sarebbero tante cose da dire. Per esempio che quel modello, come tanti, è unidimensionale e questo è un limite enorme che è al centro di articoli fortemente critici. Va anche ricordato che il modello di Rasch non è in grado stimare i parametri di soggetti che rispondano a tutte le domande o a nessuna. Infatti, nel primo caso si avrebbe una oddsratio con denominatore uguale a zero e nel secondo caso una odds ratio uguale a zero. Quindi, soggetti del genere (totalmente ignoranti o che sanno tutto) non possono esistere. Ci si giustifica dicendo che tali casi sono irrilevanti e che, nel caso di un numero di item molto elevato, il modello regge. Ma gli item non sono mai numerosi e quindi il modello traballa. Come ha osservato il prof. Franco Ghione nel corso di un dibattito al Liceo Mamiani ciò significa che si tiene conto soltanto della velocità, ovvero della quantità delle risposte esatte date in un tempo dato. Non interessa né la qualità né la quantità delle risposte esatte in sé, ma la velocità con cui si da il massimo numero di risposte esatte. Questo indica una visione dell’apprendimento francamente inaccettabile. Lascia poi di sasso la leggerezza con cui si parla di misurazione asserendo che l’approccio nell’ambito dell’istruzione ha lo stesso livello di oggettività della misurazione in fisica. Ma la fisica deriva tutte le sue misure da un piccolo numero di misure fondamentali che obbediscono a un criterio di “concatenazione”, per cui la misura della concatenazione tra due oggetti misurabili deve essere la somma della loro misura. Questa proprietà additiva non è realizzabile nelle scienze sociali e nelle scienze educative e quindi occorre ricorrere a misure implicite (cfr. E. Rogora, “Valutare e scegliere”), in particolare introducendo il concetto di “variabile latente”…. Il fatto cruciale è che per realizzare misure implicite nelle scienze non fisiche occorre introdurre un modello matematico intermedio. Qualsiasi persona sensata capisce che questa mediazione da senso all’operazione di “misurazione” solo se il modello è in accordo con i dati empirici, altrimenti tutto è privo di senso. Ma questa difficoltà viene elusa dai “tecnici” con un’audacia sconcertante. Per esempio, si dice che «il modello di Rasch non può essere applicato secondo una modalità meramente esplorativa, ovvero di verifica ex post se il modello si adatta ai dati empirici, ma è necessario che il modello sia costruito secondo modalità tali che i dati da esso forniti si conformino, con una ragionevole approssimazione, al modello stesso. Ciò significa che il modello deve essere costruito in modo tale che l’insieme delle domande che lo compongono e la loro successione sia tale da rispecchiare anche sul piano sostantivo [sic!] dell’ambito disciplinare-cognitivo indagato le assunzioni del modello di Rasch». (P. Falzetti, R. Ricci, “I modelli della famiglia di Raschnelle ricerche sugli apprendimenti”, Rivista dell’UMI, 2011: 309.335). In parole povere, il modello è autoreferenziale e sono i dati a doversi conformare al modello… È un piccolo esempio che spiega l’atteggiamento di molti di coloro che ci bombardano con i discorsi sulle valutazioni “oggettive”. La loro idea di oggettività è puramente formale e definitoria e non ha nulla a che fare con l’oggettività sostanziale. 

Ho esperienza da molto tempo nel campo della modellistica matematica delle scienze sociali per non sapere che gran parte di essa è costituita da costruzioni autoreferenziali prive di valore salvo la coerenza logica interna. Qui ci troviamo esattamente in questa situazione.

D. Quale ruolo auspica per Invalsi nel prossimo futuro?  R. L’ente deve proseguire con un lavoro di stima delle performances del sistema italiano dell’istruzione, riflettendo criticamente sui metodi usati, non escludendo metodi campionari e fermandosi sulla soglia delle scuole per quanto riguarda la valutazione. Questo significa che l’ente deve anche sviluppare ricerca didattica in collaborazione col mondo della scuola. Tuttavia, le modalità di queste attività debbono essere accuratamente definite sul piano istituzionale, soggette a regole trasparenti. La scelta dei consulenti Invalsi nel recente passato non ha seguito affatto questi principi di trasparenza e di controllo incrociato. 

D. E per ANVUR? R. Purtroppo, l’Anvur ha prodotto dei guasti nell’università molto più gravi di quelli dell’Invalsi e che non so se potranno essere correttiSarebbe interessante esplorare perché il mondo universitario si è rivelato meno attento e critico di quello della scuola. Azzarderei l’ipotesi che l’enorme gap generazionale indotto dalla sciagurata gestione del reclutamento abbia prodotto una fratturaincolmabile: la stragrande maggioranza dei docenti universitari che sono andati o stanno per andare in pensione non si riconoscono in questa nuova università delle scartoffie e della burocrazia dove, tra poco, come si diceva paradossalmente, chi verrà sorpreso a scambiarsi lavori scientifici o a discutere di questioni scientifiche verrà deferito e sospeso dalle funzioni… Ma i docenti più giovani non hanno conosciuto altro che questa università – la trasmissione di conoscenze, esperienze e tradizioni con i “maestri” si è interrotta – e parecchi di loro si adattano a questo andazzo in fin dei conti più pigro, facile e che offre innumerevoli scappatoie per figurare come “produttivo”.

 

larepubblica.it – 18.02.2014

Università, bocciati all'abilitazione ma costretti a insegnare

░ Il paradosso delle migliaia di ricercatori che di fatto garantiscono la didattica negli atenei ma non hanno ottenuto il titolointrodotto dalla riforma Gelmini, necessarioper i concorsi per i docenti.

Bocciati, ma costretti a rimanere in cattedra ad insegnare. Ecco il singolare destino di migliaia di ricercatori universitari italiani alle prese con l'Abilitazione scientifica nazionale: la patente introdotta dalla riforma Gelmini, necessaria, in futuro, per partecipare ai concorsi per docente di prima - l'ex professore ordinario - e seconda  -  il professore associato - fascia. Ricercatori italiani, sfruttati e maltrattati ? Stando ai loro racconti, sembra proprio di sì. Ma il tutto si svolge nel più assoluto riserbo, visto che nessuno se la sente di denunciare apertamente, se vuole continuare ad avere qualche chance all'interno del proprioateneoTra i tanti paradossi, l'Italia vive anche quello che vedrebbe circa metà degli studenti universitari nelle mani di "professori" non idonei all'insegnamento. I numeri confermano che senza il contributo all'insegnamento dei ricercatori l'università si bloccherebbe. Secondo la banca dati del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il corpo docente di ruolo è composto da poco meno di 55mila tra ordinari, associati e ricercatori. I professori abilitati all'insegnamento - di prima e seconda fascia - sono circa 30mila, ma gli insegnamenti che si impartiscono in tutti gli atenei nostrani sono quasi 77mila. Ogni prof dovrebbe quindi sobbarcarsi il peso dell'insegnamento di due o tre materie all'anno. Ma, di fatto, buona parte della didattica è delegata ai ricercatori ai quali viene chiesto di aderire "volontariamente". Il popolo degli addetti alla ricerca è il più numeroso: oltre 24mila ricercatori a tempo indeterminato e 1.800 a tempo determinato. I quali, gratuitamente, si accollano da anni l'insegnamento di una o due materie. In alcuni casi, i ricercatori reggono interi corsi di laurea. Ma la riforma Gelmini si è praticamente scordata di loro: dovranno partecipare all'abilitazione scientifica nazionale come qualsiasi soggetto che voglia intraprendere la carriera universitaria per ottenere il lasciapassare per il successivo concorso. Intanto, con o senza abilitazione, continuano a insegnare.

 

lastampa.it – 19.02.2014

“I docenti abbiano più fiducia: La valutazione è una priorità ”

░ La Stellacci intervista di Flavia Amabile,a proposito della Ricerca annuale sulla scuola promossa dalla Fondazione Giovanni Agnelli.

La valutazione? Con la ministra Carrozza non è stata una priorità, e ora non si sa se si riuscirà a creare il Sistema Nazionale entro le scadenze previste quando a capo del dicastero c’era Francesco Profumo: è l’amaro sfogo di Lucrezia Stellacci, direttore generale dell’Invalsi.

D. La sensazione è che dopo l’accelerazione che ha portato nel 2013 al decreto che istituiva il Sistema Nazionale di Valutazione, qualcosa si sia fermato. R. «È un’impressione fondata, il processo si è fermato e non so se si riuscirà a tenere fede alla promessa di far partire l’interosistema entro il prossimo settembre. Noi dell’Invalsi stiamo andando avanti con i progetti di sperimentazione ma si corre il rischio che rimangano lettera morta mortificando ancora una volta gli entusiasmi delle scuole che stanno partecipando».

D. Perché si è fermata l’attuazione del Sistema Nazionale di Valutazione? R. «Non c’è interesse, non è una priorità del ministero. Con Profumo e Elena Ugolinisottosegretario c’era più attenzione, la valutazione era priorità effettiva e non solo proclamata come è in questi ultimi mesi».

D. L’impressione, leggendo il Rapporto, è che manchi anche un’idea di scuola, un obiettivo il cui raggiungimento possa essere valutato attraverso test mirati. R.  «È così. Dal 2011 mancano le direttive nazionali, lo strumento attraverso il quale il ministro indica la sua idea di scuola e affida all’Invalsi il compito di valutare a che punto sono le scuole rispetto a quell’obiettivo. In questi ultimi tempi invece l’Invalsi è stato lasciato da solo».

D. Il Rapporto non risparmia critiche anche all’Invalsi. Parla della necessità di evitare l’impressione di un circolo ristretto che formula i test. R. «Non è così, a lavorare alla realizzazione delle prove sono per il 50% professori di scuole e per la restante metà docenti universitari ma è vero che nelle scuole si sa poco di tutto questo e che ci sono tanti dubbi. Dobbiamo, invece, fare in modo che la scuola si fidi altrimenti fioriscono gli inganni e non si va da nessuna parte. Abbiamo aperto una linea diretta con le scuole per dialogare con loro, ci esprimono i loro dubbi, rispondiamo, chiariamo. È importantissimo, infatti stiamo mettendo a punto una ristrutturazione del sito per creare un forum e realizzare l’intera procedura nella massima trasparenza e dare alle scuole tutti gli elementi per potersi fidare».

 

larepubblica.it – 21.02.2014

“Una laurea ad hoc per diventare prof” così il Pd di Renzi vuole cambiare la scuola

░ Renzi inizia dagli insegnanti. Ed è una mezza rivoluzione che punta sul merito per fare uscire dalle secche di una crisi economica senza fine il Paese. Il documento su cui sta lavorando il responsabile Scuola e Welfare della segreteria del Pd, Davide Faraone, che Repubblica è in grado di anticipare, è pieno di importanti novità che, stando alle intenzioni del premier incaricato, dovrebbero trovare attuazione in tempi brevi.

Stabilizzazione del precariato in pochissimi anni, nuove assunzioni con concorsi gestiti dalle scuole, revisione della legge Fornero per i docenti e una laurea ad hoc per insegnare.Merito e non solo anzianità, ecco le parole d’ordine per gli insegnanti del terzo millennio. In primis, il Pd intende dare soluzione all’annoso problema del precariato della scuola. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici di viale Trastevere, a partire dal 2017 i pensionamenti viaggeranno al ritmo di 40mila unità all’anno. Per sbloccare il turn-over, il nuovo governo intende modificare i paletti della legge Fornero, che non tengono conto della specificità del lavoro degli insegnanti, rendendo più facile l’uscita di maestri e prof dalla scuola. Ad agevolare il tutto, l’età dei docenti italiani, che con una media di 50 anni sono tra i più vecchi d’Europa. Nell’arco di una sola legislatura, i 185mila precari inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento dovrebbero trovare una cattedra fissa. Ci sono poi i 90mila che si abiliteranno con i Percorsi abilitanti speciali e gli 11mila che hanno ottenuto il lasciapassare per l’insegnamento attraverso i Tirocini formativi attivi, previsti dalla riforma Gelmini. Una fetta di questi precari, “di serie B” perché non potranno avere accesso alle graduatorie provinciali ad esaurimento, potranno invece ottenere un contratto a tempo determinato di durata triennale. Servirà anche a gestire le supplenze annuali e quelle di lunga durata e per rendere finalmente attuativo il cosiddetto organico dell’autonomia previsto dall’ex ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. In questo modo,le scuole avranno a disposizione le risorse di personale per le supplenze e per rendere realmente flessibile il curriculum scolastico e adattarlo al Piano dell’offerta formativa.
Per smaltire prima possibile il precariato storico, con l’accordo dei sindacati, nei primi anni la quota di assunzioni dalle liste dei precari sarà maggiore — si vorrebbe partire dal 75 per cento — per ridursi man mano che il popolo dei supplenti si assottiglierà. Di contro, le assunzioni secondo la nuova procedura concorsuale in cantiere dovrebbe prevedere una quota iniziale del 25 per cento che aumenterà fino ad arrivare al cento per cento nel 2018. Ai nuovi concorsi potranno partecipare soltanto gli abilitati che usciranno da facoltà create ad hoc per l’insegnamento e inseriti in albi territoriali a numero chiuso. ….

In via Sant’Andrea delle Fratte si medita di rivisitare il tirocinio formativo attivo, sia nelle modalità di accesso sia in quelle di svolgimento, che verrà retribuito dando ai giovani insegnanti la prima possibilità di guadagno. Gradualmente le graduatorie d’istituto verranno abolite e fra qualche anno nessun docente non abilitato potrà più insegnare.

 

 

 

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