Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 29 marzo 2013

larepubblica.it – 25/03/2013
“Tagli all'istruzione, l'UE contro l'Italia”
░ Uno studio UE rivela che tra i 27 il nostro è il Paese che ha ridotto di più i bilanci del settore: -10,4% tra il 2010 e il 2012.
L'Italia ha tagliato più di qualsiasi altro Stato europeo sull'istruzione e da Bruxelles arriva una autentica strigliata…. La tirata di orecchie all'Italia arriva direttamente dalla Commissione europea che ha passato in rassegna i bilanci dei 27 Paesi membri scoprendo che negli ultimi tre anno soltanto otto hanno tagliato sull'istruzione. E l'Italia è la prima.
"Se gli Stati membri non investono adeguatamente nella modernizzazione dell'istruzione e delle abilità - ha affermato Androulla Vassiliou, commissario europeo responsabile per l'istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù - ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali e avremo difficoltà ad affrontare il problema della disoccupazione giovanile". … Ma non tutti i Paesi alle prese con la crisi hanno tagliato sull'istruzione. Lussemburgo, Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia e Turchia - solo per citare alcuni Stati dell'Ue o candidati a farne parte - nonostante le difficoltà hanno scommesso sulla scuola incrementando le risorse. In testa la Turchia che fa registrare un più 16,5 per cento, seguita dal Lussemburgo col 7,4 per cento in più in appena due anni. Grecia, Italia e Inghilterra in coda. Col nostro Paese che dal 2010 al 2012 ha tagliato il bilancio della scuola - dalla materna alle superiori - del 10,4 per cento. Una sforbiciata accompagnata dal taglio di quasi 100mila cattedre e da un alleggerimento dei conti anche dell'università: meno 9,2 per cento in 24 mesi. Lo studio della Commissione europea prende in considerazione anche l'impatto dei tagli sul numero di insegnanti, che in Italia - dal 2000 al 2010 - è calato dell'11,1 per cento mentre in Germania si è incrementato del 13,0 per cento. Così com'è avvenuto in Finlandia (più 12,9 per cento), in Svezia (più 21,9 per cento) e Norvegia. L'esecutivo Ue stigmatizza anche gli effetti della crisi sulle buste paga degli insegnanti - che pesano per il 70 per cento della spesa scolastica - congelate o addirittura ridotte in 11 Paesi, Italia compresa.


Il Manifesto – 26/03/2013
ScuolaOggi.org – 26/03/2013
“Tagli all'istruzione targati Gelmini: 10 miliardi e 100 mila cattedre in meno”
░ Uno studio della Commissione Ue rileva che i governi italiani hanno tolto alla Scuola, il 10,4% di fondi, dal 2010. Intanto, il regolamento attuativo sull’organico funzionale è ancora lì in lista d’attesa assieme ad altri 27 provvedimenti in sospeso. Non ci son stati i 10mila posti in più promessi dal governo Monti. Riportiamo, brani da dea articoli (il primo di Roberto Ciccarelli e il secondo di Pippo Frisone) che vorremmo dedicare al Ministro che dice di ispirarsi all’U.E.
Dieci miliardi di tagli al bilancio di scuola e università tra il 2008 e il 2012. Otto miliardi e cinquecento milioni di tagli alla scuola (il 10,4 per cento del budget complessivo) e 1,3 miliardi di euro all'università (su un totale di 7,4 miliardi nel 2007, 9,2%), per la precisione. A tanto ammonta il salasso delle politiche dell'austerità volute dall'ex ministro dell'Economia Tremonti per rispondere all'imperativo del pareggio di bilancio. … Per i tre anni e mezzo di governo Berlusconi il taglieggiamento operato da Tremonti è stato nascosto sull'altare dell'onor di patria, oppure nascosto dietro i fumogeni della meritocrazia o della riduzione degli sprechi sbandierati lanciati dall'ex ministro Gelmini. L'idea di finanziare il default delle aziende di stato decotte, insieme a quella di sostenere l'«austerità espansiva» (i tagli alla spesa pubblica per investimenti sono «risparmi» che finanziano la crescita) è stata sostenuta anche dal governo Monti che non è riuscito a salvare l'ultima tranche di 300 milioni di euro di tagli dall'ultima legge di stabilità….. Il numero degli insegnanti è calato dell'11,1%, mentre in Germania è aumentato del 13%, in Finlandia del 12,9%, in Svezia del 21,9%). Le loro retribuzioni sono state congelate o ridotte in 11 paesi, e il nostro paese mantiene un solido primato negativo. Peggio hanno fatto solo la Grecia (dove il taglio all'istruzione è stato del 20%) e la Slovacchia (15%). Il taglio degli insegnanti, e quello ai bilanci, ha prodotto la chiusura o l'accorpamento di scuole, come dei corsi di laurea per ragioni meramente di bilancio, non per l'efficienza propagandata.
“Gli organici al tempo delle vacche magre!”
Chiuse le iscrizioni on line a fine febbraio, i numeri ci dicono che rispetto allo scorso anno gli alunni son cresciuti di quasi 30mila unità a livello nazionale, di cui la metà nella sola Lombardia. Gli squilibri territoriali confermano il trend degli ultimi anni, con le regioni del sud che confermano un calo consistente della popolazione scolastica che si riflette in tagli altrettanto pesanti degli organici:
Sicilia -568, Campania -492, Puglia -353, Calabria -281, tanto per citare i cali più vistosi. Il taglio dei posti in alcune regione serve a compensare l’aumento in altre, stabilizzando il blocco degli organici, oramai triennale, a 600.839 unità . A livello nazionale si registrano solo lievi aumenti nella primaria (+236 ) e nelle superiori (+234), un po’ di più nell’infanzia (+303), tutti a scapito della scuola media (-773)…

ItaliaOggi – 26/03/2013
“Ferie da pagare ai precari, ministero e sindacati ai ferri corti”
░ É scontro aperto tra i sindacati e l'amministrazione scolastica sulla questione della monetizzazione delle ferie dei precari. Il MIUR ha emanato una circolare, che reca i modelli di contratto per le supplenze. E nei modelli c'è una clausola che dà attuazione alla riduzione del numero delle ferie non godute monetizzabili da quest'anno. (di C. Forte)
…La direzione generale avrebbe già preparato una circolare che ricalca tale parere. Circolare la cui bozza è stata letta ai rappresentanti sindacali, in un recente incontro a viale Trastevere, dal direttore Ugo Maria Filisetti in persona. E che è stata bocciata all'unisono da tutti i sindacati: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. Che hanno anche minacciato azioni legali se l'amministrazione dovesse irrigidirsi su tale posizione di chiusura. D'altra parte gli elementi per un azione su larga scala ci sarebbero tutti. La questione è nata l'anno scorso, dopo che il governo ha emanato il decreto legge 95/2012. Nel provvedimento, infatti, c'è una disposizione che impone ai dipendenti pubblici di fruire delle ferie nei periodi a tal fine indicati nelle normative che regolano i settori di appartenenza. E in caso di mancata fruizione preclude la possibilità di percepire qualsivoglia indennità sostitutiva. La norma non tiene conto del fatto che la Suprema corte ha chiarito a più riprese che, se la mancata fruizione è dovuta a cause indipendenti dalla volontà del lavoratore l'indennità va attribuita in ogni caso. E lo stesso legislatore, nella relazione illustrativa del provvedimento aveva evidenziato la necessità di intervenire con una norma speciale per escludere i precari della scuola dall'applicazione della preclusione. Ciò per evitare di esporre l'amministrazione a giudizi con sicura soccombenza. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che le supplenze temporanee non consentono la fruizione delle ferie (che il contratto prescrive nei mesi estivi) perché i periodi di lavoro non sono sufficientemente lunghi. E quindi, la materia è stata fatta oggetto di un ulteriore provvedimento, con il quale i precari della scuola sono stati parzialmente esonerati dalla preclusione (art. 1, commi 54 e seguenti della legge 228/2012). Anche se il mantenimento del diritto alla monetizzazione assume rilievo «limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie».E in più la stressa norma prevede l'obbligo di fruizione anche nelle vacanze di Natale, Pasqua e durante i ponti. Tradotto in denaro, la novità dovrebbe avere come effetto l'alleggerimento delle tasche dei precari nell'ordine del 60% della somma precedentemente spettante. Che per un lavoratore ad orario pieno poteva raggiungere anche i 1500 euro. Resta il fatto, però, che la stessa disposizione della legge 228/2012 che introduce queste novità prevede che la disapplicazione della normativa contrattuale avverrà a far data dal 1° settembre 2013. Fino ad allora, dunque, dovrebbe continuare a trovare applicazione la disciplina più favorevole che consente ai supplenti di fruire pienamente del diritto all'indennità sostitutiva. Senza obbligo di fruizione delle ferie durante l'anno.

ItaliaOggi – 26/03/2013
“Il balletto dell'anno in meno

░ Il MIUR convoca i sindacati per l'annuncio (poi la smentita); Pronti i decreti di sperimentazione, in pole la Lombardia. (di A. Ricciardi)
La voglia c'era. E i decreti pure. Solo che, vista l'alzata di scudi dei sindacati, il ministro pare che alla fine non se la sia sentita. I decreti riguardano la sperimentazione del taglio di un anno della durata del percorso scolastico, per adeguarla a quella europea che consegna al sistema universitario i ragazzi diplomati già a 18 anni. Il progetto, partito dallo studio condotto da una commissione ministeriale ad hoc presieduta da Vittorio Campione, era stato rilanciato come prospettiva di riforma dei cicli scolastici già nei mesi corsi. Anche in quel caso però, davanti alle critiche sollevate da sindacati e partiti, fu declassato dal ministero dell'istruzione, Francesco Profumo, a semplice dossier e rimesso in un cassetto. Poi nella direttiva per l'azione amministrativa 2013, lasciata alle buone intenzioni del successore, il ministro Profumo ritorna sull'argomento, ribadendo la necessità di allinearsi alla durata europea dei percorsi. La scorsa settimana la nuova puntata: i sindacati sono stati convocati d'urgenza per un incontro, tenutosi venerdì, nel quale sono state illustrate le sperimentazioni dei percorsi di riduzione; sperimentazioni e non di più, giacché i tempi per una riforma organica sono finiti da un pezzo per il governo in carica. Ma comunque si tratterebbe di lanciare un seme nel campo, e poi chissà. I sindacati, una volta compatti, hanno criticato l'assenza di confronto su una modifica dell'ordinamento che ha ricadute sulla didattica e l'organizzazione, e hanno evidenziato rilievi giuridici che lascerebbero tra l'altro intendere la facile impugnabilità degli stessi decreti (l'assenza di parere da parte del Cnpi, per esempio). Sta di fatto che, a stretto giro, i progetti sono stati sconfessati via comunicato. I decreti ritornano nel cassetto, fino a diverso ordine. I provvedimenti non seguivano un unico progetto, ma autorizzavano tutte le modalità di riduzione possibili: inizio a 5 anni del percorso scolastico, riduzione di un anno della primaria, accorpando quarta e quinta, e poi taglio di un anno delle superiori, trasformando il primo biennio in due semestri.
In pole, tra le regioni più desiderose di partire, c'è la Lombardia, che ha presentano il 18 dicembre scorso la richiesta di sperimentazione della riduzione di un anno dei 5 anni delle superiori: si tratta dell'istituto paritario San Carlo, un liceo internazionale per l'intercultura. Nel Lazio era pronto a partire l'istituto comprensivo Settembrini, con la previsione di una scuola elementare che chiude in quarta. In tutti i casi, le sperimentazioni avrebbero dovuto garantire il raggiungimento degli stessi traguardi di sviluppo delle competenze previste per il percorso ordinario. Si attendono sviluppi.

larepubblica.it – 27/03/2013
“Lo studente di Canicattì alla prova dei test INVALSI”
░ Un tempo gli esami conclusivi della scuola media non suscitavano le preoccupazioni di cui oggi si ha notizia, sia tra le famiglie che tra gli insegnanti (di Maurizio Muraglia).
Ho avuto occasione in questi mesi di conoscere tanti insegnanti che lavorano negli istituti comprensivi di varie province siciliane e ho avuto conferma di questa generale inquietudine sulla sorte di migliaia di ragazzine e ragazzini che si avvicinano al traguardo. …. Qual è la novità rispetto al passato? La novità consiste nell’introduzione già da qualche anno, tra le prove che costruiscono la valutazione finale degli allievi, di una prova mandata dal Ministero che riguarda l’italiano e la matematica. Non che i ragazzini fino a quel punto non abbiano fatto esperienza di questo genere di test, che iniziano già nella scuola elementare. Il fatto è che queste prove vanno ad aggiungersi alle altre già previste e predisposte dagli insegnanti interni, generando un accumulo di sollecitazioni valutative non previsto neppure dagli esami conclusivi della scuola superiore. Va considerato peraltro che gli esami di fine scuola media non rappresentano più come una volta la conclusione dell’obbligo di istruzione, che dal 2006 è stato spostato alla fine del biennio delle superiori. Non si giustificherebbe pertanto, come riconosciuto da tutti gli osservatori, questa sorta di “accanimento valutativo” ad un certo punto del percorso scolastico. Ma non si tratta qui soltanto di aggravio dell’impegno emotivo dei ragazzini. C’è dell’altro, che riguarda in modo più pregnante la vera funzione della scuola pubblica, quella, per comprenderci, che le assegna la Costituzione quando le chiede di rimuovere gli ostacoli che impediscono a ciascuno di realizzarsi come persona e come cittadino. Conosciamo tutti bene di che ostacoli si parla, quando si pensa alle scuole meridionali e siciliane. Si tratta di ostacoli, sociali, economici, culturali, linguistici, che rendono l’impresa educativa in molte zone alquanto proibitiva. Cosa ci si può aspettare da tanti tantissimi bambini e ragazzi che è già miracoloso tenere sui banchi di scuola? Cosa è lecito attendersi e che lavoro possono svolgere maestre ed insegnanti fin dalla più tenera età?
Incontrando gli insegnanti nelle scuole la risposta a questi interrogativi sembra unanime. Noi dobbiamo permettere ai nostri allievi di ottenere il massimo possibile date le situazioni di partenza. Ecco, questo tema, il tema del “massimo possibile”, sembra essere diventato un tema scomodo nella discussione pubblica sulla scuola. Che vuol dire il massimo possibile? Ci sono risultati che tutti i ragazzini italiani devono raggiungere. Non possiamo personalizzare i traguardi, perché in questo modo le competenze di un ragazzino di Milano finiscono per essere del tutto diverse da quelle di un ragazzino di Canicattì pur possedendo entrambi la stessa “licenza media”. Come la mettiamo? Infatti: come la mettiamo? C’è qualcuno in grado di trovare una soluzione al problema del ragazzino di Canicattì che parla solo in dialetto, che non ha i soldi per comprare libri e materiale didattico, che non ha a casa nessuno che lo segue, che trascorre tutti i pomeriggi per strada dietro ad un pallone, quando va bene? Chi deve farglieli raggiungere questi “traguardi” e cosa può chiedere la prova Invalsi a costui?... Cosa valgono di più i risultati o i processi? Come si diventa cittadini a scuola? Quando un ragazzino è riuscito a prendere le distanze dal suo ambiente di riferimento, ha imparato a rapportarsi con gli altri, si è adattato in contesti in cui degli adulti fanno “discorsi culturali”, ha acquisito delle abilità e delle conoscenze che gli permettono di interagire in modo decente con la realtà e i suoi problemi, quando la scuola non ha fatto che dire “bravo” a questo ragazzino compiacendosi dei suoi progressi, potrà mai tradirlo al traguardo finale? E ove lo tradisse, non si macchierebbe di infedeltà al mandato costituzionale?

larepubblica.it – 29/03/2013
“Contributi 'volontari', rivolta dei presidi: "Con più fondi non chiederemmo nulla"
░ Scontro tra il Ministero, che ha bacchettato quegli istituti che impongono alle famiglie di pagare una somma non dovuta per legge pena la non iscrizione dei figli, e l'Associazione delle scuole autonome: "È ora di smetterla con le ipocrisie" (di Salvo Intravaia).
Rivolta dei presidi contro i rimbrotti del ministero sui "contributi volontari" che le scuole sono costrette a richiedere alle famiglie. "Basta con le ipocrisie", risponde l'Asal (l'Associazione delle scuole autonome del Lazio) alla circolare dello scorso 7 marzo in cui il capo dipartimento di viale Trastevere, Lucrezia Stellacci, striglia quei presidi che pretendono dalle famiglie il versamento "volontario".
La storia inizia qualche mese fa, quando gli studenti denunciano alcuni presidi che pretendono il versamento chiedendo un intervento del ministero. "Si ritiene - si legge nella nota ministeriale dello scorso 7 marzo - che simili comportamenti, oltre a danneggiare l'immagine dell'intera amministrazione scolastica e minare il clima di fiducia e collaborazione che è doveroso instaurare con le famiglie, si configurino come vere e proprie lesioni del diritto allo studio costituzionalmente garantito". Il riferimento diretto è ad alcuni presidi che hanno minacciato di non iscrivere i figli a scuola, se non dopo il pagamento dell'obolo volontario, o di quelli che hanno minacciato di non consegnare la pagella o altre ripercussioni nei confronti dei 'morosi'. Una situazione, quella dei contributi volontari fatti passare per obbligatori, denunciata di recente anche da una nota trasmissione televisiva. Con la circolare di due settimane fa, il ministero ricorda la natura volontaria del contributo e che in assenza di versamento "nessuna capacità impositiva viene riconosciuta dall'ordinamento a favore delle istituzioni scolastiche, i cui Consigli d'istituto, pur potendo deliberare la richiesta alle famiglie di contributi di natura volontaria, non trovano in nessuna norma la fonte di un vero e proprio potere impositivo che legittimi la pretesa di un versamento obbligatorio".
Ma i presidi non ci stanno ad essere dipinti come soggetti autori di "comportamenti vessatori e poco trasparenti" che dovrebbero assicurare una "gestione corretta ed efficiente delle risorse pubbliche" e dovrebbero "far leva sullo spirito di collaborazione e di partecipazione delle famiglie le quali, si è certi, ben comprendono l'importanza di risorse aggiuntive per la qualità dell'offerta". "Nella nostra limitata ottica di gestori delle istituzioni scolastiche - dichiara Giuseppe Fusacchia, presidente dell'Asal - non sappiamo da quali ispirate fonti il ministero tragga tale certezza; quello che sappiamo, invece, è quali e quante difficoltà le scuole incontrino per convincere le famiglie della necessità di contribuire economicamente alla fornitura di servizi basilari alla propria utenza per i quali le risorse pubbliche non pervengono più da anni". E puntano il dito contro lo stesso ministero e gli enti locali che dovrebbero sostenere le scuole pubbliche.
E giù un lungo elenco di problemi e inadempienze cui devono fare fronte giornalmente i dirigenti scolastici per sopperire alle carenze di fondi pubblici. "Può una scuola non essere dotata di materiali igienici nei bagni? Può una scuola non disporre della possibilità di effettuare fotocopie di materiali didattici per gli alunni? Può un istituto tecnico industriale non disporre di reagenti nel laboratorio di chimica? Può un laboratorio informatico non prevedere un abbonamento per l'accesso ad Internet? Può l'installazione delle Lavagne interattive multimediali (le Lim) nelle aule (tanto care al ministero) non prevedere i costi per la sostituzione delle lampade dei videoproiettori?", si chiedono provocatoriamente i capi d'istituto. Ma non solo: Fusacchia chiama in causa anche comuni, province e regioni. "E che dire degli arredi scolastici, della manutenzione di edifici scolastici fatiscenti, della sicurezza? L'elenco delle inadempienze della nostre amministrazioni è davvero impressionante, ma la colpa - dicono ironicamente i presidi - è delle scuole che vessano le famiglie! E da questo furore moralizzatore non si salva nessuno: né i dirigenti scolastici, che incorrerebbero in una 'grave violazione dei propri doveri d'ufficio', né i Consigli d'istituto, che non avrebbero 'alcun potere di imposizione' di tali contributi". "È ora di smetterla con queste ipocrisie: il Ministero, così sollecito nel fustigare comportamenti magari eccessivi da parte delle scuole si impegni a garantire alle scuole finanziamenti sufficienti per il loro buon funzionamento (quelli attualmente assegnati sono di entità ridicola) oppure dica chiaramente che non è in grado di assicurare elementi essenziali del servizio, che riguardano tutti gli alunni e per i quali, quindi, le famiglie sono chiamate obbligatoriamente a contribuire".

 

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