www.insegnareonline.com – 28 marzo 2015
░ Di Giuseppe Bagni. Da leggere integralmente su Insegnare.
… Conosciamo i problemi della scuola? Sì: dagli anni Settanta abbiamo rilevazioni internazionali che ci danno certezza del fatto che il rendimento scolastico degli studenti è legato al contesto territoriale. Che il destino nella scuola "superiore" è legato non solo al merito dei singoli ma anche all'indirizzo scelto, e che questa scelta è ancora fortemente connotata socialmente. Sappiamo che le differenze di "bravura" tra gli studenti sono basse all'interno della stessa scuola e molto alte fra le varie scuole, come dire che il "merito" nella scuola italiana non dipende dal singolo ma dalla sede scolastica dove lui finisce, il cui livello socio-economico (il suo habitat) ha più peso sugli esiti che non quello della famiglia. Da qui, da questa realtà si doveva partire: è stato fatto? Purtroppo no. Ci sono anzi scelte che peggioreranno la situazione. Il 5 per mille che verrà destinato alle scuole sarà molto diverso in valore assoluto in Lombardia, per esempio, rispetto a quello della Calabria o della Sicilia, e visto che andrà a singole scuole, aumenterà le differenze anche tra le scuole della stessa regione. Lo stesso effetto sulle diseguaglianze sarà prodotto dallo school bonus….
Se si vuole intervenire sulla dispersione in maniera efficace bisogna destinare i docenti e i dirigenti migliori nelle scuole più difficili, ma l'albo regionale con chiamata diretta del preside va in direzione diversa: perché un docente richiesto da scuole comode, frequentate da ragazze e ragazzi ben educati dovrebbe scegliere quelle difficili e disagiate, dove ci si misura tutti i giorni con la fatica dell'insegnare a ragazze e ragazzi che non vogliono imparare in quella scuola che invece per noi ha funzionato? In chimica si insegna che "il simile scioglie il simile". La qualità della scuola dipende soprattutto dalla qualità degli insegnanti "normali", con un curricolo normale e nessun segno particolare per essere scelti. Quello che invece è straordinario è il compito a cui sono chiamati, e allora, dall'enfasi sui "migliori" dovremmo passare a quella sul "miglioramento" che coinvolge tutta la scuola come comunità professionale. Ci vuole un progetto di scuola, non la scuola dei mille progetti; ci vogliono curricoli che sappiano misurarsi con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani. Ci vogliono sperimentazione e ricerca che sorreggano e diano senso all'autovalutazione; ci vuole una scuola che sappia prendere il massimo dagli insegnanti migliori e nello stesso tempo far crescere tutti ponendosi al centro di un sistema nazionale di formazione degli insegnanti. Una formazione che, quando si entra a scuola, non scompaia, ma cambi aspetto per divenire una parte costitutiva della nostra professione, al pari del progettare gli interventi educativi, del fare lezione, valutare gli esiti, confrontarsi collettivamente…. Che ha a che vedere questa cultura della decisione individuale con quella della scuola? Perché dovrebbe essere funzionale a risolvere i problemi reali della scuola? È forse questa paventata lentezza che ha bloccato l'autonomia o piuttosto sono stati i tagli permanenti degli ultimi decenni e la mancanza di un Progetto nazionale che indicasse la direzione nella quale le scuole, in autonomia, dovevano muoversi? La scuola è forse l'unica istituzione costituzionale che sia riuscita a costruire, attraverso una storia fatta di faticose deliberazioni, una comunità di professionisti (dirigenti e insegnanti) che cooperano nel realizzare un progetto educativo pubblico. Non c'era altra strada per farcela. Che senso ha invece la prospettiva di scegliere insegnanti singoli, in funzione del piano dell’offerta formativa dell’istituto? … La competenza e la conseguente responsabilità dell’insegnamento e dell'apprendimento deve essere assunta dalla professionalità insegnante. É qui il nodo: la responsabilità del dirigente scolastico deve coesistere con altre responsabilità; sarebbe un disastro se gli insegnanti fossero ricacciati nel lavoro individuale, nelle aule e nell’anonimato assembleare del collegio. I poteri del dirigente scolastico non ne escono né umiliati né diminuiti: il dirigente dirige, ma non dei “sottomessi”. Il rapporto tra dirigente e insegnante è tra due competenze e quindi tra due diverse condivisioni di responsabilità, nessuna di seconda mano all'altra. Ci sono nelle scuole un'infinità di ottimi dirigenti, che spesso sono stati anche ottimi insegnanti, per cui c'è il forte rischio che nel passaggio di ruolo facciano diventare il loro progetto didattico quello della scuola: sarebbe un disastro. Il ruolo di dirigente non può comprendere l'appropriazione delle competenze riferite alla funzione dell’insegnare, bensì delle altre competenze nel governo dell’intero sistema dell’unità scolastica, e soprattutto nella valorizzazione di quelle degli insegnanti nel costruire e nel governare il progetto/processo di insegnamento-apprendimento. La scuola ha fondato le sue conquiste più importanti su un clima di cooperazione reso possibile proprio dalla impersonalità delle norme che hanno garantito percorsi pubblici per abilitazioni concorsi e assunzioni. Che dire della premiabilità del 5% dei docenti da parte del dirigente, quando la scuola ha già il fondo incentivante che dovrebbe servire proprio a riconoscere il merito di un lavoro ben fatto? Non basterebbe metterci i soldi? Se invece il desiderio fosse quello di stabilire una progressione di carriera per i docenti, allora avrebbe senso garantire la "portabilità" del livello acquisito, svincolandolo dalla scuola di appartenenza (e quindi dal suo dirigente), per affidarlo ad una valutazione nazionale…. Ma tra le conquiste della scuola c'è anche quanto ha fatto e continua a fare a livello di educazione interculturale, di integrazione degli alunni stranieri e dei diversamente abili. Non mancano certo le difficoltà, ma tutti dovrebbero essere concordi nel sostenere che questa è la direzione giusta perché il livello di conoscenza reciproca e coesione che si costruisce nel tempo della scuola non ha pari in nessun altro luogo e momento della vita. Eppure si è deciso di favorire chi sceglie di mandare i propri figli in scuole private. Fra esse non mancano realtà importanti che giustificano appieno la tutela costituzionale della loro esistenza, ma è sufficiente un banalissimo confronto tra il livello di pluralismo culturale presente fra gli iscritti delle scuole private con quello delle scuole pubbliche e sulla presenza di stranieri e diversamente abili, per capire che è difficile far passare quei contesti come laboratori dell'inclusione. Allora, come si può ammettere che i genitori che aderiscono al progetto pubblico di scuola inclusiva paghino contributi volontari (obbligatori) i quali rappresentano frequentemente più del 50% delle entrate della scuola, e poi si detassino i genitori che scelgono le scuole private, certamente "scuole libere" ma anche scuole che liberano dal contatto con la diversità?...
latecnicadellascuola.it– 29 marzo 2015
“Il docente a precarizzazione crescente dell’era renziana”
░ Di Anna Maria Bellesia
Quello che uscirà dal ddl scuola targato Renzi non è la “piena attuazione” dell’autonomia scolastica, ma piuttosto lo stravolgimento. Lo scopo è di conseguire il massimo efficientamento e la “massima flessibilità” nell’utilizzo delle risorse, quelle umane specialmente. Ma la finalità educativa è sparita perfino dal lessico. Le famiglie restano del tutto marginali. Gli studenti sceglieranno un’offerta più da intrattenimento che formativa, con pacchetti preconfezionati stile supermarket. Il docente diventa a “precarizzazione crescente”, in balia dei piani triennali, della chiamata da parte dei dirigenti scolastici, della conferma o meno del posto. I “meritevoli” avranno la gratificazione di un piccolo bonus annuale a discrezione del DS. In ogni istituzione scolastica, il Piano triennale elaborato dal DS stabilisce il fabbisogno complessivo dell’organico della scuola (posti comuni, di sostegno, di potenziamento offerta formativa). Teoricamente, “si aggiunge” al POF, ma in pratica lo scalza e diventa uno strumento di gestione totalizzante.
I ruoli del personale docente diventano regionali, articolati in albi territoriali, suddivisi in sezioni per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologie di posto. Da questi albi il DS sceglie i docenti a cui “proporre” gli incarichi per la copertura dei posti assegnati alla scuola. Per i docenti neoassunti, questo sistema andrà subito a regime. Per i docenti già di ruolo, solo in caso di mobilità territoriale e professionale, volontaria o dovuta a soprannumerarietà. L’operazione comporta una precarizzazione a vita del ruolo del docente. La differenza con la situazione attuale è dirompente. Con la riforma: - Il dirigente scolastico “elabora” il Piano triennale “sentiti” il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto (chiederà solo un parere consultivo). - Il dirigente scolastico diventa “responsabile” non solo della gestione, ma anche delle scelte didattiche e formative. - Le scelte del dirigente incidono direttamente sulla composizione dell’organico, “determinato anche utilizzando la quota di autonomia dei curricoli e gli spazi di flessibilità”. - Il dirigente scolastico “propone” gli incarichi di docenza per la copertura dei posti assegnati alla scuola sulla base del suo Piano triennale (la cosiddetta chiamata diretta). - Ciascun dirigente scolastico adotta i criteri per selezionare i docenti a cui proporre l’incarico. L’unico obbligo è di dare pubblicità ai suoi criteri e alla motivazione degli incarichi conferiti. - Dalle scelte del dirigente dipendono inoltre: la programmazione delle attività formative obbligatorie per tutti i docenti; l’utilizzo degli stessi in classi di concorso diverse da quelle in cui sono abilitati (basta un titolo di studio valido); l’attribuzione di una esigua sommetta annuale accessoria, chiamata bonus, quale “valorizzazione del merito” per una percentuale che al momento resta da definire…. Dal vertice alla base si sta rafforzando un sistema centralistico che punta non solo al controllo, ma all’uniformità. Oltre a ciò, i dubbi di costituzionalità cominciano a preoccupare. - La libertà di insegnamento, valore costituzionale che distingue il docente da qualsiasi altro impiegato, non esiterebbe più. Il docente diventa semplicemente il terminale front office della macchina organizzativa, in condizioni di debolezza, instabilità, ricattabilità. - Il soggettivismo nell’attribuzione e rinnovo degli incarichi di docenza fa dubitare che saranno garantiti i principi di uguaglianza, pari opportunità, imparzialità. - Il dirigismo solipsistico di tutte le scelte didattiche e organizzative cancella 40 anni di partecipazione democratica alla vita della scuola.
Micromega – 30 marzo 2015
“Appello agli intellettuali: Se ci siete battete un colpo!”
░ Di Marina Boscaino.
… Il berlusconiano new generation, Matteo Renzi, ce la sta mettendo tutta per coprirsi di ridicolo e rendersi imbarazzante. Ma, nell’afasia dell’inerzia di anni, nessuno apre bocca. E così, battuta dopo battuta, esternazione dopo esternazione, selfie dopo selfie, questo inquietante personaggio ipercinetico, logorroico e dotato di un ego ipertrofico spadroneggia e discetta su qualsivoglia argomento…. Quello che colpisce particolarmente è il silenzio di quanti avrebbero titolo e argomenti per neutralizzare queste scorribande pseudo culturali; ma tacciono - sdegnosi, annoiati, paurosi, snob- alimentando ulteriormente il senso di impunità rispetto alle castronerie a 360 gradi che il nostro continua a sputare… Questo qui ci sta smontando la democrazia, la scuola, l’informazione… non riconosce più alla parola formazione il valore di costruzione della cittadinanza consapevole attraverso la cultura, ma solo quella dell’apprendistato di un mestiere… Un governo di non eletti, con arroganza, furbizia e dilettantatismo, conditi da slogan, stile mediaticamente persuasivo, sta occupando con arroganza, senza alcun senso della misura e del pudore, tutti gli spazi. Dove l’arma di distrazione di massa del sondaggio e del “like”, di cui i quotidiani sono oggi infarciti rispetto alle incaute esternazione, sedimenta pensiero unico e subcultura; consentendoci di non riflettere sulla dimissione della democrazia parlamentare, della scuola statale, della sanità pubblica. E sull’abolizione della dignità del lavoro, su cui si fonda la Repubblica.
tuttoscuolaNews n.685 – 30 marzo 2015
“I nuovi esodati. Come salvarli”
░ I nuovi esodati della scuola: sono i precari con almeno 36 mesi di servizio che, in base all’articolo 12 del disegno di legge sulla Buona Scuola, saranno interdetti dal lavoro.
Di fatto decine di migliaia di docenti oggi in cattedra con un contratto a tempo determinato perdono - se non cambieranno le cose - la possibilità di avere un posto, sia pure a termine, il prossimo anno scolastico. Nei giorni scorsi Tuttoscuola ha parlato di 40-50 mila persone che si trovano nella condizione di esodati, ma, se quanto previsto dal ddl sarà confermato, alla fine potrebbero essere molti di più. Vediamo perché, richiamando il dispositivo dell’art. 12: “I contratti a tempo determinato stipulati con personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi”. Primo gruppo di questi esodati con 36 mesi di servizio alle spalle sono i docenti iscritti in seconda e terza fascia nelle graduatorie d’istituto: circa 28 mila.
Ma c’è anche il personale Ata nelle medesime condizioni: sono circa 11 mila. L’altro personale con almeno 36 mesi di servizio alle spalle si trova nelle GAE. Teoricamente con la stabilizzazione dovrebbero essere tutti salvi, ma tra di loro vi sono quei 23 mila docenti di scuola dell’infanzia per i quali la stabilizzazione potrà avvenire tra un paio d’anni (se va bene), dopo la riforma 0-6. Nel frattempo dovranno attendere rimanendo nella condizione transitoria di precari. Ma poiché quasi tutti hanno alle spalle molto servizio pre-ruolo, andranno ad infoltire, se pur transitoriamente, l’esercito degli esodati. Il numero complessivo si avvicina, dunque, alle 60 mila unità. 60 mila persone cui sarà proibito lavorare nella scuola per la sola “colpa” di avervi lavorato troppo. In condizioni precarie.
ItaliaOggi – 31 marzo 2015
“Gli effetti della riforma della Buonascuola. Le contestazioni unitarie dei sindacati. Niente patti, vale la gerarchia”
░ Antimo Di Geronimo
Il disegno di legge sulla Buona scuola, se sarà approvato senza modifiche, riporterà indietro le lancette dell'orologio di più di 20 anni in termini di contrattazione. È del 1992 la legge che introdusse la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Alla quale fu data attuazione nel 1993 con il decreto legislativo 29, che consentì anche ai dipendenti pubblici di giovarsi della contrattazione collettiva nazionale. …Tutto nero su bianco in un contratto collettivo nazionale che si applica a tutta la categoria e che viene scritto al tavolo negoziale dai rappresentanti dei lavoratori (i sindacati rappresentativi) e del governo (l'Aran). Prima del 1992 il rapporto di lavoro era regolato da un decreto del presidente della repubblica e la posizione dei lavoratori era molto più debole. Anche allora c'erano i diritti e i doveri. Ma il diritto dei lavoratori si esauriva nella retribuzione. Per fruire delle assenze tipiche, invece, la posizione del lavoratore era quella del cittadino che rivolge un'istanza all'amministrazione perché aspira ad un beneficio oggetto di potere amministravo. Vent'anni fa i permessi non esistevano: al loro posto c'erano i congedi. Questa posizione è nota ai giuristi come interesse legittimo. E si differenzia dal diritto proprio perché, a differenza di quest'ultimo, che può essere legittimamente preteso… Questa volta è in gioco la sopravvivenza stessa del sistema di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Che rischiano di rimanere senza tutele in un sistema caratterizzato dall'inasprimento parossistico del sistema gerarchico verticale. Quello che preoccupa i sindacati, oltre alle storiche questioni del precariato e del mancato rinnovo del contratto, è anche e soprattutto la cancellazione del diritto alla titolarità della sede e alla mobilità per i docenti. Un problema di non di poco conto se si pensa che i docenti sono la categoria professionale con il più alto tasso di pendolarità nel pubblico impiego. Il disegno di legge Renzi, infatti, istituisce un albo regionale dal quale i dirigenti scolastici trarranno i docenti una volta ogni tre anni. Il tutto cancellando con un colpo di spugna diritti e punteggi accumulati da docenti che attendono di avvicinarsi alla sede di residenza, talvolta, anche da vent'anni. Non solo. Alla precarietà della sede dei docenti, la cui stabilità dipenderà dal gradimento del dirigente scolastico, farà da contraltare anche la precarietà della sede dei dirigenti scolastici. Anche per loro, infatti, gli incarichi avranno durata triennale. E l'attribuzione della sede deriverà dal gradimento del direttore regionale, il cui incarico dipenderà, a sua volta, dal gradimento del vertice politico di riferimento. In pratica, il sistema di regole tassative, rigidamente informate al principio del merito (titoli di studio e professionali, esperienza e continuità) di fonte negoziale sarà sostituito con un sistema gerarchico verticale basato sulla discrezionalità incondizionata.
ItaliaOggi – 31 marzo 2015
“Formazione per 50 ore di lavoro
L'aggiornamento dei docenti diventa un dovere. Scattano nuovi obbligi di servizio”
░ Antimo Di Geronimo
Dal prossimo anno i docenti dovranno lavorare 50 ore l'anno in più a parità di retribuzione per aggiornarsi. Lo prevede l'articolo 10 del disegno di legge sulla scuola approvato dal governo il 12 marzo scorso. Il dispositivo prevede anche l'assegnazione di una carta di credito vincolata dell'importo di 500 euro per ogni insegnante, da utilizzare per l'acquisto di l'acquisto di libri e testi di natura didattico-scientifica, pubblicazioni e riviste riferite alle materie di insegnamento e comunque utili all'aggiornamento professionale.
La carta potrà essere utilizzata anche per l'acquisto di hardware e software, iscrizione a corsi di studio, per attività di aggiornamento e qualificazione delle competenze professionali, rappresentazioni teatrali e cinematografiche, ingresso a musei, mostre e eventi culturali in genere. In buona sostanza, il diritto alla formazione diventa dovere. E soprattutto comporterà ulteriori obblighi di servizio senza aumento di stipendio. Infatti anche la carta di credito non costituisce reddito, ma un mero rimborso per l'acquisto di beni strumentali. Per finanziarla il governo ha previsto un impegno di 381.137.000 euro. Quanto alla formazione, che da diritto diventa obbligo, il governo ha previsto un modello composto da 50 ore di attività, strutturate in modo da ridurre i costi di docenza anche utilizzando la formazione tra pari e un sistema gestionale on-line. Il percorso è suddiviso in 4 fasi. La prima sarà caratterizzata da incontri di accoglienza e fine corso per la durata complessiva di 5 ore a gruppi di massimo 250 docenti. La seconda sarà dedicata a laboratori formativi dedicati: 4 laboratori dedicati ad approfondimenti di 3 ore ciascuno a gruppi di massimo 30 docenti e 4 ore di autoformazione e rielaborazione dell'esperienza. La terza sarà incentrata su attività peer to peer: 5 ore di affiancamento di ciascun docente ad un tutor della scuola per scambio di esperienze tra pari e 4 ore di autoformazione e rielaborazione dell'esperienza. E infine, 20 ore di formazione on-line su piattaforma informatica. Per la formazione on-line è stimato un costo di euro 300.000. Per l'elaborazione e l'aggiornamento annuale dei contenuti e materiali formativi (video, slide e documenti) per 50 ore di lezione on-line su materie disciplinari e trasversali, il costo è stimato in 10.000 euro. Lo sviluppo della piattaforma on-line e-learning dovrebbe costare 110.000 euro. Lo sviluppo di un sistema on-line di gestione del piano nazionale di formazione dovrebbe venire a costare anch'esso 110.000 euro. Per la manutenzione evolutiva annuale della piattaforma on-line di e-learning e della piattaforma di gestione del piano di formazione ci vorranno, invece, 30mila euro. E 40mila euro serviranno a coprire i costi annuali della piattaforma on-line di e-learning e della piattaforma di gestione del piano di formazione.
Corrieredellasera.it – 2 aprile 2015
“«La scuola non è un’azienda», i prof infuriati scrivono a Mattarella”
░ A stoppare la “chiamata diretta” in salsa Lombardia, la Presidenza del Consiglio interpellò la Consulta; la sentenza (la numero 76/2013) aveva un relatore d’eccezione: l’allora giudice Sergio Mattarella, che accolse il ricorso. Per i giudici costituzionali la chiamata diretta del personale insegnante è infatti «del tutto eccentrica rispetto all'ordinamento nel suo complesso visto che ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all'articolo 117 Cost.». Di Valentina Santarpia
Dopo giorni di discussioni, post polemici, interventi accalorati, gli insegnanti hanno deciso di appellarsi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per dire «no» al ddl della Buona scuola. Lo hanno fatto aprendo una petizione sulla piattaforma online change.org, che in poche ore martedì ha raccolto duemila firme, ma che punta a catalizzare l’attenzione di oltre 100 mila professori, sparpagliati nei vari gruppi digitali nati negli ultimi mesi, da Professioneinsegnante.it a Informascuola, passando per Docentiimmobilizzati e Insegnanti italiani uniti, al grido di #Laverascuola gessettti rotti.
«Il nostro è un urlo accorato, “dal basso”, di professionisti e lavoratori che prefigurano uno scenario clientelare, privatizzante, aziendalistico dell’Istituzione che rappresentiamo», scrivono gli insegnanti al capo dello Stato. Nel mirino i poteri che il ddl conferisce al dirigente scolastico, trasformandolo in un «leader educativo» o supermanager: «Conferire al Dirigente Scolastico il potere di scelta dei docenti, istituendo albi regionali che di fatto li precarizzano, violerebbe non solo i diritti acquisiti di quei docenti, ma anche l’art. 33 Cost., secondo il quale “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”», si legge nell’appello. Il timore è che la «discrezionalità» del preside faccia venire meno «i presupposti minimi di oggettività e di merito su cui dovrebbe essere improntata l’azione del pubblico impiego, specie in un settore così delicato, come quello dell’istruzione, preposto alla formazione delle persone e dei cittadini».
Per gli insegnanti uniti nella petizione, il timore è che la scuola venga governata da principi che dovrebbero regolare il mondo dell’impresa, mentre, fanno notare, «la scuola non è un’azienda e, per la sua stessa natura di “comunità”, necessita di una gestione partecipativa e non verticistica». A rischio è anche «la collaborazione all’interno del corpo docente, tratto essenziale per la buona riuscita del rapporto apprendimento-insegnamento».
www.larepubblica.it - 02/04/2015
“Quei due mondi che non riescono più a convivere”
░ Di Maria Pia Veladiano.
Provare a convivere con ragazzi, certo non la maggioranza, una parte sono, ma in baldanzoso aumento, ragazzi e a volte bambini, che riproducono, con la determinazione in cui sono esperti grazie a lunga esposizione, una litania di comportamenti che sono oggi ammessi nella vita incivile che accettiamo. Parolacce, minacce, gestacci, non ha il diritto di sequestrarmi il cellulare, ci provi a mandarmi dal preside, lo dico a mio padre. E poi capita che il padre, o la madre, arrivi davvero, con o senza avvocati, furioso, come si permette, la denuncio per abuso di potere. O passa alle vie brevi, un pugno, uno schiaffo. Bel modello per chi impara come diventare grande. Bene, ma l’insegnante non può e basta. In classe l’insegnante è l’adulto e la tenuta del rapporto, il rimanere al di qua del limite della violenza, è sua. È lui che non deve, mai, rispondere dispetto per dispetto, violenza per violenza. Questo è possibile innanzitutto se non è mai solo. Se la gestione di quella comunità eterogenea che è la scuola non deve per forza essere un eroico atto individuale di docenti che entrano in aula con uno spaventoso debito di credibilità sociale e devono soprattutto dimostrare di essere insegnanti diversi da come l’immaginario collettivo li disegna. Super docenti in mezzo a un deserto delle responsabilità. La violenza dei rapporti sociali arriva nella scuola italiana come un fenomeno nuovo per estensione e gravità. È inutile sognare il passato e chissà se era migliore, con le sue diverse forme di violenza psicologica, che sta nelle pagine della letteratura. La scuola deve tener conto di questa nuova realtà nel progettare e accompagnare la normale professionalità dell’insegnante, che ha bisogno di poter lavorare in gruppo, di poter godere di una supervisione, di imparare a gestire e disinnescare la crescente aggressività altrui e propria. Vincere l’analfabetismo sociale e la disabilità contemporanea verso il vivere civile è un compito nuovo della scuola. Far tenuta sui valori della convivenza, educare a trecentosessanta gradi: i ragazzi, i genitori e anche quella società che oggi la violenza la esibisce come forma accettabile del successo.