www.repubblica.it – 1 marzo 2015
“Buona Scuola, appello di 44 deputati maggioranza per parità private”
░ Nella riforma avanzata l'ipotesi di sgravi fiscali già contestati dal ministero dell'Economia. Di Salvo Intravaia.
Le paritarie tornano alla carica e chiedono il buono scuola. Nei giorni scorsi, tra le tante indiscrezioni sul piano di riforma del governo sulla scuola, che verrà presentato martedì prossimo, è circolata anche l'ipotesi di una detrazione fiscale per le famiglie che affidano la formazione dei propri figli alle scuole paritarie. Ma i gestori delle stesse scuole si sono mostrati freddini di fronte a questa ipotesi. Perché le paritarie stanno attraversando, con tutta probabilità, la crisi più grave del dopoguerra ad oggi e chiedono aiuto allo Stato per non chiudere i battenti. A farsi portavoce degli istituti non statali 44 deputati della maggioranza di governo che hanno affidato il loro appello rivolto al presidente del consiglio Matteo Renzi alle colonne del quotidiano dei vescovi L'Avvenire. "Il Piano per la 'Buona Scuola' è il più importante tentativo di riformare globalmente la scuola italiana dall'epoca della riforma gentiliana", scrivono i deputati di diversi partiti. "Proprio per questo - continuano - lo slancio riformatore che il governo sta portando avanti in molti campi non può perdere un'occasione irripetibile per avviare nei fatti lo storico gap della scuola italiana in tema di pluralismo e libertà di educazione. Un sistema fondato sulla detrazione fiscale, accompagnato dal buono scuola per gli incapienti, sulla base del costo standard, potrebbe essere un primo significativo passo verso una soluzione di tipo europeo". Ma già sulla eventuale detrazione fiscale la coperta appare corta. Il ministero dell'Economia ha già posto qualche problema sulle 148mila assunzioni - poi scese a 120mila - dei precari che costeranno un miliardo di euro per il 2015 e 3 miliardi dal 2016 in poi. Insomma, si cerca la cosiddetta copertura finanziaria per una detrazione fiscale che potrebbe riguardare un gettito variabile da 1,5 a 3 miliardi di euro. Ma le associazioni delle scuole paritarie battono cassa lo stesso. … E si ripropone l'annoso problema del finanziamento alle scuole non statali che dal 2000, quando il governo D'Alema varò la legge sulla parità scolastica, pone su due fronti contrapposti coloro che richiedono l'applicazione, senza se e senza ma, del dettato costituzionale - che all'articolo 33 assegna ai privato il diritto "di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato" - e coloro che, considerando la scuola paritaria facente parte del sistema di istruzione pubblico, rivendicano finanziamenti ad hoc per consentire la libera scelta educativa delle famiglie. … Attualmente, lo stato assegna alle paritarie circa 500 milioni di euro all'anno. Più i finanziamenti a favore delle scuole paritarie - o delle famiglie che affidano alle non statali i figli - che le singole regioni inseriscono nei propri bilanci. Una situazione che però è a macchia di leopardo e che spesso risente del colore della singola giunta regionale in carica. I finanziamenti a favore delle paritarie nel corso degli anni hanno subito variazioni considerevoli. Fu l'allora ministro Letizia Moratti ad accrescere fino a 650 milioni circa il budget a favore delle paritarie. Poi sceso a circa 500 milioni. Ma adesso la crisi morde anche le famiglie che prima potevano permettersi rette da 3mila euro e molte scuole paritarie rischiano di chiudere i battenti. E c'è chi, di fronte alla richiesta dei 44 deputati di maggioranza, alza le barricate definendola "una vergogna indicibile". "I fondi alle scuole paritarie private - dichiara Danilo Lampis, coordinatore nazionale dell'Unione degli studenti - oltre ad essere un vero e proprio spreco, sono uno schiaffo alla dignità alla scuola pubblica e alle migliaia di studenti, insegnanti e famiglie che le frequentano. La scuola pubblica vive una situazione drammatica, massacrata dai tagli degli ultimi sei anni e pensare di equiparare sulla scala delle priorità il finanziamento delle private - tagliano corto gli studenti, che promettono battaglia nelle piazze - è offensivo.
www.latecnicadellascuola.it – 1 marzo 2015
“Italiano L2: una nuova classe di concorso?”
░ Il ministro Stefania Giannini ha sostenuto la necessità di istituire la nuova classe di concorso di Italiano Lingua 2. Il d.s. Aluisi Tosolini,esperto di educazione interculturale, spiega perché non è d’accordo.
Nel documento ministeriale del 2007 (La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri. Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale) viene tracciata la storia della dimensione interculturale in Italia, a partire dalla famosissima Circolare 205 del 1990 (dove si scrive: “l’educazione interculturale avvalora il significato di democrazia”). In particolare il documento del 2007 motiva l’assunzione della dimensione interculturale con le seguenti parole: “La scuola italiana sceglie di adottare la prospettiva interculturale – ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe. Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione. Prendere coscienza della relatività delle culture, infatti, non significa approdare ad un relativismo assoluto, che postula la neutralità nei loro confronti e ne impedisce, quindi, le relazioni. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi ed impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare i conflitti che ne derivano. La via italiana all’intercultura unisce alla capacità di conoscere ed apprezzare le differenze la ricerca della coesione sociale, in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni”. Il documento riassume poi in 10 azioni positive, raccolte attorno 3 macro aree, il percorso delle scuole interculturali.
Le aree si riferiscono alle azioni per l’integrazione, le azioni per l’interazione interculturale, gli attori e le risorse. La prima macro area (azioni per l’integrazione) comprende le pratiche di accoglienza e di inserimento, nella scuola, l’apprendimento dell’italiano seconda lingua, la valorizzazione, del plurilinguismo, le relazione con le famiglie straniere e l’orientamento. Riportiamo integralmente la sezione che il documento del 2007 dedica al tema dell’italiano L2. L’acquisizione e l’apprendimento dell’italiano rappresenta una componente essenziale del processo di integrazione: costituiscono la condizione di base per capire ed essere capiti, per partecipare e sentirsi parte della comunità, scolastica e non. L’azione complessiva si articola in due tipi di attività, organizzativa la prima, glottodidattica la seconda. La fase “organizzativa”, intesa a fronteggiare l’urgenza immediata, mira a: • individuare modelli organizzativi (istituzione di Laboratori di Ital2; tempi e durata del laboratorio; personalizzazione del curricolo e adattamento del programma, ecc.); • definire i ruoli dei facilitatori linguistici sia esterni (in collaborazione con Enti locali, Associazioni, Centri, Università e loro studenti in tirocinio, iniziative con fondi FSE, e così via); sia interni, attraverso docenti con funzione strumentale e docenti formati nella didattica dell’Ital2; • prevedere strumenti di stimolo alla creazione di reti di scuole e di loro finanziamento; • elaborare materiali e strumenti (trasmissioni televisive, modelli di test di determinazione dei livelli d’accesso, ecc.) ed erogare risorse da destinare sia alla pubblicazione e diffusione di materiali di riferimento per gli insegnanti sia all’acquisto di materiali di Ital2 per le scuole e gli apprendenti stranieri.
La fase “glottodidattica” prende le mosse contemporaneamente alla prima ma produce risultati in un momento successivo; essa riguarda: • la definizione di un modello di competenza comunicativa di italiano di base (ItalBase) e l’individuazione dei problemi dell’italiano per lo studio (ItalStudio), in modo da offrire ai docenti un quadro comune di riferimento; • la diffusione di strumenti la definizione dei diversi livelli di competenza di ItalBase che tengano conto del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e del livello di ItalStudio per progettare interventi mirati; • l’elaborazione e diffusione di modelli operativi sia per le attività in classe sia per quelle in Laboratorio Ital2; • la formazione di docenti di riferimento per le singole scuole e la sensibilizzazione di tutti i docenti sui problemi della facilitazione nella comprensione dell’italiano. Come si può vedere, soprattutto nell’ultimo punto, la scelta è quella di una diffusa formazione dei docenti in ambito L2 evitando di “specializzare” il percorso di apprendimento della lingua2 con il rischio di una delega ghettizzante a docenti esperti, con il conseguente “disinteresse” degli altri docenti.
La creazione di una abilitazione / classe di concorso per Italiano L2 non può infatti che prendere questa china: una volta che il docente abilitato esiste, occorre trovargli gli alunni delegandogli l’apprendimento della lingua 2. E non va dimenticato che buona parte degli alunni cui potrebbe essere rivolta l’azione di un docente abilitato in Italiano L2 frequenta le scuole primarie. Dove le insegnanti – per definizione – hanno un approccio globale e in molti decenni non siamo riusciti neppure ad avere un gruppo davvero formato di insegnanti di Inglese. Ed anzi, con una normativa che va esattamente nella direzione opposta. E lo stesso accade per le classi di concorso della scuola media e superiore che, seppure in attesa da ben 5/6 anni di una revisione complessiva, paiono essere indirizzate verso la costituzione di macro aree piuttosto che di micro specializzazioni. In sostanza il modello italiano in sé non prevede la creazione (se non per gruppi e per brevi periodi all’interno di un progetto complessivo) di percorsi differenziati. Altri paesi li prevedono ed esistono ampi studi comparativi che possono essere utilizzati per comprenderne il successo o l’insuccesso. Cambiare modello si può: quello che invece a mio parere non si può fare è mischiare i due modelli. Utilizzare il modello sistemico e globale scelto da 30 anni dall’Italia e poi pensare di realizzarne ampie parti con percorsi differenziati. E che sia così la dice il ministro stesso: "Arriveremo al Consiglio dei ministri al momento opportuno con un testo definitivo che accoglierà la forte richiesta emersa sull'importante tema dell'integrazione dalla consultazione sulla Buona Scuola. Si tratta - ha spiegato il ministro - di un'integrazione linguistica e culturale degli alunni stranieri legata ai diversi contesti, con percorsi didattici differenziati tra alunni nati in Italia e non". Ovviamente, come precisa lo stesso ministro, occorre capire di chi stiamo parlando. Di alunni di cittadinanza non italiana nati in Italia o di neo arrivati? Se si tratta dei primi sfugge il senso di una differenziazione, soprattutto tenendo conto che, come impietosamente segnalano i dati Invalsi e Pisa, la lingua italiana è sconosciuta a una parte significativa degli studenti (cittadini italiani o no). Se si tratta dei secondi bastano allora le indicazioni del documento del 2007, soprattutto tenendo conto che i neo arrivati in Italia sono sempre meno. Sulla sfondo rimane poi un altro tema, anche questo toccato dal ministro. E’ il tema della cittadinanza. Ed è un tema scottante: la scuola forma cittadini attivi e critici ma è del tutto evidente che senza reale cittadinanza i bambini “non cittadini italiani” ma nati, cresciuti, formati ed educati in Italia non potranno mai sentirsi davvero parte della stessa comunità. E su questo tema, malgrado le molte proposte, nulla si vede ancora all'orizzonte.
www.larepubblica.it – 2 marzo 2015
““Meno tasse per chi va alle paritarie”. È battaglia”
░ Su Avvenire appello a Renzi da 44 deputati della maggioranza: “Occasione irripetibile per una svolta epocale”. La norma inserita nel decreto messo a punto dalla Giannini. Di Corrado Zunino. Il sottosegretario Toccafondi dichiara: «Non aiutiamo le scuole paritarie, a cui non diamo un euro in più, aiutiamo le famiglie che le frequentano”. Proviamo grande umiliazione nel leggere che una persona che ricopre funzioni istituzionali possa dire una tale frase: Ritiene che i cittadini siamo scemi ? Sullo stesso quotidiano, la Repubblica, Luigi Berlinguer si spende anche egli a favore della detrazione fiscale. A volte ritornano; e non uno qualunque ma l'ex ministro al quale le scuole paritarie devono molto (la legge 10 marzo 2000, n. 62, sulla parità scolastica, all’epoca del secondo governo D’Alema). Caro Renzi, sono i “rottamati” che ritornano; qualcuno ha anche attraversato l’era del collateralismo PC-DC.
Gli sgravi fiscali per le famiglie che pagano una retta agli istituti paritari sono previsti nel decreto “La buona scuola”, appena licenziato dal ministero dell’Istruzione. Il ministro Stefania Giannini nel fine settimana ha inviato l’intero articolato a Palazzo Chigi. Oggi il premier Matteo Renzi lo prenderà in esame e domani discuterà in Consiglio dei ministri, all’interno della corposa riforma scolastica centrata sulle assunzioni dei precari, del provvedimento più politico: gli sgravi a chi frequenta scuole non di Stato. Allo Stato costerebbero, s’ipotizza, 400 milioni. Decide Renzi, ecco, ma alla vigilia del Cdm un pezzo del centrosinistra (e un pezzo consistente del Pd) chiede al premier di aiutare una quota del mondo scolastico – le paritarie – che oggi attraversa la sua crisi più profonda dal dopoguerra. Un pressing che già divide la maggioranza. Quarantaquattro deputati, ieri, hanno pubblicato sul quotidiano cattolico Avvenire una lettera lunga due cartelle in cui chiedono l’approvazione del provvedimento sugli sgravi…. Nella lettera si ricorda che la paritaria in Italia è fatta di 13mila istituti e accoglie un milione e 300 mila alunni, che con 478 milioni l’anno di finanziamento lo Stato risparmia oltre 7 miliardi di potenziali spese…. Fra le 44 firme ci sono, ovviamente, i centristi della maggioranza: cinque di Area popolare tra cui Buttiglione e la Binetti, cinque del Centro democratico, uno di Scelta civica. Trentadue i deputati del Pd, fra cui l’ex ministro Fioroni, il teorico del no profit Patriarca e Simona Malpezzi… Il sottosegretario Gabriele Toccafondi, Ncd, ex Forza Italia, a Firenze sempre all’opposizione di Renzi, nelle ultime settimane ha lavorato agli sgravi fiscali, al buono scuola per i redditi bassi e all’estensione del 5 per mille anche agli istituti privati. Tutto questo, di concerto con il ministro Giannini. La proposta di sgravio prevede una detrazione del 19 per cento modulata sui redditi… L’Unione degli studenti scrive: «La lettera dei 44 parlamentari è vergognosa, i fondi alle paritarie private sono uno spreco e uno schiaffo a una scuola pubblica che sta vivendo una situazione drammatica».
www.corrieredellasera.it – 3 marzo 2015
“Scuola, Renzi rinuncia al decreto. I nodi dei precari e delle private”
░ Non ci sarà alcun decreto sulla «Buona scuola». Dopo mesi di attesa, annunci, giornate tematiche sulla riforma che doveva rivoluzionare la scuola italiana, a poche ore dalla sua presentazione in Consiglio dei ministri, il premier Matteo Renzi ieri sera ha deciso di rinunciare al decreto legge, preferendogli la via parlamentare “in tempi certi”.
Una scelta quella di Renzi, spiegano in ambienti della presidenza del Consiglio, fatta per coinvolgere di più maggioranza e opposizione ma anche per rispondere alle accuse di comportamenti «dittatoriali»: «Vedremo come si comporteranno le opposizioni». E subito arriva il primo applauso con il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta che si dice soddisfatto per «le intenzioni non più muscolose di Renzi».
Ma è al ministero dell’Istruzione che la decisione del premier ha lasciato tutti a bocca aperta. Lì dove ormai si stavano limando gli ultimissimi dettagli della bozza del decreto che oggi pomeriggio sarebbe arrivata sul tavolo del Consiglio dei ministri. Un fulmine a ciel sereno per la stessa ministra Stefania Giannini che ha saputo dello stop al decreto appena poche ore prima della sua presentazione. La scelta di Renzi ha invece rimesso tutto in discussione. I tempi tanto per cominciare. Con il decreto legge, i tecnici del Miur avrebbero potuto cominciare subito a lavorare per l’assunzione dei 120 mila precari della scuola dal primo settembre, il cuore della riforma scolastica del governo: «Mai più precari» aveva detto lo stesso premier appena 9 giorni fa dal palco del Pd nella giornata d’orgoglio della Buona scuola a Roma. Ma con il ddl i tempi non sono più così certi: si dovrà attendere fino all’ultimo dei passaggi parlamentari e con il caos delle assunzioni dei precari della scuola, tra graduatorie, concorsi e ricorsi, si rischia di slittare ben oltre il primo settembre. Non solo. Secondo il decreto, grazie al miliardo destinato alla scuola dalla Legge di stabilità, venivano rafforzate materie come inglese, musica e arte; si costruivano più laboratori, si aumentava la digitalizzazione della scuola; si favoriva una maggiore alternanza tra scuola e lavoro in tutti gli indirizzi. E infine, c’era l’istituzione di un fondo sperimentale per la detrazione delle rette scolastiche delle scuole paritarie, uno dei nodi più dibattuti. Tutto da rifare. Ora la palla passa al Parlamento.
www.larepubblica.it – 3 marzo 2015
“Il ministro: sono basita nessuno mi ha avvisato Ora a rischio per i precari l’assunzione a settembre”
░ Più di una volta, i lettori di questo blog dell’Anief hanno letto dei nostri dubbi sul fatto che le posizioni politiche espresse dal ministro Giannini siano per il PD digeribili. Ancora lo scorso 2 marzo, nella rubrica quotidiana di Aggiornamento abbiamo osservato che la Giannini farebbe bene ad uniformarsi alla linea politica del PD, visto che ha sentito il bisogno di lasciare le file montiane per transitare in quelle renziane. C’era stata, nelle ultime ore di limatura dei provvedimenti su La Buona Scuola, la discussione sugli sgravi fiscali alle famiglie che frequentano le scuole paritarie. E, supponiamo a Renzi non avrà fatto piacere che l’insistenza della Giannini ed entourage centrista gli metta contro l’ala sinistra del PD con la quale il premier aveva faticosamente ricucito grazie alla genialata Mattarella. Ciò che leggiamo in questo articolo ci conferma nel convincimento che la Giannini, “sconcertata e infastidita” sia nel PD un pesce fuor d’acqua, per più ragioni.
Alle sei di ieri sera il premier scambia sms con gli uomini (e le donne) che seguono la scuola all’interno del Pd: «Tutto a posto, il decreto fila», scrive. Alle 20.45 Matteo Renzi fa trapelare ai cronisti di Palazzo Chigi la sorprendente novità: niente decreto per le cose urgenti né legge delega affidata al governo per il resto. Va tutto dentro un disegno di legge parlamentare, «e che Brunetta si assuma l’onere di non far assumere 160 mila precari della scuola». I suoi, quelli che nel Pd conoscono la riforma e l’Istruzione, trasecolano: «Qui saltano le assunzioni il primo settembre: per stabilizzare i docenti, metterli a ruolo, costruire l’organico funzionale di ogni istituto, ci vogliono mesi. Non riusciremmo a farcela neppure se il Parlamento approvasse tutto entro l’estate». Si fanno i confronti con gli ultimi provvedimenti: il Job Acts, innanzitutto. No, il piano straordinario sui precari non è compatibile con i tempi di un disegno di legge. Se è così, «bisogna rivedere tutto», dicono i suoi. Le date del concorso da 60 mila persone: «Non si possono fare gli scritti ad ottobre». «Sono basita», dice il ministro a chi le annuncia la novità maturata in meno di tre ore, «avevamo messo a posto tutto, con un lavoro di cesello, faticosissimo». È sconcertata e anche infastidita, Stefania Giannini, ministro che ha provato ad uscire dall’accerchiamento del Pd attorno a viale Trastevere aderendo a quel partito («l’esperienza di Scelta civica era finita»). Ha già conosciuto a settembre le ire del premier, quando “La Buona scuola” non era neppure un librone ben rilegato e Renzi voleva riservare a sé ogni anticipazione. Da allora ha deciso di non opporsi alle decisioni del presidente del Consiglio: la sostituzione del sottosegretario morbido Roberto Reggi con uno decisamente più invasivo come Davide Faraone, la retromarcia a furor di Pd sui test a Medicina (lei li voleva cancellare, sono rimasti) e i cambiamenti sui commissari di Maturità. Ha scelto di lavorare senza conflittualità, la Giannini, e oggi, dopo aver digerito nella notte l’ennesimo colpo di scena senza neppure esserne prima informata, proverà a convincere il premier a stralciare dal disegno di legge almeno la parte delle assunzioni degli insegnanti precari: la più attesa dal mondo della scuola, quella voluta fortemente dallo stesso Renzi. Un “decreto assunzioni scuola”, è l’ultimo tentativo che sarà proposto. Il resto, va bene, dentro un disegno di legge che può servire alle sfide politiche del premier. È probabile che dietro alla sterzata improvvisa di Renzi ci sia il nuovo corso chiesto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lo ha ricordato lo stesso premier, «vogliamo coinvolgere le opposizioni nello spirito del presidente della Repubblica ». Per la “grande stabilizzazione”, poi, nelle bozze non c’era ancora il miliardo annunciato nella Legge di stabilità. Solo 680 milioni. E poi 2,38 miliardi per il 2016 invece dei tre promessi. Anche i numeri rispetto a settembre si erano ridimensionati: novantamila assunti subito dalle graduatorie, altri diecimila rimasti fuori dal concorso 2012. E poi per 15-18 mila un anno ponte e un concorso a sé. E altri sessantamila nel concorsone 2015-2016. Centosessantamila neo-insegnanti in tutto: 30 mila in meno, a conti fatti, rispetto agli annunci. Pur sempre un’operazione voluminosa. Ora il centrodestra potrà giocare a limare qual piano, che ha sempre definito “un’assunzione clientelare”.
Il Fatto Quotidiano – 4 marzo 2015
“Riforma della scuola, ecco come avverrà l’avanzamento di carriera dei docenti”
░ Il sistema di progressione sarà al 70% con bonus di merito: gli aumenti in busta paga dipenderanno dalla valutazione.
Il vecchio sistema basato solo sugli anni di servizio va in pensione. Ne nasce uno nuovo, a carattere misto, con il 30% soltanto riservato all’anzianità e il 70% ai bonus di merito. Fra cui i tanto discussi “crediti didattici”, che valuteranno la “qualità dell’insegnamento”. La riforma della carriera è uno dei punti più contestati dalla riforma: … la coppia Renzi-Giannini ha tirato dritto sulla “questione meritocratica”, uno dei cavalli di battaglia della loro gestione. Come previsto già nel piano “La Buona scuola”, nasceranno tre tipologie di crediti: didattici, in relazione alla qualità dell’insegnamento; formativi, per formazione, attività di ricerca e produzione scientifica; professionali, in funzione della “partecipazione attiva all’organizzazione e alle progettualità” della scuola. Era meno previsto, invece, che nella valutazione dei docenti potessero rientrare gli stessi studenti: il “riconoscimento dei crediti didattici – si legge infatti nel decreto – avviene attraverso la rilevazione delle attività di insegnamento e di analisi della documentazione prodotta dal docente, sentiti anche gli studenti e le famiglie”. Resta da chiarire quanto incisivo sarà questo parere, ma sembra che i ragazzi avranno voce in capitolo sulla carriera dei propri insegnanti. Il “Nucleo interno di valutazione” sarà composto dal preside, da due docenti “mentor”(nuova figura, scelti fra gli insegnanti con risultati più alti, a cui sarà riconosciuto una maggiorazione dello stipendio del 10%), un docente di staff e un dirigente esterno. Dai loro giudizi su base triennale dipenderanno i bonus in busta paga. Qui c’è l’altra grossa novità rispetto al piano di partenza: sono previste tre diverse fasce economiche su cui verranno distribuiti i docenti di ogni scuola in base ad una sorta di graduatoria. Tutti, dunque, beneficeranno in qualche maniera dei nuovi scatti. Però alla fascia maggiore potranno accedere solo alcuni. E i docenti che per due cicli consecutivi non soddisfano i requisiti minimi, “saranno soggetti a specifiche procedure di verifica” (mentre in origine sembravano escluse possibili sanzioni), e non avranno diritto ad alcun incremento stipendiale. E i sindacati che ruolo avranno in questa riforma? Il governo riconosce che la materia li riguarda da vicino, e per questo apre alla “stipulazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro”. Una concessione alle parti sociali, ma fino ad un certo punto: “Se il perfezionamento negoziale non sarà concluso entro il 31 luglio”, il governo andrà avanti da solo. Se il testo verrà confermato nel disegno di legge, dunque, si annuncia battaglia con le parti sociali. E anche con gli insegnanti. Perché il nuovo sistema – precisa il decreto – sarà “a spesa invariata”: gli stessi soldi che in passato venivano utilizzati per i “gradoni di anzianità” dovranno bastare a finanziare anche il nuovo meccanismo meritocratico. Qualcuno, per forza di cose, ci rimetterà.
Il Messaggero – 4 marzo 2015
“L’istruzione senza risorse e le priorità da ridefinire”
░ Di Giorgio Israel.
L’unica cosa chiara della vicenda della riforma della “buona scuola” è che quella che era stata indicata fin dai primi giorni del governo Renzi come una delle priorità assolute sta passando in seconda, terza o quarta linea. Sarebbe facile parlare di una sconfitta dei propositi decisionisti e dell’ottimismo che li ispirava, ma forse, a mente fredda, sarebbe meglio considerare questi passi indietro come una necessaria resa al buon senso e al realismo. Quando una problematica è stata resa troppo complicata - al punto che qualcuno considera addirittura la scuola italiana come irriformabile - credere di poterne uscir fuori con il metodo del taglio dei nodi gordiani, è un’illusione…. Pensare di risolvere il problema dei precari d’un sol colpo è velleitario: ci permettiamo di dubitare che persino al ministero abbiano un’idea del tutto precisa dei numeri e dei vari “diritti”. … Anche senza prendere posizione sul tema del finanziamento delle scuole paritarie è fin troppo facile osservare che in una situazione di carenza di risorse - che vede scuole il cui tetto cade a pezzi, con i bagni rotti e senza i quattrini per la carta igienica - spostarne a favore delle scuole paritarie rischia di attizzare una polemica devastante che alla fine sfocerà in un conflitto tra laici e cattolici di cui non v’è affatto bisogno. È ben vero che le scuole paritarie hanno in certi casi un ruolo di supplenza, ma questo accade soprattutto a livello delle scuole dell’infanzia e delle primarie per cui, non aumentare o addirittura diminuire - tramite il proposito sconsiderato di tagliare di un anno i licei - le risorse destinate alle scuole superiori, ancora prevalentemente statali, significa lasciarle allo sbando. … Insomma, molti propositi possono essere eccellenti, ma se non vi sono risorse e se, addirittura, si mette in opera una cosmetica che nasconde malamente altri tagli, è meglio guardare la realtà in faccia… Tralasciamo di entrare nel merito di certi propositi che, a nostro avviso, sono largamente discutibili: non basta parlare di “merito” perché ciò sia necessariamente un bene, se la promozione e la verifica del merito sono mal congegnate e rischiano di dar luogo a fenomeni clientelari. Il punto - ancora una volta - è che un buon sistema di valutazione costa, e non poco, e quanto più viene realizzato con i fichi secchi tanto più si adatta soltanto a nozze di infima categoria. … È un modo di procedere che assomiglia troppo allo smercio di perline per incantare gli sprovveduti. Potremmo aprire un discorso analogo sull’edilizia scolastica, lanciata con gran rullo di tamburi e da tempo ferma al palo. Sarebbe quindi importante per il bene del Paese, della sua scuola (e anche per la salute del governo) cogliere l’occasione di questo passo indietro per una riflessione ispirata al realismo e al buon senso che parta da una chiarezza estrema sul punto cruciale: quali risorse si vogliono impegnare nella scuola? E di qui passare alla definizione di una scala di priorità.
lascuolaoggi.org – 5 marzo 2015
“La sfida di Renzi al Parlamento sulla pelle dei precari”
░ Di Pippo Frisone.
…Il Presidente del Consiglio, smentendo tutti e in primis se stesso, annuncia che non ci sarà più un decreto ma che tutto il pacchetto sulla riforma della scuola si sposterà in Parlamento al quale verrà sottoposto un disegno di legge organico d’iniziativa governativa. Il vero macigno messo in campo nell’ultima ora dal partito di Alfano NCD è stata la proposta d’inserire le detrazioni fiscali per chi manda i figli alle scuole paritarie . Il osto complessivo potrebbe arrivare a 3-3,5 miliardi . Un costo equivalente a quanto stanziato dal governo nella legge di stabilità per il 2015 e 2016 a copertura del piano di assunzione dei precari. Assunzioni che giorno dopo giorno si riducono sempre più. Non più 148mila come risultava dal progetto iniziale sulla Buona Scuola ma 120mila…. Con molta probabilità verrà abbassata la soglia delle assunzioni o nella migliore delle ipotesi verrà diluita nel tempo mentre i benefici fiscali per le paritarie si attesteranno a quanto oggi è più o meno previsto per gli asili-nido. Così la tenuta della maggioranza di governo è salva mentre se il Parlamento, come è prevedibile, non sarà in grado di licenziare il disegno di legge di riforma della scuola entro giugno, cioè in tempi utili per fare le assunzioni, ecco che “ il dittatorello” a quel punto avrà vinto la sfida… Come promesso!
E per tutti quei precari che resteranno fuori dalle stabilizzazioni c’è l’indennizzo e il contenzioso….
www.orizzontescuola.it – 6 marzo 2015
“GaE soppresse non svuotate, residui faranno concorso, contentino II fascia, sospensione assegnazioni provvisorie. Cosa non è piaciuto della bozza riforma”
░ Di Lalla.
La bozza di quello che avrebbe dovuto essere il decreto del 3 marzo ha lasciato molti scontenti e qualcuno pensa sia un bene non aver portato in Consiglio dei Ministri un "pasticcio" del genere. … Il mantra "svuotare le graduatorie ad esaurimento" lo sentiamo ripetere dalla scorsa estate e a dire la verità il Governo lo ha messo nero su bianco nel documento La Buona Scuola del 3 settembre. Ma svuotare dovrebbe significare assumere tutti. A conti fatti, attraverso un censimento interno agli Uffici Scolastici, il Ministero ha capito che non ce l'avrebbe fatta per alcune classi di concorso (non è stato chiarito quali e in quali percentuali) e ha escogitato la soppressione sì delle graduatorie ad esaurimento dal 1° settembre 2015, ma riservando nel prossimo concorso una quota di posti a coloro che non potranno essere assunti. Dunque, ci sarebbero docenti cancellati da una graduatoria, quella ad esaurimento… Si aggiunga a ciò la cancellazione dalle graduatorie ad esaurimento per coloro che, allo stato attuale iscritti con riserva in attesa del conseguimento del titolo abilitante, non riuscissero a scioglierla entro il 30 giugno 2015.
Nulla viene detto invece per coloro che sono iscritti con riserva per ricorso pendente, in attesa di giudizi di merito da parte dei tribunali.
I fascia graduatorie di istituto. Secondo il piano del Mnistero continuerebbe ad esplicare la propria efficacia fino all'a.s. 2016/17 incluso, per i soli soggetti non assunti nel piano straordinario di immissioni in ruolo 2015. La misura è colma. I docenti, riuniti nel gruppo Facebook “GaE in ruolo: non uno di meno. Lettera a deputati e senatori” non mancheranno di far sentire la propria voce.
Dimenticati, nella bozza i docenti iscritti nelle Graduatorie del concorso 1999, ancora in piedi per quelle classi di concorso non reiterate nel concorso 2012. Di tali graduatorie si parla a proposito della soppressione, ma non dell'assunzione! Calpestato con un colpo di spugna (pardon avrebbe dovuto essere un decreto legge) il diritto degli aspiranti inseriti in più graduatorie di merito del concorso 2012 a ricevere più proposte di nomina, in relazione alla posizione acquisita in ciascuna. Peccato che l'attuale normativa preveda la cancellazione dei docenti già di ruolo dalle graduatorie ad esaurimento, ma non da quelle del concorso. Il contentino per i docenti delle graduatorie di istituto. Un contratto "ponte" per l'a.s. 2015/16 (è accertata la necessità di supplenze per matematica, lettere A043, lingue) in attesa del concorso, nel quale sarebbe prevista una quota di posti riservata a chi possa vantare più di 36 mesi di servizio svolti su posto vacante e disponibile nella scuola statale, ma solo nell'arco temporale tra l'a.s. 2009/10 e il 2014/15 (naturalmente potranno partecipare tutti gli abilitati e i non abilitati entro a.a. 2001/02 Concorso a cattedra. Bando entro 1° ottobre 2015, posti riservati per esclusi da assunzioni GaE e GI con 36 mesi, graduatorie valide max 3 anni). I precari manifesteranno al Miur il 17 marzo, in occasione dello sciopero indetto dal sindacato Anief.