Ai lavoratori che non hanno osservato l’obbligo vaccinale contro il Covid non dovevano essere comminate rigide sanzioni, che hanno fatto venire meno “doveri di solidarietà sociale incombenti su ciascun individuo”, mentre invece andava loro corrisposto l’assegno alimentare: lo si legge da nuova ordinanza del Tar Lazio (la 723/2022) di remissione in Corte costituzionale per violazione degli articoli 2, 3, 32 della Carta fondamentale dello Stato e per la mancata corresponsione dell'assegno alimentare. Lo stesso assegno, si legge nell’Ordinanza, che viene “generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari” al fine di “far fronte ai loro bisogni alimentari primari”.
Il ricorso era stato promosso da una guardia carceraria nei confronti del ministero della Giustizia. Ed ora può esteso a tutti i dipendenti della PA. I legali di Anief intervenuti ad adiuvandum per il personale scolastico inadempiente potranno costituirsi nel giudizio alla Consulta dove in autunno sarà discussa la questione di legittimità delle norme punitive imposte nei confronti dei dipendenti pubblici: sono nella scuola sono 5 mila i lavoratori interessati all’esito di questa vicenda.
“Mentre inizia la campagna elettorale che porterà alle elezioni di fine settembre – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - anche il nostro sindacato può a questo punto costituirsi in Consulta sull'obbligo vaccinale grazie alla nuova ordinanza del Tar Lazio. Si tratta di un primo risultato, in cui abbiamo sempre creduto benché fossimo l’unico sindacato della scuola a produrre questa difficile battaglia di giustizia con specifico ricorso. Un grazie speciale va agli avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli, Nicola Zampieri, Salvatore Russo, Raffaella Lauricella che hanno seguito questo contenzioso”.
L’ORDINANZA DEL TAR LAZIO
00723/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
ha pronunciato la presente
(Sezione Quinta) ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 723 del 2022, proposto da ........., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Parenti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie 114;
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di ad adiuvandum:
ANIEF (Associazione Professionale e Sindacale), in persona del legale rappresentante pro tempore, e ......, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Nicola Zampieri, Fabio Ganci, Walter Miceli, Salvatore Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- del decreto legge 26.11.2021, n. 172, recante “Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali”;
- del decreto legge del 21.09.2021, n. 127 recante “Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening”;
- del decreto legge 01.04.2021, n. 44, recante “Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”;
- della legge del 28.05.2021, n. 76;
- della legge del 23.07.2021, n. 106;
- del d.l. del 07.01.2022 n.1;
- di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, antecedente o successivo, ancorché non conosciuto;
nonché per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa;
Considerato
- che analogamente l’ANIEF sarebbe legittimata ad intervenire in quanto titolare di un proprio interesse qualificato a contrastare la discriminazione operata dall’art. 4ter del d.l. n. 44/21 nei confronti del personale non vaccinato, in quanto organizzazione sindacale riconosciuta maggiormente rappresentativa a livello nazionale nel Comparto Istruzione e ricerca, ai cui dipendenti il contestato art. 4 ter ha pure esteso l’obbligo vaccinale.
5.1. Va preliminarmente premesso e debitamente considerato come il d.l. n. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, d.l. n.. 44/2021), nell’ambito di una situazione sanitaria nazionale emergenziale che certamente presenta caratteri di novità e di straordinarietà.
Tuttavia la disposizione impugnata sembra porsi in conflitto, o comunque evidenzia profili di scarsa compatibilità con i principi desumibili dagli artt. 2, 3, 32 comma 2, Cost., nella misura in cui le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato, appaiono oggettivamente sbilanciate se ricondotte nell’alveo della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, avuto anche riguardo alla natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 giugno 2015, n. 2939; T.A.R. Lombardia. Milano, Sez. I 16 maggio 2002, n. 2070), generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari.
Il diritto al lavoro, infatti, è considerato valore fondativo della Repubblica riconosciuto nell’ambito dei “principi fondamentali” della Carta costituzionale (artt. 1, 4) nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione dell’individuo all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3. Co. 2, Cost.), potendo così egli concorrere al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4), e costituisce il mezzo per assicurare alla persona - secondo principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione - il diritto fondamentale di vivere un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.)
La disposizione in esame, allora, nel precludere al personale della Polizia Penitenziaria non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa (escludendo in radice l’adozione di soluzioni alternative quali ad esempio: la sottoposizione del dipendente ad un rigido sistema di controllo tramite test periodici di rilevazione del virus; l’assegnazione a mansioni diverse non a contatto con il pubblico o i colleghi, forme di lavoro da remoto, etc.), impedisce allo stesso di fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle proprie primarie esigenze di vita; sicché non può che esporsi al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, ad eccessivo detrimento del valore della dignità della persona, con possibile violazione, oltre che dell’art. 2, anche dell’art. 3 Cost.
In particolare l’art. 2 Cost. stabilisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Anche a fronte dei sanciti doveri di solidarietà sociale incombenti su ciascun individuo, nei quali può farsi rientrare l’obbligo vaccinale, la norma costituzionale nel prevedere una particolare tutela dell’individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (tra cui rientrano i luoghi di lavoro), non sembra consentire l’adozione di misure che gli precludano ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita e che, pertanto, finiscono inevitabilmente per ledere la dignità della persona.
Va infatti considerato che il pubblico dipendente sospeso ex art. 4 ter d.l. n. 44/2021, non può accedere a quegli istituti che tutelano i lavoratori privati in caso di perdita dell’occupazione, quale, ad es., l’indennità di disoccupazione, essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato, sicché lo stesso perde ogni possibilità di far fronte alle esigenze primarie della sua esistenza e del suo nucleo familiare, non potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporale particolarmente rilevante, da ultimo prorogato fino al 15 giugno 2022.
Sicché non appare implausibile ritenere che le disposizioni in esame finiscano di fatto per trasmodare in una sorta di coercizione indiretta all’adempimento dell’obbligo, ponendo il lavoratore renitente di fronte all’alternativa di doversi suo malgrado sottoporre alla vaccinazione da egli avversata, ovvero subire uno stato di prolungata indigenza e di significativa compressione del suo abituale tenore di vita. Dunque introducendo ulteriori dubbi di costituzionalità rispetto all’art. 32, co. 2, Cost. il quale dispone che, anche nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
5.2. Vengono in rilievo le seguenti altre considerazioni.
L’obbligo di sottoporsi a trattamento sanitario costituisce un’eccezione rispetto al principio sancito dall’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria (Cass. civ., Sez. III, 5 luglio 2017, n.16503); e indipendentemente da ogni questione relativa alla reale efficacia, o alla disputa tra vantaggi e presunti svantaggi, della vaccinazione contro il Covid-19, è un dato di comune esperienza che qualsiasi pratica sanitaria o farmacologica, sia pur correttamente praticata, comporta comunque dei possibili rischi per la salute, che in taluni casi possono rivelarsi anche gravi.
Tanto che in seno allo stesso d.l. n. 44/2021 il legislatore, con l’art.3, ha ritenuto di dover espressamente escludere la responsabilità penale degli operatori medici per fatti conseguenti alla somministrazione del vaccino in tutti i casi in cui “... l'uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.
Sicché deve rilevarsi come l’impianto normativo nel suo complesso, da un lato si faccia carico di disporre norme di salvaguardia penale in favore del personale medico, mostrando così di considerare tangibile la possibilità che la vaccinazione possa comportare rischi (per quanto statisticamente marginali) per la salute; dall’altro lato nega contraddittoriamente e in modo assoluto ogni sostegno economico al dipendente che, non volendo accettare quei rischi, rifiuti di sottoporsi all’obbligo vaccinale ex art. 4 ter d.l. n. 44/2021, esprimendo così una libera scelta in materia sanitaria che certamente può essere opinabile ma che, in quanto tale, non è censurabile a livello disciplinare, come espressamente riconosciuto dalla norma stessa.
In definitiva la norma in esame sembra confliggere con l’art. 32, co. 2, Cost. ponendo il pubblico dipendente che voglia esercitare il diritto di liberamente determinarsi in materia sanitaria, di fronte alla alternativa di non poter assicurare a sé ed alla propria famiglia neppure i mezzi di sostentamento minimi ed indispensabili, e di non poter far fronte ai propri impegni economici (nel caso in esame il ricorrente si duole di non essere in grado di pagare la rata mensile del prestito ottenuto); laddove la norma costituzionale in esame prevede, invece, che nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Non appare ultroneo osservare come il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale non è considerato dallo stesso legislatore come atto penalmente o disciplinarmente rilevante (art. 4 ter, comma 3, d.l. n. 44/2021) e, tuttavia la disposizione in esame non soltanto preclude al dipendente di svolgere la propria prestazione lavorativa a seguito della sospensione, con conseguente perdita della retribuzione, ma lo priva perfino della fruizione di quegli istituti, come l’assegno alimentare, che gli verrebbero invece garantiti laddove fosse sospeso poiché coinvolto in un procedimento penale e disciplinare, con misure anche restrittive della libertà personale, e dunque per procedimenti riguardanti il suo coinvolgimento in reati anche di oggettiva gravità.
5.3. Sotto quest’ultimo profilo, l’art. 4 ter d.l. n. 44/2021, nello stabilire che
“durante tale periodo non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento comunque denominati, anche di natura previdenziale”, sembra infatti sancire l’impossibilità del lavoratore sospeso di accedere anche a forme di assistenza minime, come quella dell’assegno alimentare (comunque denominato), e sembra allora integrare un’ulteriore violazione dell’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e per irragionevolezza, posto che impedisce anche l’applicazione di quelle misure di sostegno che l’ordinamento ha sempre riconosciuto persino in caso di sospensione cautelare del lavoratore, laddove quest’ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver commesso) determinati fatti costituenti reato, idonei a determinare anche l’irrogazione di sanzioni disciplinari.
A tal riguardo, il ricorrente lamenta, ad esempio, che gli art. 914 e seguenti del d.lgs. n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare) prevedono che l’ente di appartenenza sospenda (in via precauzionale, obbligatoria o facoltativa) il militare imputato di un reato da cui possa derivare la perdita del grado, o il militare sottoposto ad arresto o qualsiasi altra misura cautelare; e tuttavia, l’art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 rubricato “Norme comuni in materia di sospensione dall'impiego” prevede comunque che: “Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il
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tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà”.
Ma vengono in evidenza anche altre disposizioni normative:
- l’art. 82 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, secondo cui “All'impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia”;
- l’art. 500 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297, recante il testo unico del personale scolastico, contenente analoga disposizione anche in materia di sospensione disciplinare;
- gli artt. 10, 21, co. 4, e 22 co. 4, del d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, i quali contengono la previsione dell’erogazione dell’assegno alimentare sia nelle ipotesi di sospensione disciplinare (art. 10 d.lgs. 109 cit.), sia nelle ipotesi di sospensione cautelare, obbligatoria o facoltativa (artt. 21, co. 4 e 22 co. 4 d.lgs. 109 cit.).
- la contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato ex art. 2, co. 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, competente a regolare “la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni”, ex art. 55, co.2 D.lgs. 165/2001, prevede l’assegno alimentare nei casi di sospensione cautelare del dipendente, anche laddove quest’ultima si protragga per un notevole arco temporale, in quanto disposta in attesa degli esiti di un procedimento penale, e dunque anche per fatti ritenuti di oggettiva gravità e disvalore.
5.4. Per tutto quanto precede la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione previste dalla norma in esame appaiono conseguenze sproporzionate e in contrasto con l’art.3 Cost.
Si tratta, infatti, di conseguenze che per la loro portata sono suscettibili di vulnerare i diritti fondamentali della persona, eppure correlate ad una condotta (il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale) non integrante né illecito penale, né illecito disciplinare; e che pertanto sembrano integrare una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quei lavoratori sospesi perché coinvolti in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità ed ai quali, invece l’ordinamento riconosce l’assegno alimentare per far fronte ai loro bisogni alimentari primari.
- Conclusivamente questo Tribunale , ai sensi dell’art. 23 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 ter, comma 3, del d.l. n. 44/2021 (articolo inserito dall'articolo 2, comma 1, del d.l. 26 novembre 2021, n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3) nella parte in cui prevede, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione ..., per contrasto con gli artt. dagli artt. 2, 3, 32 comma 2, Cost., della Costituzione, e comunque sotto il profilo della mancata previsione di un assegno alimentare per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
- Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., con trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.
- Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese, è riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta):
- visto l’art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 ter, commi 1 e 3, del d.l. n. 44/2021 (articolo inserito dall'articolo 2, comma 1, del d.l. 26 novembre 2021, n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3) nella parte in cui prevede, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione ..., per contrasto con gli artt. 2, 3, 32 comma 2, Cost.,della Costituzione, e comunque sotto il profilo della mancata previsione di un assegno alimentare per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
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