M.G.S., classe 1973, laureata in Giurisprudenza e residente a Ghilarza, in provincia di Oristano, è un caso emblematico di ciò che stanno vivendo tantissimi maestri che a settembre si ritroveranno fuori dalle GaE, senza contratto annuale garantito e con la sola prospettiva di sottoscrivere contratti di breve durata: dopo una lunghissima gavetta, nel 2017 è stata assunta a tempo indeterminato con riserva in un istituto di Isili, in provincia di Cagliari, a 75 chilometri dalla propria residenza, affrontando ben tre ore di viaggio quotidiano in auto. La donna nel frattempo è stata sottoposta ad un delicatissimo intervento, in seguito al quale è stata riconosciuta invalida civile. Con il prossimo licenziamento, però, tornerà tutto in discussione.
Anief ha realizzato un’intervista alla maestra quarantacinquenne, sposata e con una figlia a carico: vuole rendere pubblico cosa accadrà nei prossimi mesi a tanti maestri che per anni, dopo essersi formati a loro spese ed essersi presi le loro responsabilità di formatori, ora rischiano fortemente di tornare a fare supplenze per pochi giorni. E di non entrare più in ruolo nei prossimi 30 anni (come ha calcolato in questi giorni Tuttoscuola). Il sindacato diffonde ciò perché continua a chiedere con insistenza la riapertura delle GaE, tramite l’emendamento LeU al decreto Milleproroghe già approvato in Senato: una proposta salva-precari decisiva, a favore della quale Anief ha decretato di scioperare e manifestare l’11 settembre prossimo, giorno del suo approdo alla Camera per l’esame finale.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Quanto descritto dalla maestra sarda, iscritta al nostro sindacato e che tuteleremo in tutte le forme e modalità possibili, costituisce l’emblema dell’ingiustizia di fondo che governa la decisione del Governo e dei parlamentari sui diplomati magistrale, attuata attraverso il Decreto Dignità. La salvaguardia di un posto di lavoro, in certi casi, deve andare oltre a delle sentenze palesemente di carattere politico, che peraltro hanno contraddetto ben otto espressioni opposte enunciate dallo stesso Consiglio di Stato. Un maestro che ha affrontato anni e anni di sacrifici, immesso in ruolo, con responsabilità familiari e figli a carico, peraltro con un alto senso del lavoro, vale di più di una data o un timbro. Se poi rientra nelle categorie protette, nemmeno si dovrebbe porre il dubbio. Noi continueremo a dirlo fino alla noia: la soluzione è a portata di mano, non ve sono altre, ed è quella di riaprire le GaE. Ci sono due precedenti, del 2008 e del 2012, per i quali nessuno si è scandalizzato o rivolto a chissà quale organo di giustizia per opporvisi. Chiudere la porta a 160 mila docenti non farà altro che incrementare il ricorsificio.
Tra i 40 mila diplomati magistrale che a settembre si ritroveranno fuori dalle GaE, senza contratto annuale garantito e con la sola prospettiva di poter sottoscrivere contratti di breve durata, da graduatoria d’istituto, ci sono maestri tutt’altro che giovani che hanno fatto anni e anni di supplenze, poi hanno preso il ruolo lontano da casa e sono anche invalidi. E presto si troveranno con un pugno di mosche in mano. Come M.G.S., classe 1973, laureata in Giurisprudenza e residente a Ghilarza, in provincia di Oristano: dopo una lunghissima gavetta, nel 2017 è stata assunta a tempo indeterminato con riserva in un istituto di Isili, in provincia di Cagliari, a 75 chilometri dalla propria residenza, affrontando ben tre ore di viaggio quotidiano in auto. La donna nel frattempo è stata sottoposta ad un delicatissimo intervento, in seguito al quale è stata riconosciuta invalida civile. Con il prossimo licenziamento, però, tornerà tutto in discussione, perché, alla luce dell’esiguo numero di cattedre da assegnare ai ruoli decise con il Decreto Dignità appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale - solo 12 mila posti a fronte di quasi 100 mila candidati - , la percentuale prevista per le categorie protette potrebbe non bastare per riacciuffare il contratto a tempo indeterminato.
Anief ha realizzato un’intervista alla maestra quarantacinquenne, sposata e con una figlia a carico: vuole rendere pubblico cosa accadrà nei prossimi mesi a tanti maestri che per anni, dopo essersi formati a loro spese ed essersi presi le loro responsabilità di formatori, ora rischiano fortemente di tornare a fare supplenze per pochi giorni. E di non entrare più in ruolo nei prossimi 30 anni (come ha calcolato in questi giorni Tuttoscuola). Il sindacato diffonde ciò perché continua a chiedere con insistenza la riapertura delle GaE, tramite l’emendamento LeU al decreto Milleproroghe già approvato in Senato: una proposta salva-precari decisiva, a favore della quale Anief ha decretato di scioperare e manifestare l’11 settembre prossimo, giorno del suo approdo alla Camera per l’esame finale.
INTERVISTA
Quando ha iniziato a fare la maestra?
Mi sono diplomata giovanissima, non avevo ancora compiuto 18 anni; ho poi fatto l’anno integrativo, non avevo deciso se continuare o meno gli studi universitari. In quel momento di indecisione, mi sono iscritta nelle graduatorie d’istituto. Premetto che quando ho deciso di intraprendere questo percorso di studi, il diploma era riconosciuto come abilitante: mi sono detta “faccio questo percorso perché mi abilita a una professione”. La mia scelta era orientata, sin dall’inizio, a questo. Nel frattempo, ho fatto anche altri lavori che esulano dal mondo della scuola. La mia prima supplenza risale al 1994: da allora sono nelle graduatorie d’istituto. Inizio dunque a fare le supplenze. Nel 2000 faccio uno degli ultimi concorsi, supero il concorso per la scuola dell’infanzia ed entro subito a pieno titolo nelle GaE.
Ha quindi iniziato a lavorare con continuità?
Sì, ma nell’incongruenza: non venivo chiamata per la scuola dell’infanzia, ma per quella primaria. E cosa avrei dovuto fare? Rinunciare al lavoro? No, ho preso tutto quello che capitava. Sono sempre andata a dare supplenze, anche per un giorno; per alcuni anni non mi hanno nemmeno chiamata. Nel frattempo mi sono formata, ho fatto altro. C’è stato poi un momento di stasi in cui non venivo chiamata da nessuna parte e ho deciso di iscrivermi all’università: arrivo alla laurea in Giurisprudenza. Ritornano a chiamarmi a scuola e, volendo non lasciare la carriera universitaria, decido di dedicarmi all’una e all’altra attività, cercando di conciliarle. Non era facile, vivendo in un piccolo paesino con mezzi pubblici molto limitati. Andavo all’università e lavoravo, l’ho fatto per tanti anni.
Però continua a fare supplenze nel primo ciclo scolastico?
Sì. E credo di aver subito già un primo torto, perché ero nella terza fascia delle graduatorie d’istituto, quando invece, con il diploma abilitante, non avrei dovuto essere in quella postazione. In tutti questi anni, all’infanzia mi chiamavano sempre meno. Prendevo tutte le supplenze che venivano: ho sempre lavorato nella scuola pubblica, non mi sono mai tirata indietro. Ho sempre fatto la gavetta, sono andata da una parte all’altra. Ho fatto corsi di aggiornamento.
Fino a quando non è stata collocata nelle GaE…
Dal 2000 sono stata inserita nelle graduatorie ad esaurimento a pieno titolo. Anche io sono precaria per l’infanzia: sono sempre stata una ‘tappabuchi’. Per due anni sono stata iscritta anche nelle graduatorie d’istituto in Veneto, dove ho lavorato. Poi sono dovuta tornare per problemi familiari e personali.
Cosa è accaduto negli ultimi 12 mesi?
L’anno scorso mi arriva il ruolo per la scuola primaria: cosa avrei dovuto fare? Essendo precaria da tanti anni, davanti alla prospettiva di un’immissione in ruolo, seppur condizionata, ho accettato.
Ed ora cosa accadrà?
Siccome il mio ruolo era condizionato ad una sentenza del Consiglio di Stato, arrivata a dicembre contraddicendo quello che lo stesso organo di giustizia aveva espresso svariate volte, l’amministrazione mi depennerà dal ruolo e dalla graduatoria, le GaE, in cui sono inserita a pieno titolo: solo per quest’anno, mi dicono, mi trasformeranno in contratto da tempo indeterminato a tempo determinato.
Cosa si sente di chiedere a chi sta decidendo il suo futuro?
Rivoglio almeno la posizione che avevo prima nelle GaE. Ho fatto tutti i giorni tre ore di viaggio, ho superato l’anno di prova, sono stata assunta come riservista con la legge 68/99 che tutela le categorie protette, ma oggi mi devo sentire dire: certo, hai superato tutto, c’è stata una valutazione da parte del comitato di valutazione, ma ora è tutto cancellato. Anche la permanenza nelle GaE. Non è giusto.
Ha dei rimpianti?
Certo, c’è il cruccio di avere vinto un concorso nella scuola dell’infanzia: non avessi accettato il ruolo che mi hanno proposto l’anno scorso quest’anno sarei passata a pieno titolo all’infanzia. Perché se non avessi accettato il ruolo alla primaria l’anno scorso, mi sarei risparmiata l’anno di prova a tanti chilometri da casa e avrei preso l’incarico perché sono stata chiamata dalla graduatoria di seconda fascia, qui a 5 minuti da casa. E forse sarei passata di ruolo sempre sull’infanzia. Invece, sono stata sottoposta a una grandissima fonte di stress, dopo la delicata operazione che ho subito, ma ho affrontato tutto.
Ha usufruito di un lungo periodo di malattia?
No. Dopo l’intervento, sarei potuta rimanere a casa, retribuita, ma per il mio senso civico ho ripreso servizio dopo due mesi dall’operazione. Anche contro il parere del mio medico, perché ho coscienza: sì, faccio le cose con coscienza. C’erano giorni in cui uscivo da casa alle 7 del mattino e tornavo alle 21.30. L’ho fatto spinta dal mio senso civico e dalla responsabilità che sentivo nei confronti dei bambini, a cui sono molto affezionata.
Come si ritroverà ora a livello di supplenze?
Male, perché l’amministrazione mi ha detto che non potrò integrare il punteggio: è come se quest’anno non avessi prestato servizio, come se non avessi fatto l’anno di prova. Questo significa anche non avere considerazione per le persone che sono state accanto a me in questo anno, formandomi, come la dirigente, che stimo enormemente, e la tutor. Oltre a essere state pagate hanno investito in me tempo ed energie.
Al governo dicono che si sta applicando quanto deciso dalla magistratura.
Io rispondo che serve equità e la legge è uguale per tutti. Perché in molti casi, laddove la sentenza è passata ingiudicata, il ruolo è stato confermato. E ora sono in ruolo, avendo in molti casi anche un titolo di studio inferiore rispetto al mio. Perché adesso ho anche laurea, oltre ad anni di gavetta ed avere lavorato sempre nel mondo nella scuola. A questo punto penso anche che se il governo crede che nel 2019 non avrò il ruolo, forse è meglio mandarmi a casa ora, non dopo che si risolveranno problemi non miei, facendomi lavorare ancora su un posto che non mi spetta più. Meglio, forse, iniziare a lavorare con la laurea, finora tenuta nel cassetto.
Cosa si aspetta dal governo?
Si deve trovare una soluzione equa per tutti e si deve valutare anche il percorso svolto a questo punto. Il pensiero dei giudici non può essere uguale per alcuni e non per altri. Si deve usare la stessa misura. Alcune colleghe mi hanno detto che non tutte sarebbero ritornate a lavoro dopo le mie vicissitudini legate alla salute, ancora di più con una bambina piccola da accudire.
Quando sarà licenziata, cosa farà?
Farò ricorso, perché è stato creato un danno: voglio la posizione in GaE e farò valere la mia riserva. Ci dovrebbero essere delle quote riservate per invalidità. Ma è tutto da vedere se rientrerò in questo sotto-contingente. C’è un altro aspetto importante da valutare, per un altro danno che mi è stato fatto: sempre come riservista, in quest’ultimo anno sono stati pubblicati molti altri concorsi, a cui io avrei potuto accedere con la mia laurea ma non ho potuto perché avevo già il ruolo. Quello che ora mi verrà tolto. Quindi, oltre il danno ho incassato anche la beffa.
Cosa chiede al governo?
Non si possono usare due pesi e due misure, le regole devono essere uguali per tutti: io ho scelto di lavorare con il diploma magistrale perché abilitante. L’equità e la giustizia sociale devono essere alla base di tutte le decisioni del governo: non si può discriminare tutto, così in base a una sentenza. Leggo i commenti del Ministro Marco Bussetti: le sentenze vanno rispettate; va bene, ma ce ne sono anche di precedenti a questa che davano ragione a noi. E quelle non vanno ascoltate? Semmai, c’è stato un eccesso di Giurisprudenza.
Quindi non si arrende?
Quello mai. Nonostante tutte le disavventure sono una donna fortunata, ho un marito che mi sostiene e una bambina adorabile.
IL COMMENTO
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretari confederale Cisal, “quanto descritto dalla maestra sarda, iscritta al nostro sindacato e che tuteleremo in tutte le forme e modalità possibili, costituisce l’emblema dell’ingiustizia di fondo che governa la decisione del Governo e dei parlamentari sui diplomati magistrale, attuata attraverso il Decreto Dignità. La salvaguardia di un posto di lavoro, in certi casi, deve andare oltre a delle sentenze palesemente di carattere politico, che peraltro hanno contraddetto ben otto espressioni opposte enunciate dallo stesso Consiglio di Stato. Un maestro che ha affrontato anni e anni di sacrifici, immesso in ruolo, con responsabilità familiari e figli a carico, peraltro con un alto senso del lavoro, vale di più di una data o un timbro. Se poi rientra nelle categorie protette nemmeno si dovrebbe porre il dubbio. Invece, non è così”.
“La verità è che un Paese dove i cittadini vengono prima di tutto – continua il sindacalista autonomo – non avrebbe mai permesso di abbandonare al loro destino, alla casualità delle prossime graduatorie di riservisti, dei maestri che chiedono solo di svolgere il loro lavoro. Noi continueremo a dirlo fino alla noia: la soluzione è a portata di mano, non ve sono altre, ed è quella di riaprire le GaE. Ci sono due precedenti, del 2008 e del 2012, per i quali nessuno si è scandalizzato o rivolto a chissà quale organo di giustizia per opporvisi. Fare il contrario, chiudere la porta a 160 mila docenti, non farà altro che incrementare il ricorsificio, cercato da chi non vuole soccombere all’ennesima decisione assurda a danno dei lavoratori incolpevoli”.
PER APPROFONDIMENTI:
Diplomati magistrale, Bussetti: le sentenze vanno rispettate. Anief: senza eccezioni, pure quelle UE