Scuola: Aggiornamenti in progress – lunedì 5 maggio 2014

° INVALSI: I test, da domani. Purtroppo, non si prospetta l’inversione della linea.
Almeno, a stare alle dichiarazioni rese dalla presidente al Corrieredellasera.it.: la Ajello si propone di vincere “la resistenza dei docenti” con una lettera. Per dare legittimità alla ricaduta che la prova INVALSI ha sul voto dell’esame conclusivo del I ciclo, dovrebbe depotenziare l’autonomia delle scuole e la libertà di insegnamento.
Le prove di italiano e matematica alle elementari e medie si terranno dal 6 al 13 maggio; e fin qui, siamo entro i confini delle funzioni statistiche dell’INVALSI. Purtroppo, però, l’Istituto non annunzia novità per la terza prova scritta dell’esame conclusivo del I ciclo. Allora ci ripetiamo. La valutazione didattica degli alunni è prerogativa professionale dei docenti presupponendo specifiche competenze psicopedagogiche e disciplinari; quella che l’INVALSI effettua rilevando i livelli di apprendimento attraverso prove standard nazionali segue metodologie peculiari che presuppongono competenze di analisi statistica. L’una non deve interferire con l’altra. Siamo dinanzi a reciproci negativi: da un lato la comparabilità internazionale tra sistemi scolastici, dall’altro l’efficacia didattica e docimologica. Nell’immagine di una linea, poniamo agli estremi: l’insegnante (che garantisce l’efficacia docimologica), e lo statistico (che garantisce la comparabilità tra i sistemi). I due ordini di valutazioni non sono commisurabili: ove producano valutazioni differenti, sugli stessi alunni, non ha senso ritenere che le une o le altre siano errate, e non ha senso che gli insegnanti pieghino la didattica al Teaching for test. La valutazione degli alunni che si produce nella relazione educativa è un’attività su “realtà di fatto” contestualizzate con riferimento alla persona dell’allievo (alle condizioni sociali ed economiche, alle caratteristiche del rapporto didattico e dell’ambiente educativo, alle risorse strumentali, alla progettazione dell’offerta formativa). La valutazione degli alunni effettuata dagli statistici mediante strumenti standard è, invece, attività di ricerca che deve monitorare il sistema educativo, il rapporto costi-benifici nella gestione delle scuole e nell’investimento pubblico, l’efficacia delle politiche scolastiche. Questa utilissima ricerca, che nulla ha a che spartire con l’attività docimologica, è condotta con indicatori convenzionali scelti in funzione di modelli teorici che sono ipotesi interpretative; con una metafora: sono reti che pescano nell’oceano dei fatti. Ma veniamo alla questione essenziale: le disposizioni ministeriali per la Terza prova scritta dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo (di cui alla legge 25 ottobre 2007 n.176) sono contraddittorie: attribuiscono scopo statistico ai test (valutano il sistema scolastico, “non gli alunni”) ma anche stabiliscono che dall’a.s. 2009/2010 i test sono prova obbligatoria d’esame il cui punteggio incide per un sesto nella valutazione finale complessiva dei singoli alunni. A volte, le commissioni d’esame restano ostaggio dell’INVALSI: se l’esito dell’esame non rende giustizia agli alunni, le commissioni d’esame di Stato – pur formate, per una precisa ragione pedagogica, dai docenti del Consiglio di classe – non possono correlare l’esito delle prove d’esame al percorso educativo e formativo dello studente. Inoltre, il voto di ammissione all’esame non ha incidenza adeguata sul voto complessivo finale. E dire che una disposizione ministeriale raccomanda: “Il voto conclusivo sia frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico dei giovani candidati”. A nostro parere, la prova Invalsi per gli esami conclusivi del I ciclo va scorporata dall’esame di licenza, e l’INVALSI deve monitorare l’esame soltanto ai fini statistici. Più in generale, l’attività dell’INVALSI dovrebbe riguardare molteplici aspetti del sistema educativo monitorando non solo l’apprendimento degli alunni ma l’area del successo scolastico (tassi di frequenza e abbandono; percentuale di alunni che completano l’istruzione secondaria; diffusione di corsi di educazione post-secondaria, ecc..), e l’area dell’organizzazione scolastica e delle risorse (ad es., spesa per studente, produttività sociale dell’offerta formativa, Customer satisfaction). Dovendo i test monitorare gli obiettivi che i Collegi dei docenti programmano in riferimento alle Indicazioni nazionali e alle proprie scelte didattiche, occorre che l’Invalsi, nel rispetto delle finalità educative e della responsabilità didattica degli insegnanti, collabori con referenti eletti dai collegi docenti; potrebbero essere i membri del Comitato di valutazione dei servizi dei docenti (che è rimasto elettivo anche dopo che l’assetto scaturito dalla riforma Misasi è stato disattivato improvvidamente dal 1997 mentre si rafforzava autonomia scolastica). Gli insegnanti referenti collaborerebbero anche per le necessità organizzative connesse ai test, e notificherebbero al Collegio docenti i risultati restituiti dall’INVALSI ai fini dell’autovalutazione e il profilo longitudinale dei risultati delle rilevazioni. Realizzati “a campione”, i test INVALSI consentirebbero economie con le quali remunerare il lavoro degli insegnanti referenti (direttiva n.88 del 3 ottobre 2011, annullata dal governo del professore per antonomasia, Monti). L’INVALSI non dovrebbe, invece, essere coinvolto – se non per definire gli indicatori per la valutazione - nelle procedure di assegnazione agli insegnanti degli incentivi economici e di carriera legati al merito o alle performance di eccellenza e ai progetti innovativi.

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