Rifiorme

La riforma Fornero colpisce ancora: in pensione solo 17mila docenti e Ata, nel 2007 erano il triplo

Anief-Confedir: se non si approva una deroga per chi opera nel comparto dell’Istruzione entro qualche anno ci ritroveremo con una quantità industriale di insegnanti ultra 60enni demotivati e stanchi. E se proprio dobbiamo tenerli in servizio, si dia loro la possibilità di fare da tutor o formatori delle giovani leve.

Nella scuola gli effetti della riforma Fornero si confermano devastanti: quest’anno l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile, in particolare delle donne, che nella scuola costituiscono più dell’80% del personale, con migliaia di ‘Quota 96’ illegittimamente stoppati, porterà alla pensione appena 13.380 insegnanti e 3.697 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari: in tutto saranno 17mila. Se rispetto al 2013 si registra un incremento di circa il 20%, quelli emessi dal Miur sono numeri davvero modesti. Che non favoriranno quel turn over fisiologico indispensabile in un contesto lavorativo contrassegnato da over cinquantenni e oltre 140mila precari annuali, quasi la metà di tutta la pubblica amministrazione.

Per comprendere la modesta portata dei pensionamenti concessi da Viale Trastevere, basta prendere come riferimento quelli che si realizzarono nel 2007, quando furono più di 51mila le cessazioni di servizio dei dipendenti della scuola: praticamente il triplo di quelle che si concretizzeranno quest’anno. Si tratta di numeri eloquenti. Che dimostrano quello che l’Anief sostiene da quando è stata approvata la riforma Fornero attraverso il decreto legge n. 201, del 6 dicembre 2011, convertito con la legge n. 214 del 22 dicembre 2011: la scuola italiana doveva adottare la riforma pensionistica in modo graduale.

E siccome il Parlamento continua a far prevalere gli interessi ragionieristici a quelli del buon senso, il quadro che ci aspetta è davvero grigio: con i docenti più vecchi dell’area Ocse, i precari assunti alle soglie dei 40 anni e le nuove norme che permettono di lasciare il servizio per la pensione non prima dei 65 anni, le 8.400 scuole pubbliche italiane saranno sempre più affollate di personale docente e amministrativo stanco e demotivato.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, è la conferma che “la scuola necessita di una deroga rispetto alle nuove norme che regolano l’uscita dal mondo del lavoro: il Parlamento italiano, durante il Governo Monti, ha creato un meccanismo infernale che entro qualche anno produrrà una quantità industriale di insegnanti ultra 60enni. Pensiamo per un attimo alle maestre della materna, che si occupano di bambini di 3-4 anni. Senza dimenticare che a questi insegnanti attempati, dal 2010 lo Stato ha bloccato gli aumenti, dando loro stipendi quasi da fame. Come si fa a parlare di scuola di qualità in queste condizioni?”.

In mancanza di una modifica alle norme pensionistiche, il sindacato ritiene indispensabile dare la possibilità a chi ha svolto 25-30 anni di insegnamento di rimanere in servizio con ruoli alternativi a quelli della didattica frontale: un docente con tanta esperienza alle spalle dovrebbe avere l’opportunità di attuare compiti diversificati.

“I docenti alle soglie della pensione – continua Pacifico – potrebbero essere impiegati come tutor, formatori o supervisori dei giovani docenti. Oppure come orientatori per gli studenti. Sono delle soluzioni, già praticate con fortuna in diversi Paesi, che permetterebbero ai docenti rimasti in servizio, loro malgrado, di poter mettere a disposizione la tanta esperienza accumulata negli anni a favore dei colleghi inesperti. Ma anche degli alunni, fornendogli quella assistenza in fase di scelta dei nuovi corsi, che risulterebbe decisiva per abbattere quell’abbandono scolastico che in Italia è cinque punti percentuali sopra la media Ue. Si darebbe infine di nuovo respiro al turn over, assumendo finalmente una quantità maggiore dei tanti precari abilitati e vincitori di concorso già inseriti nelle graduatorie e che – conclude il sindacalista Anief-Confedir - scalpitano per essere immessi in ruolo”.

 

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