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Riforma del mercato del lavoro: no dell'Anief a qualsiasi forma di arretramento dei diritti dei lavoratori

Riforma del mercato del lavoro: l’Anief adirà tutte le vie legali possibili, anche in sede di Corte di Giustizia Europea, per evitare l’attuazione di un modello che vanifica la tardiva applicazione dell’assunzione obbligatoria dopo 36 mesi di precariato con il licenziamento in tronco coperto da una finta cassa integrazione.

Nella riforma del mercato del lavoro, in queste ore al rush finale, sembra prendere corpo la norma che permetterebbe di far assumere a titolo definitivo il personale precario che per almeno 36 mesi ha lavorato con contratti a tempo determinato. Secondo l’Anief si tratta di un provvedimento tardivo e la cui attuazione verrebbe vanificata da un altro provvedimento contenuto nello stesso testo di riforma, su cui il Governo sta incredibilmente cercando di trovare l’accordo unanime con le parti sociali.

Il Governo italiano – sostiene Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – scopre solo ora, con 13 anni di colpevole ritardo, che un precario con 36 mesi di servizio alle spalle deve essere assunto a tempo indeterminato. Tuttavia, il prezzo da pagare è salatissimo: in caso di difficoltà economica - ovvero di soppressione, chiusura o accorpamento dei singoli enti/aziende – il personale di ruolo sarà infatti automaticamente licenziato. E il lavoratore espulso – continua Pacifico - verrà solo sorretto attraverso una finta cassa integrazione, pari a poco più di due anni di stipendio”.

Secondo il Presidente dell’Anief, quindi, la modifica dell’articolo 18 rappresenta un clamoroso arretramento dei diritti e delle garanzie contrattuali dei lavoratori italiani: “questa riforma – sottolinea Pacifico – immola la sacralità del diritto al lavoro, sancita della nostra Costituzione, sull’altare dei mercati finanziari”.

L’Anief adirà tutte le vie legali possibili, anche in sede di Corte di Giustizia Europea, per evitare l’attuazione di un modello di gestione che vorrebbe portare indietro nel tempo, quando i dipendenti non avevano diritti di reintegro lavorativo: “occorre assolutamente salvaguardare la crescita economica e sociale del nostro Paese che non può essere impoverita dal sacrificio di chi ogni giorno vive per il progresso della nazione”, conclude il Presidente del giovane sindacato.

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