Precariato

Il tribunale di Parigi reintegra due prof precari licenziati dall’Istituto italiano di Cultura, condannata la Farnesina

Un altro caso di abuso di reiterazione dei contratti a tempo determinato ben oltre i 36 mesi consentiti, sui cui i giudici d’oltre confine si pongono in modo perentorio: lo Stato italiano condannato a risarcire i contributi di 10 anni di precariato illegittimo.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): la sentenza transalpina conferma quanto il nostro sindacato sostiene da tempo, è finito il tempo di calpestare l’articolo 117 della Costituzione. E ripropone la mai risolta doppia questione sui mancati contributi versati al personale a tempo determinato, con il “buco” Inps da 23 miliardi, e sull’illegittima trattenuta del 2,5% a chi è stato assunto dopo il 2001.

L’Italia si deve rassegnare: la pessima abitudine dello sfruttamento del personale statale a tempo determinato, i cui contratti a tempo determinato vengono reiterati anche per decenni, sta arrivando al capolinea. L’ultima conferma è arrivata in queste ore, dalle pagine del “Fatto Quotidiano”, con un servizio – denuncia sulla richiesta dei giudici francesi allo Stato italiano di regolarizzare i contratti di due precari assunti per oltre 10 anni dall’Istituto italiano di Cultura a Parigi solo con contratti con scadenza semestrale: l’Italia è stata condannata a reintegrare i due insegnanti e a risarcirli dei contributi, mai versati, con delle quote che vanno dai 45 ai 50 mila euro. Il fatto che a tre anni di distanza, la sentenza non abbia ancora trovato applicazione, con i due precari arrivati alle soglie della pensione, non fa altro che aggravare la situazione di uno Stato, quello italiano, che si ostina a vivere nell’inadempienza.

Quel che conta è che i giudici francesi, applicando giustamente la normativa europea in materia, hanno stabilito che i supplenti devono essere stabilizzati e ricevere correttamente i contributi previdenziali e l’intero tfr, senza trattenute. Si tratta di una decisione davvero indicativa, che giunge proprio mentre cresce l’attesa dei 140 mila precari della scuola italiana sui contenuti del parere espresso dal procuratore generale Corte di Giustizia europea, il 27 marzo scorso, proprio sull’abuso di contratti a termine perpetrato nel nostro paese. Perché quella sentenza potrebbe fare giustizia, una volta per tutte, dopo che la Cassazione si è espressa esattamente all’opposto malgrado la maggior parte dei giudici del lavoro italiani abbia espresso parere favorevole sull’assoluta equiparazione del personale a tempo determinato rispetto a quello assunto a titolo definitivo. In alcuni casi, come a Napoli e a Trani, è stato anche stabilito che lo Stato italiano è tenuto ad assumere i docenti ricorrenti. In diversi, invece, è stato deciso di porre la questione della puntuale inadempienza dell’assunzione in ruolo di chi ha svolto almeno 36 mesi di servizio.

La sentenza transalpina ripropone, inoltre, la doppia annosa doppia questione sui mancati versamenti statali ai danni sempre dei dipendenti a tempo determinato: da una parte per il mancato pagamento dei contributi pensionistici dello Stato nei confronti dei suoi dipendenti a tempo determinato, tanto che l’Inps ha ereditato dall’Inpdap almeno 23 miliardi di “buco”, con l’amministrazione che si rende artefice di quello che non permette di fare alle imprese private; l’altra inadempienza riguarda il personale assunto a partire dal 2001, cui lo Stato ha obbligato illegittimamente di versare il contributo previdenziale del 2,5 per cento della base retributiva previsto dall’art. 11 della legge 8 marzo 1968 n. 152 e dall’art. 37 del DPR 1032/1973 n. 1032. E questo perché qualsiasi datore di lavoro, anche lo Stato quindi, non può versare un TFR inferiore a quello di un’azienda privata.

“L’espressione dei giudici non italiani – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – fa tornare in mente la nota frase del vangelo ‘nemo propheta in patria’: di recente, un’altra sentenza sovranazionale ha fatto emergere che i lavoratori a tempo determinato, persino gli atipici, hanno pieno diritto alla rappresentanza sindacale. Quella che in Italia si chiama Rsu, ma che viene riservata solo al personale di ruolo. Anche questa discriminazione sta quindi venendo meno. I 140 mila dipendenti della scuola, i 30 mila della sanità e i 70-80 mila tra Regioni ed Enti locali hanno pieno diritto ad essere difesi sul luogo di lavoro”.

“Anche le recenti sentenze Carratù e Papalia – continua Pacifico – parlano chiaro: i giudici di Lussemburgo hanno bocciato la legislazione italiana sull’abuso dei contratti flessibili nella PA. Perché quanto avviene in Italia è in palese contrasto con la direttiva 1999/70/CE, con i vantaggi derivanti dall’abuso dei rapporti a tempo determinato caricati sulle ‘spalle’ dei lavoratori. A questo punto – conclude il sindacalista Anief-Confedir – è bene che lo Stato italiano non attenda l’esito degli eventi, armonizzando da subito il dettato normativo previsto dall’articolo 117 della Costituzione. Con l’ordinamento comunitario finalmente considerato prevalente. E non più un’imposizione da aggirare”.

 

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