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150.000 euro a un precario per mancata stabilizzazione. Condanna storica del giudice del lavoro su un ricorso Anief

150.385 euro netti, più accessori e interessi, a un solo ricorrente dal giudice del lavoro di Trapani. Battuto dai legali Anief, coordinati dagli avv. Ganci e Miceli, ogni record come risarcimento danni subiti per lucro cessante e danno emergente per mancata stabilizzazione e misura adeguata a condannare il comportamento illecito. Il Miur condannato al pagamento di scatti e mensilità estive per gli anni pregressi (2005-2011) e per gli anni futuri fino all’età pensionabile, con un’addizionale del 10% in via equitativa per i possibili mancati contratti.

La necessità dell’assunzione per pubblico concorso non può giustificare deroghe alle disposizioni che limitano il potere di abuso del datore di lavoro nello stipulare contratti a termine, né proteggere patrimonio di soggetti pubblici, né autorizzare comportamenti contra legem della pubblica amministrazione.


Nel ricorso n. 1658/11, il giudice Petrusa ha tenuto conto della recente giurisprudenza e della legislazione comunitaria e nazionale. Il docente precario di educazione fisica e sostegno aveva ottenuto dal 2005 diversi contratti da supplente su posti vacanti e disponibili, ma insegnava già dal 2001. Per il presidente dell’Anief e delegato Confedir alla scuola e alle alte professionalità, Marcello Pacifico, si tratta di “una giusta condanna che risarcisce in maniera adeguata i precari danneggiati dai comportamenti illegittimi del Miur. Delle due l’una: o la Corte di Lussemburgo deciderà che in Italia la normativa scolastica derogatoria sui contratti a termine è contraria alle disposizioni comunitarie e quindi va disapplicata oppure il risarcimento dei danni deve essere così dissuasivo da comprimere l’arbitrarietà illecita della P. A. e dare adeguata soddisfazione ai lavoratori”.
“In questo senso – conclude Pacifico – la sentenza del giudice del lavoro di Trapani può fare scuola dopo la recente pronuncia della Cassazione che paventava un possibile grave danno erariale alle Casse dello Stato fissando dei nuovi criteri risarcitori. In ogni caso, è confermata la dottrina secondo cui non vi possono essere trattamenti economici diversi tra lavoratori precari e di ruolo mentre il contratto al 31 agosto deve essere sempre riconosciuto se il posto è vacante e disponibil,e come Anief ha sempre denunciato dall’inizio del 2010”.

Il commento giuridico alla sentenza da parte del Presidente Anief, prof. Marcello Pacifico

La normativa nazionale e la giurisprudenza comunitaria: l’obbligo delle misure dissuasive e sanzionatorie

Il giudice in premessa richiama la normativa vigente, compreso l’art. 4, comma 14 bis, della legge 124 del 1999 introdotto di recente, e prende atto che nella normativa italiana non si ravvisano disposizioni che riconducano la materia della assunzioni della scuola alla disciplina generale sui contratti di lavoro a termine. Tuttavia, nel riprendere la sentenza n. 143/11 della Corte di Appello di Perugia, ritiene paradossale come a fronte di precariato scolastico diversificato, a seconda delle supplenze annuali, al termine delle attività didattiche o temporanee, nel nostro Paese si possa ritenere legittimo l’assunto secondo cui si può assumere reiteramente a termine su posti vacanti sol perché questi stessi posti un giorno dovranno essere assegnati a procedure concorsuali o sol perché esiste una stabile esigenza - mai spiegata - di copertura di posti liberi. Questo assunto, infatti, è ritenuto difficilmente conciliabile con le disposizioni comunitarie che individuano puntuali condizioni da soddisfare perché il termine a un contratto non comprometta la tutela di interessi fondamentali dei lavoratori. In ciò, la giurisprudenza comunitaria è chiara: la normativa nazionale deve prevenire gli abusi dei contratti a termine e sanzionarli nel perfetto recepimento della clausola 5 della direttiva 1999/70/Ce, recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 368/01.
La sentenza Adelener del 4 giugno 2006 della CGUE è chiara: il giudice nazionale ha l’obbligo di provvedere laddove possibile all’interpretazione delle norme di diritto interno in modo compatibile con l’ordinamento comunitario. Quindi, nonostante la specificità delle norme sulla scuola, ritiene che devono trovare applicazioni le esigenze sottese alla direttiva; non è un caso se anche nella sentenza Vassilakis del 22 giugno 2008 della CGUE le assunzioni non possono avvenire in successione o a intervalli ridotti cosicché deduce che se la normativa scolastica fosse svincolata dai limiti applicabili ai rapporti a termine sarebbe in contrasto insanabile con la disciplina vincolante comunitaria e l’intera legislazione sull’assunzione del personale scolastico dovrebbe essere disapplicata. La carenza di ragioni oggettive come motivo per l’annullamento dei contratti a termine, infine, è stata, persino resa esplicita nella causa Kukuk del 26 gennaio 2012 della CGUE dove le stesse ragioni possono essere individuate nella particolare natura delle funzioni, delle caratteristiche a esse inerenti o dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale. Queste ragioni devono essere legate a circostanze precise e concrete che prescindono dalla loro esplicitazione nel contratto e che nel caso della scuola devono poter essere valutate nella discriminante tra posti vacanti e disponibili e non vacanti ma disponibili - come ha sempre ritenuto Anief. Se un contratto è dato a tempo determinato per ragioni sostitutive è giustificabile la sua reiterazione; in caso contrario, se il posto è vacante, l’amministrazione è tenuta a coprirlo attraverso l’attribuzione di un contratto a tempo indeterminato a personale idoneo attinto dalle graduatorie. In questo caso non vi è temporaneità del fabbisogno cosicché se il Miur non assume deve specificare le ragioni oggettive che non sono desumibili dalla situazione concreta e deve chiarire le ragioni tecnico-organizzative senza ripararsi dietro il diaframma della peculiarità del settore. A tal proposito, apodittica appare al giudice l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato (invero condivisa da parte della giurisprudenza tra cui la Corte di Appello di Milano, sentenza n. 708/12) secondo cui la peculiarità del sistema di reclutamento scolastico esclude la sua compatibilità con il D.Lgs. 368/01.

La qualificazione e la quantificazione del risarcimento: lucro cessante e danno emergente

Il divieto di conversione del contratto previsto dall’art. 36 del D.Lgs. 165/01, in quanto coerente con l’art. 97 della Costituzione in merito a buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, deve essere assunto, nell’ermeneutica del giudizio, per evitare l’aggiramento delle procedure di assunzione attraverso concorso e non per mettere in una posizione di privilegio la P. A. sul dipendente. La stessa normativa che impedisce la stabilizzazione dei precari nella P.A. secondo le recenti sentenze Adelener e Vassallo del 6 settembre 2006 della CGUE, deve essere accompagnata da misure dirette a prevenire l’utilizzazione abusiva da contratti a termine in successione. D’altronde, in assenza di espressioni di legge che individuano le misure idonee prescritte dalla Corte europea, la giurisprudenza interna ha cercato di ricostruire rimedi adeguati in via interpretativa per evitare reiterazioni del fenomeno, ovvero della stipula di contratti a termine. In alcuni casi è stata ripresa per analogia il risarcimento forfettario del danno previsto dall’art. 18 della legge 300/70 che prescrive il pagamento dalle 15 alle 20 mensilità della retribuzione globale di fatto. Argomento non condiviso dal giudice perché in contrasto con l’art. 14 della stessa legge, eppure non per questo preclusivo del risarcimento del danno, comunque, da erogare per trovare adeguato rimedio, a meno di disapplicare l’art. 36 del testo unico sul pubblico impiego. In ciò conforta la stessa Cassazione che con sentenza n. 4417/12 accetterebbe la conformità del divieto perché il risarcimento del danno sarebbe previsto dal nostro ordinamento con rimedi sufficienti per prevenire e sanzionare gli abusi commessi da parte di enti pubblici. Tra i rimedi il giudice non individua neanche l’indennità onnicomprensiva ex art. 32 della L. 183/10 che dovrebbe essere corrisposta soltanto nei casi di conversione ovvero come strumento accessorio. Il risarcimento del danno, infatti, non può trovare soddisfazione nell’applicazione del criterio legato all’emolumento aggiuntivo tra le 2,5 e le 12 mensilità, adottato nella conversione del rapporto a termine che è preclusa nel pubblico impiego rispetto al privato, con evidente disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati. Pertanto, ritiene che la strada percorribile per punire l’illecito sia la responsabilità in capo al Miur del contatto sociale qualificato, ai sensi dell’ art. 1218 del Codice civile.
La P.A. non è un passante occasionale ma soggetto con cui il danneggiato ha instaurato un pregresso rapporto di fatto (concorso pubblico, precedenti mansioni). Da tale rapporto scaturirebbe un affidamento in capo a ciascuno circa il corretto comportamento dell’altro, cioè un obbligo di protezione in capo a ciascuno dei paciscenti che va oltre il neminem laedere così da poter assimilato a un’obbligazione. Le stesse SS. UU. della Cassazione con sentenza n. 14712/07 hanno riconosciuto come nella responsabilità contrattuale l’obbligazione viene in esistenza nel momento fisiologico della vigenza se la responsabilità interna attiene proprio alla violazione di essa: se il danneggiante non è un passante occasionale ma ha avuto rapporti sufficientemente intensi con il danneggiato, in applicazione del principi solidaristici previsti dall’art. 2 della Costituzione si genera il dovere di curare l’interesse della controparte e di rispettare l’affidamento ingenerato dal contratto sociale, ragion per cui corre l’obbligazione di protezione la cui violazione da luogo a responsabilità d’inadempimento, secondo l’onere della prova, la prescrizione del diritto e l’individuazione dei danni relativi al risarcimento. Opinione più moderna ritiene che la parte che ha subito un danno precontrattuale abbia la possibilità di essere messo nella posizione economica in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stata la deviazione della trattativa, ai sensi dell’art. 1440 del Codice civile così da individuare come dolo incidente quei danni nella perdita dei vantaggi che il contraente avrebbe subito se non fosse stato depistato dalla condotta dolosa di uno dei contraenti, ovvero quella lesione dell’interesse positivo differenziale che deve essere risarcita come medesimo danno patrimoniale, secondo gli artt. 1223, 1225, 1227 dello stesso Codice civile, inteso nelle diminuzioni patrimoniali scaturite immediatamente e direttamente dalla condotta (art. 1223), purché siano prevedibili (art. 1225) e non riconducibili a fatto proprio del danneggiato (art. 1227). In poche parole, la giurisprudenza ha chiarito che il risarcimento deve avere ad oggetto le conseguenze che costituiscono effetto normale e prevedibile dell’illecito lamentato cosicché tutto il decremento patrimoniale subito dal danneggiato va risarcito sia che la deminutio riguardi il danno emergente o il lucro cessante applicando “del più probabile che non” e non “della certezza ogni oltre ragionevole dubbio” come ha ribadito la Cassazione nelle sentenze nn. 11755/06, 21619/07: nel diritto civile si deve ritenere che il danneggiante ha causato il danno quando, eliminata la condotta, vi è più del 51% di possibilità che il pregiudizio venga meno. In questo caso, i danni risarcibili diventano anche quelli che si sarebbero presumibilmente evitati e non i soli danni che probabilmente si sarebbero prodotto, applicandosi il criterio della funzione riparatoria dove il peso economico deve gravare su chi è meno ingiusto che lo sopporti; tra i due soggetti, infatti, vi è un equilibrio all’interno del quale si deve rintracciare l’elemento che faccia ritenere meno ingiusto la sopportazione dell’onere economico rappresentato dal danno. A questo punto, bisogna individuare nel caso di specie, la reiterata attribuzione del contratto a termine, quale sarebbe stata la perdita che probabilmente il danneggiato avrebbe potuto evitare. E’ ovvio che riferendosi all’id quod plerumque accidit il lucro cessante sia da individuare nella prospettiva di conservare il rapporto di lavoro fino alla pensione così da considerare le retribuzioni future come risarcimento danni e non retribuzione, nel rispetto dell’art. 97 della Costituzione. A questo punto, è evidente che se il Miur può non assumere, tuttavia, non può farsi scudo del divieto di conversione per abusare dell’inferiorità della controparte. Se l’illegittima apposizione del contratto a termine come tatto negoziale non preclude alcuno effetto, come fatto, diventa un nomale comportamento illecito sul patrimonio di terzi e deve dare luogo al risarcimento del danno visto che non esiste alcuna legge che discrimina la protezione prioritaria del patrimonio pubblico rispetto a quello privato, né la necessità del pubblico concorso può recidere il nesso di casualità tra condotta e danno, come ritiene il tribunale di Roma nella sentenza del 18.09.2012: l’eliminazione della condotta illecita, infatti, qualora intesa nella sua naturale conseguenza della cessazione di alcun rapporto di lavoro annullerebbe lo strumento risarcitorio che rimane l’unica tutela in capo al lavoratore. Ad avviso del giudice, pertanto, il comportamento del Miur deve essere inteso contra legem produttivo di un pregiudizio e non come atto negoziale produttivo di effetti. La necessità dell’assunzione per pubblico concorso non può giustificare deroghe alle disposizioni che limitano il potere di abuso del datore di lavoro nello stipulare contratti a termine, né a proteggere patrimonio di soggetti pubblici, né ad autorizzare comportamenti contra legem della pubblica amministrazione. In questo caso non può essere reciso il nesso di causalità tra comportamento illecito e danno derivato, trovando applicazione l’art. 1440 del Codice civile per il dolo incidente richiamato secondo cui quando il comportamento di una delle parti ha determinato uno sviamento che ha inciso sul contenuto dell’accordo, questa deve risarcire. Per quanto riguarda la maturazione economica degli scatti di anzianità in regime di precariato, infine, a parere del giudice, l’art. 4 comma 14bis, introdotto alla legge 124/99 dal decreto legge 134/09, convertito nella legge 167/09 deve essere direttamente disapplicato, in assenza di ragione oggettive, in applicazione delle sentenze della corte di giustizia europea del 13.09.2007 e del 15.04.08, mentre è evidente che laddove il posto è vacante e disponibile per mesa espressione del legislatore nazionale, debba essere riconosciuto l’estensione del contratto ai mesi estivi con liquidazione delle somme spettanti.

Conclusioni

Il giudice, nel rigettare la domanda di conversione del contratto, dichiara l’illegittimità delle clausole apposte nel contratto a termine, e nel prendere in considerazione soltanto le annualità dal 2005 al 2011 durante le quali il ricorrente è stato assunto a tempo su posti vacanti e disponibili senza il pagamento delle mensilità estive e degli scatti di anzianità, dispone il pagamento degli stessi nella misura di 19.750 € oltre accessori. Per il risarcimento del danno relativo alla mancata stabilizzazione, inoltre, cagionato dal comportamento illecito dell’amministrazione che aveva assunto il ricorrente fin dal 2001 e che con ogni probabilità continuerà a reiterare i contratti a termine, al netto della posta attiva del risarcimento, atteso che il ricorrente dovrebbe percepire in futuro le stesse retribuzioni, per evitare locupletazioni, il giudice condanna il Miur al pagamento di 127.500 € netti, oltre interessi da capitalizzare, di cui 51.000 € per i mesi di luglio e agosto di ciascun anno futuro, 42.500 € per la mancata progressione economica futura, 34.000 € per gli anni in cui il ricorrente non verrà retribuito perché non assunto, individuati in via equitativa nel 10% del periodo lavorativo residuo. Riconosce, infine, al ricorrente il punteggio di servizio per i mesi estivi di ciascun anno a decorrere dal 2005, e compensa le spese di lite per i 2/3 tra i convenuti, e per 1/3 a carico dell’amministrazione per un totale di 3.135 € oltre IVA e cpa essendo la causa del valore tra i 100.000 € e i 500.000 € ai sensi del d. m. 140/12.

 

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